Oddio. Mi si è rotto il Patto

di Silvio Rossi

 

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La spaccatura in Forza Italia, con i frondisti di Fitto decisi a mettere in discussione la leadership di Berlusconi, è stato il primo risultato della politica spregiudicata di Renzi durante l’elezione del Presidente della Repubblica. Fino a qualche mese fa tutti i tentativi dei suoi colleghi di partito, o alleati di coalizione, di mettere all’angolo Silvio, sono stati destinati a trovare poca fortuna. Questa volta però il politico pugliese può trovarsi davanti ad un avversario meno sicuro che in passato, indebolito dalla condanna che lo ha relegato a un ruolo da comprimario nel panorama politico, e soprattutto dal boccone amaro che ha dovuto ingoiare con l’elezione dell’inquilino del Quirinale, non tanto forse per la persona, ma per il metodo utilizzato che lo ha estromesso dalla scelta.

I fedelissimi del Cavaliere hanno accusato il premier di aver rotto, con la candidatura non concordata di Sergio Mattarella, il “Patto del Nazareno”, dandogli del traditore, del falso, della persona poco affidabile.

Certamente tra i due leader uno sta dicendo il falso. Renzi e Berlusconi danno due letture del patto che non sono conciliabili, per cui non è possibile che entrambi siano in buona fede.

Se fosse vero che l’accordo tra i due leader prevedeva il nome da mandare al Quirinale, e Renzi non ha rispettato il patto, Berlusconi si è trovato nella stessa situazione del gangster Doyle Lonnegan nel film “La Stangata”. Non può appellarsi all’onestà del suo interlocutore, perché l’oggetto del “contratto” era di natura disonesta, tanto che i suoi l’hanno sempre negato fino al momento in cui hanno iniziato le consultazioni per l’elezione.

Se invece l’accordo era, così come Renzi afferma dall’inizio, limitato alla legge elettorale e alle riforme costituzionali, non prevedendo quindi l’elezione del Presidente, la strategia di Berlusconi, che ha cercato di sfruttare le voci alimentate ad arte dai professionisti del complottismo, appare un goffo tentativo di apparire come la vittima sacrificale dell’arroganza del Primo Ministro.

Non risulta però facile immaginare Berlusconi come lo sprovveduto che viene ingannato dall’imbonitore di turno, in una promessa allettante che nasconde una realtà diversa da quella prospettata. Se c’è un politico italiano che ha costruito la sua carriera nel far credere qualsiasi cosa ai suoi interlocutori, salvo poi irriderli con cambiamenti spiazzanti, questo è stato proprio il leader di Forza Italia.

Lo fece con D’Alema nel febbraio 1998 ai tempi della Bicamerale, quando ribaltò la posizione adottata fino a quel momento, provocando la rottura delle trattative. Stessa cosa fece nel 2007 col discorso del predellino, con cui dichiarò la nascita del Popolo della Libertà, nonostante le rassicurazioni fornite ai suoi alleati, in primis Gianfranco Fini, allora segretario di Alleanza Nazionale, di non voler costituire un partito unico.

Vale per cui, in questo caso, il detto: chi la fa, l’aspetti. Se Renzi gli ha tirato un tranello, non è certo lui che può cercare di passare per “verginella”, a cui si è “rotto il patto”.