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Politica

Niente governo giallorosso di lunga durata: ecco perchè

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Tutto secondo copione. Salvini processato in aula da Conte, e gratificato, dal presidente del Consiglio, degli epiteti di “Irresponsabile, ignorante, codardo”. Certamente il Capitano non immaginava di dover affrontare una siffatta corte, dove il giudizio aveva già subito il vaglio della Cassazione PD-Grillina, ed era passato in giudicato.

Mentre Giuseppe-Mastro Titta-Conte leggeva in aula del Senato quel famoso discorso che i tiggì per due o tre giorni ci avevano informati che lui stava “Rivedendo, limando, completando”. Tanto che il dubbio che questa affermazione non fosse reale, ma solo un fatto interlocutorio da parte dei giornalisti Rai era sorto in più d’uno. Era invece un inopinato atto d’accusa verso il vicepresidente leghista, solo contro tutti.

“La frittata è fatta” aveva sentenziato l’altro vicepresidente Giggino Di Maio. Non sapevamo che fosse così indigesta, addirittura avvelenata. Volevo bene a Conte. Oltre tutto è un mio conterraneo, e lo reputavo una persona di alto livello, come aveva dato ad intendere fino a ieri. Non sapevo, nessuno di noi poteva immaginare, che si fosse anche lui schierato con il M5S, sempre – per carità – con il suo aplomb di a “Avvocato del Popolo (italiano)”, e sempre con quell’aura di trasparenza istituzionale che lo ha contraddistinto in questi quattordici mesi.

Non c’era bisogno, infatti, di essere opachi per rovesciare addosso a Matteo Salvini qualunque insulto, arrivando perfino a stigmatizzare l’azione, stupida e ripetuta, di Salvini, di impugnare un rosario e di raccomandarsi alla Madonna. Quella se la poteva risparmiare. Ma tant’è, quando si divorzia, vien fuori tutto. Solo che io, come altri, pensavamo che Conte fosse al di sopra dei giochi: così non si è dimostrato. Un’avvisaglia era giunta, per la verità, quando aveva imposto lo sbarco di migranti dalla Open Arms, e Salvini aveva obbedito.

Conte non sta, lo ha dimostrato, dalla parte degli Italiani che non gradiscono che il loro Paese sia nel disordine più totale, con stranieri che accoltellano, che si spogliano nudi per strada, che defecano nei giardini pubblici. Senza controllo, insomma. Stranieri che se ne fregano del decreto di espulsione – l’assassino della ragazza cinese al bar era stato espulso già due volte, ma era ancora qui – stranieri che picchiano i nostri carabinieri e poliziotti, oltre ai controllori sui treni e sui mezzi pubblici. Lo dico da anni. Gli Italiani non erano xenofobi, né razzisti, e una parte di loro opera ancora l’accoglienza: ma non in questo modo. Xenofobi e razzisti ci hanno fatti diventare con le iniziative del governo PD, sei anni in cui il quarto governo non eletto ha imperato, senza democrazia. Con l’unico scopo di fare le marchette all’Europa e ai suoi lobbisti – vedi petrolieri: ne sanno qualcosa le nostre coste trivellate entro le dodici miglia per iniziativa di Renzi, nonostante fosse stato proibito per iniziativa popolare, con relativa distruzione e inquinamento dei fondali.

Ne sanno qualcosa le torri estrattive in alto mare, che resteranno lì ad imperitura memoria, anche questo un dono di Matteo Renzi ai petrolieri: infatti, nonostante il contratto di estrazione ne prevedesse lo smontaggio, l’allora presidente del Consiglio permise che il miliardo di lire che ne costituiva il costo rimanesse nelle tasche dei suoi ‘amici’. I quali, tra l’altro, pagavano all’Italia la percentuale più bassa in assoluto per l’estrazione, con la clausola che al di sotto di una certa quantità non avrebbero pagato nulla: e tutto ciò senza che nessuno andasse a controllare le quantità estratte, cioè, in pratica, GRATIS! Sapevamo che IL Bullo avrebbe ricicciato, ed eccolo qua, pronto e pimpante e con lo zaino pieno di sorprese.

Pare, ma non c’è da fidarsi, che abbia detto che vuol fare il commissario nel Parlamento Europeo, e che il governo del nostro Paese non gli interessa. Chissà! Sarebbe la prima volta che dice la verità, se fosse vero. È vero, invece, che il M5S negli ultimi tempi – e non tanto ultimi – stava bloccando l’azione del governo, cosa che aveva fatto reagire Salvini fuor dai denti, su tutti i giornali. E il giorno dei Lunghi Coltelli è arrivato. Solo che dalla parte di Di Maio & Co. c’era anche Conte. Fra le quinte, ma non tanto, riesumato alla bisogna, appare ancora una volta il professor Prodi. Vogliamo spiegarci il perchè? Se vogliamo analizzare la questione dello stacco della spina al governo che, secondo Conte, andava così bene, tanto da negare il blocco alle sue azioni operato da ministri cinquestellati, dobbiamo analizzare i fatti, e non le parole, andando indietro di un anno, e considerando – e questo è presumibilmente il nodo della questione – che l’italia è un Paese NATO, un Paese nel quale gli Americani hanno installato sotto quella autorevole egida (e non ‘egidia’, come ebbe disgraziatamente a dire uno dei meno acculturati componenti della nostra compagine governativa, e ne taccio il nome per misericordia, ma tutti se lo ricorderanno con il pugno alzato e la barbetta alla Che Guevara) un considerevole numero di impianti militari, tali da avere il controllo strategico del Mediterraneo.

Un controllo guadagnato attraverso l’entrata in guerra contro il nazifascismo, con grande dispiegamento di uomini e mezzi. Niente si fa per niente. Certo l’intervento bellico è stata l’occasione per piantare un ben robusto paletto strategico nel centro del Mediterraneo. Ma tant’è, l’Italia ha aderito allora e non ha mai manifestato l’intenzione di uscire dal Patto Atlantico. Dicevo, guardiamo i fatti, come riferito da altre fonti. Nel novembre 2018 Di Maio vola in Cina, dopo la sua visita del settembre dello stesso anno, per stabilire un complesso programma di cooperazione con il presidente Xi, che arriva a Roma il 21 marzo del 2019, per firmare il memorandum della ‘Via della Seta’. Un accordo bilaterale peraltro già impostato da Renzi e Gentiloni. Le firme definitive verranno apposte all’accordo il 23 di maggio 2019, a Villa Madama. Presenti Xi, con i suoi ministri, Conte con Luigi Di Maio. Assente Matteo Salvini, che va al Forum di Confcommercio. Nel memorandum, al capitolo ‘cooperazione bilaterale’, nonostante gli avvertimenti e le raccomandazioni degli USA, appare la parola chiave ‘Telecomunicazioni’.

A questo accordo reso pubblico il Washington Post reagisce duramente, con un articolo che stigmatizza la condotta del governo italiano, accusandolo di rompere gli accordi con gli USA, e di sfidare Trump e la sua amministrazione. Un altro fatto è che qualche mese prima della firma dell’accordo, Giorgetti era stato convocato a Washington, dove aveva dovuto rassicurare gli Americani sulla capacità politica di Salvini di fermare la svolta filocinese dei suoi partner pentastellati. Almeno sulle questioni più importanti, ma specialmente a proposito dell’adozione di Huawei come partner per il 5G, la banda larga accusata di spionaggio in quanto legata strettamente al governo cinese. Giorgetti rassicura gli alleati USA a proposito delle gare che potrebbero consentire l’adozione di Huawei come partner, e dagli States torna con in tasca un decreto di rafforzamento del Golden Power, da approvare in Senato, in pratica un decreto anti-Huawei.

Un altro fatto è che il 22 maggio del 2019 Giorgetti è a Milano, alla Camera di Commercio americana, presente l’ambasciatore americano in Italia Eisenberg, a cui il sottosegretario garantisce un cambio di governo qualora i 5 stelle non rispettassero gli accordi da lui stretti con Washington. Un fatto è che l’11 luglio 2019 il Consiglio dei Ministri approva il decreto che intensifica la vigilanza sui contatti di Huawei sulla banda larga e sullo sviluppo della connessione 5G. Il decreto quindi deve solo essere convertito in legge in Senato. Di Maio viene convocato all’ambasciata USA a Roma per una colazione con l’ambasciatore. Pare che anche in quell’occasione il vicepremier abbia rassicurato Eisenberg a proposito della ‘Via della Seta’, dicendo che si trattava di accordi già presi da altre amministrazioni, e che la firma era solo stata una doverosa ratifica. Di Maio in quell’occasione rassicura Eisenberg a proposito del nodo cruciale 5G, per il quale si stava accelerando l’approvazione del decreto legge Golden Power, che avrebbe fermato Huawei.

Un altro fatto è che, al contrario di quanto riferito all’ambasciatore americano, in Senato i 5 stelle affossano il decreto anti-Huawei, raccogliendo le lamentele dei Cinesi che lo reputano discriminatorio. La questione, per gli Americani, è di vitale importanza strategica, poiché riguarda segreti militari a proposito di infrastrutture esistenti in Italia, centro strategico del Mediterraneo. Al punto tale che gli USA hanno inserito sia Huawei Italia che il centro di ricerca Huawei di Milano in una Black List. Washington assiste incredula all’avanzata italiana di Huawei, nonostante la messa al bando da Trump perchè in odore di spionaggio per i suoi stretti legami con il governo di Pechino. Un fatto è che Eisenberg ad un certo punto, invece di convocarlo, piomba direttamente nell’ufficio del sottosegretario Giorgetti.

Non sappiamo cosa si siano detti, ma è facile ipotizzare che l’argomento, vista la incontrollabilità degli uomini Cinquestelle, sia stato un ampio rimpasto di governo, eliminando tutti i componenti filocinesi, ciò che invece Di Maio e soci non hanno voluto. La crisi di governo, quindi, si può facilmente ipotizzare – dati i contatti continui del ministro Centinaio con lo stato maggiore pentastellato – che debba servire ad un forzato rimpasto di governo, a cui guardano con attenzione Trump e la sua amministrazione. Questo il motivo per cui Salvini, a cui si è attribuita ogni colpa, ha inteso staccare la spina a questo governo, nonostante il discorso di chiusura di Conte, un vero e proprio programma elettorale; come quello, del resto, pronunciato alla Vetrata da un Di Maio che ci auguriamo si sia reso conto della figura poco felice fatta a proposito del controllo di un Movimento, che, proprio perchè tale, è sempre ‘in movimento’, con le anime più varie e diverse, incontrollabili, e più che altro estremiste. Un tale coacervo di persone che non seguono il capo senza alcun dubbio non può guidare il governo della nostra nazione, a meno di una selezione che solo Di Maio – dove sono finiti i ‘Duri e Puri’? – può mettere in atto, sfrondando il Movimento di quelle frange che agendo autonomamente, e non nell’ottica di governo, possono portare solo danni. Filocinesi sono i Piddini, come Gentiloni, che per primo ha partecipato al Forum della ‘Via della Seta’ nel 2017. C’è anche il redivivo Prodi, che sta spingendo per un governo giallorosso, non gradito agli USA. Sembra che Prodi sia un punto di riferimento delle massime cariche di governo cinese, al punto di partecipare alle riunioni a porte chiuse della China Development Bank. Ora le posizioni sono più chiare, e anche il perchè delle cose.

Da una parte Prodi, Gentiloni, il PD, che vogliono tornare a governare. Ma tornare al PD sarebbe un tornare indietro, con l’assurdo che coloro che si autodefiniscono ‘progressiti’, oggi sarebbero invece più conservatori della destra. Dall’altra il M5S, a cui si è accodato Giuseppe Conte, con il loro programma che senza dubbio è più populista dei populisti, e questo non lo dico come una diminutio. Terzo incomodo, un Centrodestra che vuole prendere in mano le redini della nazione, probabilmente la soluzione che più piacerebbe agli Americani. Anche se Trump ha detto che gli piacerebbe vedere Salvini e Di Maio riabbracciarsi. Quindi, niente governo giallorosso. O altrimenti, un governicchio che tutti dichiarano di non volere: un governo che durerebbe ‘L’espace d’un matin’. Lo spazio d’un mattino.

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Mario Draghi e Gianni Letta ospiti di Marina Berlusconi: un incontro che scuote il panorama politico

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L’ex premier Mario Draghi a Milano: tensioni e segnali di distacco dal governo Meloni

La notizia dell’incontro tra Mario Draghi e Marina Berlusconi, tenutasi mercoledì 11 settembre, ha scatenato un forte dibattito politico, soprattutto dopo che l’Ansa l’ha resa pubblica solo tre giorni dopo. L’ex Presidente del Consiglio, visto uscire dall’abitazione della primogenita di Silvio Berlusconi in corso Venezia a Milano, avrebbe partecipato a un incontro definito “di cortesia” e pianificato da tempo, secondo quanto riferito da un portavoce della famiglia Berlusconi.

Tuttavia, la tempistica e il contesto politico rendono difficile non interrogarsi sulle implicazioni di questo incontro. Draghi era appena tornato da Bruxelles, dove aveva presentato un rapporto sulla competitività europea, e poche ore dopo la sua visita milanese è stato visto anche Gianni Letta, figura storica di raccordo tra la famiglia Berlusconi e Forza Italia.

L’incontro arriva in un momento delicato per Forza Italia, che negli ultimi mesi ha manifestato segnali di distacco dagli alleati di governo, in particolare Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. In questioni cruciali come i diritti civili e la giustizia, il partito azzurro ha mostrato una crescente distanza dalle posizioni conservatrici del governo. Sebbene in Parlamento non ci siano stati strappi concreti, le dichiarazioni di Marina Berlusconi e le recenti mosse del gruppo Mediaset rivelano un progressivo smarcamento.

Solo qualche mese fa, Marina Berlusconi aveva dichiarato senza mezzi termini di sentirsi “più in sintonia con la sinistra di buon senso” su temi come l’aborto, il fine vita e i diritti LGBTQ. Questa presa di posizione, già significativa, viene ora amplificata da una nuova iniziativa di Mediaset, guidata da Pier Silvio Berlusconi: a partire dal 15 settembre, tutte le reti del gruppo manderanno in onda una serie di spot che promuovono la diversità e l’inclusione, una scelta che suona come una sfida indiretta alle politiche del governo Meloni.

Questo segnale non arriva solo dal fronte mediatico, ma si estende anche al contesto politico. Forza Italia sembra voler tracciare una linea di distinzione, tentando di riaffermare la propria identità moderata e liberale, distante dalle posizioni più radicali dell’esecutivo attuale.

Con queste mosse, la famiglia Berlusconi sembra voler riposizionarsi nel panorama politico italiano, lasciando intendere che potrebbe non voler più seguire pedissequamente la linea degli alleati di destra.

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Francesco Lollobrigida verso le dimissioni? Dopo il caso Sangiuliano, cresce la pressione sul Ministro dell’Agricoltura

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Lo scandalo Sangiuliano-Boccia mette a rischio anche la posizione di Lollobrigida. Le dichiarazioni dei partiti, tra difese e attacchi, alimentano le speculazioni sulla possibile uscita del ministro

Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura e uno dei più stretti collaboratori della Premier Giorgia Meloni, si trova sotto una crescente pressione politica dopo lo scandalo che ha portato alle dimissioni dell’ex Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Il caso, che coinvolge anche Maria Rosaria Boccia, ha sollevato interrogativi sulla trasparenza e integrità morale nel governo. Ora, le indiscrezioni su possibili dimissioni di Lollobrigida si fanno sempre più insistenti, con esponenti dell’opposizione che chiedono chiarezza e responsabilità.

Al momento, non ci sono accuse dirette e specifiche rivolte a Francesco Lollobrigida in relazione al caso Maria Rosaria Boccia

Tuttavia, si vocifera che il ministro dell’Agricoltura possa essere indirettamente coinvolto o sotto pressione per via del coinvolgimento di altri esponenti del governo, come l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, in scandali che riguardano la figura di Maria Rosaria Boccia.

Il caso riguarda principalmente Sangiuliano, che si è trovato al centro di un scandalo personale e politico per una presunta relazione con Boccia, culminata con le sue dimissioni dopo che si è scoperto che avrebbe cercato di assumerla come consulente del ministero, nonostante la loro relazione personale e il fatto che fosse già sposato. Questo ha sollevato preoccupazioni su un possibile uso improprio delle risorse pubbliche.

Se Lollobrigida è stato associato al caso, potrebbe essere stato messo sotto pressione per la sua vicinanza a Sangiuliano e per l’ondata di scandali etici che stanno colpendo vari membri del governo, ma al momento non ci sono accuse concrete contro di lui relative direttamente alla vicenda Boccia.

Le reazioni politiche

Il Partito Democratico ha subito preso posizione contro il Ministro dell’Agricoltura. Elly Schlein, segretaria del PD, ha dichiarato: “Lollobrigida è stato fin troppo vicino a uno scandalo che ha già scosso le fondamenta del governo. Non possiamo permetterci che la credibilità delle istituzioni sia ulteriormente compromessa.” Schlein ha poi aggiunto che il governo Meloni deve fare “pulizia interna” e ristabilire la fiducia nelle istituzioni pubbliche.

Anche il Movimento 5 Stelle, attraverso il suo leader Giuseppe Conte, ha chiesto spiegazioni: “Dopo le dimissioni di Sangiuliano, la situazione è tutt’altro che risolta. Il caso Boccia ha mostrato gravi mancanze etiche, e ora ci aspettiamo che anche Lollobrigida faccia un passo indietro se dovessero emergere ulteriori responsabilità.” Conte ha insistito sul fatto che il governo non possa più ignorare il problema della “contiguità politica” e dell’utilizzo delle cariche pubbliche per interessi personali.

Difese interne al governo

Nel frattempo, dal fronte del governo, arrivano difese decise. Giorgia Meloni, Premier e leader di Fratelli d’Italia, ha espresso pubblicamente il suo sostegno a Lollobrigida: “Francesco è stato e continua ad essere un pilastro fondamentale del nostro governo. Le accuse che lo coinvolgono sono strumentali e non hanno alcun fondamento.” La Premier ha anche sottolineato che “la giustizia farà il suo corso”, e che non ci saranno dimissioni senza prove concrete di cattiva condotta.

Anche Matteo Salvini, leader della Lega e Vicepremier, ha voluto ribadire il suo sostegno al Ministro dell’Agricoltura: “Lollobrigida ha lavorato duramente per risolvere crisi importanti, come quella della peste suina. È assurdo metterlo in discussione per vicende che non lo riguardano direttamente.” Salvini ha poi accusato l’opposizione di “strumentalizzare” il caso Boccia per destabilizzare l’esecutivo.

Il rischio di nuove dimissioni

Nonostante le difese interne, il rischio di nuove dimissioni è concreto. Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi, Lollobrigida starebbe valutando le opzioni con i suoi legali e i collaboratori più stretti. Il Ministro si è detto “sereno” e convinto della sua innocenza, ma la pressione mediatica e politica potrebbe portare a una decisione di uscita “volontaria” per evitare che il governo venga ulteriormente logorato.

Il dibattito politico intorno alla vicenda continua a divampare, con una parte dell’opinione pubblica che chiede maggiore trasparenza e l’immediata apertura di un’indagine approfondita sui legami tra i ministri coinvolti nel caso Boccia. Altri invece ritengono che sia una tempesta mediatica destinata a rientrare, senza ulteriori sviluppi concreti.

La sorte di Lollobrigida appare quindi come appesa a un filo. Il governo Meloni, già scosso dalle dimissioni di Sangiuliano, potrebbe trovarsi di fronte a una seconda importante perdita tra le sue fila, con potenziali ripercussioni sulla stabilità politica dell’esecutivo. Tuttavia, con il sostegno di Meloni e Salvini, Lollobrigida potrebbe riuscire a resistere alla tempesta, almeno nel breve termine.

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Tensione tra Lega e Forza Italia: scontro su ius scholae e autonomia mette a rischio gli equilibri del governo Meloni

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Il rilancio di Tajani sullo ius scholae riaccende il braccio di ferro con Salvini. Le divergenze tra i due partiti di centrodestra rischiano di complicare i dossier caldi del governo, tra cui il rinnovo del Cda Rai e la legge di Bilancio

La tensione tra Lega e Forza Italia torna a farsi sentire, mettendo a dura prova l’equilibrio della coalizione di centrodestra. Il recente rilancio di Antonio Tajani sullo ius scholae – una proposta di modifica della legge sulla cittadinanza per i giovani stranieri cresciuti in Italia – ha scatenato la reazione immediata della Lega, che tramite il vicesegretario Andrea Crippa ha ribadito la propria opposizione: “La legge sulla cittadinanza va bene così com’è”.

Questo scontro, apparentemente su temi secondari, in realtà rappresenta un elemento di crescente tensione tra due alleati del governo Meloni. Le divergenze sullo ius scholae e sull’autonomia regionale riemergono ciclicamente, complicando la gestione delle questioni più delicate per l’esecutivo, come il rinnovo del Consiglio di amministrazione della Rai e la prossima legge di Bilancio.

Braccio di ferro sull’autonomia e lo ius scholae

L’affondo di Tajani arriva a conclusione dell’evento dei giovani di Forza Italia a Bellaria, dove ha riaffermato la volontà di portare avanti la modifica della legge sulla cittadinanza. La reazione della Lega è stata immediata e dura, con Crippa che ha ribadito il “niet” del partito di Salvini. A complicare ulteriormente la situazione, Nicola Molteni, sottosegretario all’interno, ha rilanciato proponendo addirittura un inasprimento della legge, con la revoca della cittadinanza per gli stranieri che delinquono.

Sul fronte dell’autonomia regionale, le distanze tra Lega e Forza Italia restano significative. FI ha piantato nuovamente i suoi paletti, rilanciando con la sorpresa dell’adesione dei consiglieri del Partito Sardo d’Azione (Psd’Az) al gruppo di Forza Italia nel consiglio regionale della Sardegna, un colpo per la Lega, che fino a quel momento aveva un accordo stabile con il partito sardo.

Rai e legge di Bilancio: dossier cruciali in bilico

Le tensioni tra i due partiti rischiano di avere ripercussioni su questioni strategiche per il governo, a partire dal rinnovo del Cda della Rai. La nomina dei quattro componenti, originariamente prevista per il 12 settembre, potrebbe subire ulteriori ritardi. Il centrosinistra, con in testa il Pd, si oppone all’elezione di Simona Agnes, nome proposto da Forza Italia, e chiede una presidenza di garanzia, aprendo alla possibilità di un dialogo solo se la maggioranza accetterà un approccio bipartisan per riformare la governance della Rai, come imposto dal Media Freedom Act dell’UE.

Intanto, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha preso le redini delle trattative, riuscendo a far desistere Salvini dalla richiesta di un direttore generale in cambio di alcune posizioni chiave nei settori culturali e cinematografici. Tuttavia, le frizioni con FI potrebbero mettere a rischio l’accordo.

Anche la legge di Bilancio rappresenta un terreno di scontro. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti deve presentare a Bruxelles entro il 20 settembre il Piano strutturale di bilancio (PSB), ma le risorse limitate obbligano il governo a scelte delicate. Se il centrodestra è compatto su misure come il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote IRPEF, le proposte di Lega e FI rischiano di creare ulteriori frizioni: la Lega preme per l’allargamento dei prepensionamenti (es. quota 41), mentre FI insiste per un ulteriore aumento delle pensioni minime, avvicinandole alla soglia dei 1.000 euro.

L’incertezza politica e il futuro della coalizione

In questo clima di tensione, il governo Meloni si trova a gestire una situazione complessa, in cui il rischio di rottura tra Lega e Forza Italia potrebbe destabilizzare la coalizione. Senza un vertice di maggioranza in vista per trovare una sintesi tra le diverse istanze, le tensioni interne potrebbero influenzare negativamente le decisioni su dossier cruciali come la Rai e la legge di Bilancio.

Le prossime settimane si preannunciano decisive per la tenuta del centrodestra e per la capacità del governo di superare gli ostacoli interni e mantenere la fiducia dell’elettorato, già messa alla prova dalle vicende politiche recenti.

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