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Castelli Romani

Nemi, “Presepi nel borgo”: una mostra per immergersi nella magia del Natale

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NEMI (RM) – “Presepi nel borgo” il titolo della mostra che si sta tenendo a Nemi, durante i fine settimana e in occasione di queste festività natalizie, dedicata all’arte presepiale.

La mostra, arrivata alla IV edizione, realizzata e curata dalla Confraternita del Santissimo Sacramento, vede come protagoniste le opere dei maestri presepiali di Monte Porzio Catone, Nemi, Palestrina e Valmontone.

“Abbiamo voluto riprendere questa iniziativa – ha detto Claudio Mannoni della Confraternita del Santissimo Sacramento di Nemi – insieme al Gruppo amici del presepe e ad altri laboratori e associazioni locali. Il nostro obiettivo è quello di riattribuire alla bellezza di questi lavori la loro valenza artistica e storico culturale di cui sono portatori. Ringrazio tutti, in particolare i presepisti Carlo Cintoni, Maria Manis, Renzo Cavaterra e Giancarlo Biaggi”.

I presepi si trovano nella chiesa parrocchiale e nel Santuario del Santissimo Crocifisso, oltre che nell’androne del suggestivo Castello Ruspoli che domina il piccolo borgo castellano dove l’esposizione proseguirà fino al prossimo 12 gennaio, mentre nelle due chiese si prolungherà fino a febbraio.

Il presepio… “in Nemorensi”

a cura di Claudio Mannoni

Il presepe, o come più popolarmente si dice il presepio, non è null’altro che la raffigurazione del Natale di Gesù. Tuttavia da quando S. Francesco nel 1223 lo ha realizzato come rappresentazione vivente a Greccio nella notte di Natale, – e la leggenda vuole sia stato il primo a farlo – esso è sempre più diventato scena, specchio del mondo, quotidianità che ospita e accoglie l’evento raccontato. Di ciò il Settecento, tra scenografie spettacolari e vita popolare e pittoresca, sacro e profano, ha fatto esplodere la tradizione del presepio fra la gente, che poi ha punteggiato l’Italia da Nord a Sud, da Genova alla Sicilia, trovando a Napoli il cuore del teatro della natività, con una progenie di manichini barocchi di santi e di briganti e di sacre rappresentazioni, che ancora oggi stupiscono e affascinano facendo abbozzare almeno un bonario sorriso.

La storia di Nemi per il presepio non è da meno

Le donne anziane ricordano ancora il grande presepio allestito nel castello Ruspoli dalle Figlie della Carità, ricco dei suoi manichini settecenteschi accuratamente vestiti di sete colorate, purtroppo trafugati nelle vicende della ultima guerra. Con una punta di rimpianto ancora dicono nelle loro espressioni dialettali: “Ch’era bellu!”. E da sempre, come d’altronde in ogni altro luogo, puntualmente ogni Natale nella chiesa parrocchiale si allestisce il presepio.

Se la scena del presepio è lo specchio del mondo, ognuno ha il suo luogo di vita, il suo mondo. Allora perché non ambientare la nascita di Gesù proprio nei luoghi nemorensi? E, come appare ovvio, a questa domanda la risposta non può che essere affermativa. È quanto da un po’ di tempo va facendo un gruppo di appassionati presepisti che ha fatto della costruzione del presepio nella chiesa parrocchiale l’impegno di ogni fine anno. Coniugando ricerca storica e iconografica a una tecnica costruttiva a lungo sperimentata, perfezionata e ormai esperta e puntuale, via via dalle loro mani sono usciti scorci caratteristici di ciò che Nemi era ed è, per ospitare nelle visuali ricostruite l’evento celebrato nel Natale.

Dopo il susseguirsi di ambientazioni più o meno fantasiose, il proposito prende corpo nel 2004, quando i nostri maturano la scelta di realizzare un allestimento che rappresenti uno scorcio di Nemi dominato dalla struttura del Castello, che con la sua mole incombe sul paese e sull’antico borgo della Pullarella. Uno scorcio invero ormai perduto a causa dei rimaneggiamenti urbanistici della fine dell’Ottocento. Sarà ricostruita con la tecnica del polistirene gessato, adatta a realizzare una scena che durerà per il tempo delle feste natalizie, la cosi detta “Piazza in dentro”. Della piazza non rimanevano nella memoria che gli echi ripetuti nelle narrazioni dei più vecchi i quali ricordano come una volta, per accedere al borgo antico, si doveva passare sotto l’androne del castello giungendo appunto nella “Piazza in dentro”. Un disegno appena abbozzato, dei primi dell’Ottocento, da un artista del Gran Tour, offre l’indicazione che sta alla base della scena: vi è acquerellata a seppia la casa di Tommaso Cavaterra, il ciabattino, ch’era posta in quella piazza. Anche se oggi essa si è trasformata ed ha assunto caratteri nuovi che la rendono irriconoscibile, si può affiancare l’antico scomparso con lo stato attuale.

Questa appare subito la strada da percorrere: l’idea è di riprendere il passato e farlo rivivere in scena per uno spazio di tempo pur breve. Questo potrà certamente aiutare ad arricchire chiunque si metterà di fronte al presepio non solo per le evidenti connotazioni religiose che esso certamente ha, ma anche per una sorta di ripresa delle proprie radici storiche. Quindi i luoghi si compongono sotto la sapiente maestria dei presepisti con una ricchezza di richiami alle strutture edilizie del tempo, ma anche alla vita che vi si svolgeva: col ciabattino che batte energicamente le suole, la bottega del fabbro, il bancone col pesce del lago; ma pure con la ricerca di elementi originali quali i nomi delle strade del tempo, posti agli angoli delle case su improbabili targhe, ma i cui appellativi sono perfettamente i veri e propri nomi di quei tra-gitti: via del “Pavone”, via “della pergola”, “vicolo del mal passo” – ove vi erano le carceri feudali e la gogna per porre i rei alla berli-na. Ecco ancora le “grida” della Municipalità affisse ai muri, che impongono ai cittadini la potatura degli arbusti lungo le vie di campagna o vietano l’abbeveraggio “delle proprie mandre ai forastieri” e il curato, che accompagnato dai Confratelli con ceri e lumi, reca il viatico al morente…

Da allora la storia presepistica è andata avanti ricollegandosi ogni volta a luoghi e vicende proprie di questo paese. Ecco dunque il grandioso rudere di una chiesa che, in una sorta di visione immaginifica, mostra la seicentesca cappella dell’icona di Versacarro alle pendici delle piagge sulla costa del lago, distrutta “quasi mano armata” dai frati cappuccini prima di trasferirsi in Genzano. E poi saranno le grandi sostruzioni del tempio di Diana a divenire il luogo della nascita di Gesù. Qui la scena si compone armonizzando luoghi diversi, tutti ricostruiti con una attenzione filologica storicamente inoppugnabile. La grande spianata del Giardino del Marchese Frangipane accoglie allora anche la mitica Fonte Egeria, più prosaicamente conosciuta come la “fontana delle mole”, le cui acque hanno irrigato per secoli gli orti di S. Nicola e annaffiato le gustose cipolle decantate già da Pio II Piccolomini.

Quel che ne rimane viene puntualmente ricostruito in una scala perfetta. È riprodotta non solo la caduta delle acque ma anche la condotta e il serbatoio che, forzandole in pressione, metteva poi in movimento una prima mola e poi una seconda: esse hanno macinato per centinaia di anni il grano e altre granaglie che dai dintorni vi giungevano per la “Via dei macinanti”; ma anche le macine che nel frantoio posto più in basso, hanno franto le olive raccolte negli uliveti impiantati sulle pendici del lago dal duca Braschi. Addirittura il cadente caseggiato, nel cui piano superiore il mugnaio Biagio, di seicentesca memoria, ha sicuramente abitato, viene esattamente rifatto così come si mostra oggi.

Di tutto questo certamente oggi non rimangono che diroccate vestigia: un complesso di archeologia industriale che il passante distratto fatica a individuare e riconoscere fra gli anfratti spinosi che avvolgono le mura in rovina. Ma nella scena esse rivivono abitate da nonnine e contadini, lavandaie e fragolare, rivestiti con abiti e costumi del tempo che fu. Forse ricordandoci che il passato in verità non è poi così lontano.

Lo stesso accade quando l’impegno dei nostri si pone alla ricostruzione dell’osteria alla Faiola: un trascorso antico attraversato nella quotidianità da briganti e soldati Corsi, da ostesse e viandanti. Sono altri uomini, vicen-de e luoghi ad offrire la scena del mondo per il presepio. Il quartiere dei gendarmi pontifici viene riprodotto sulla scorta delle emergenze architet-toniche e della documentazione storica, permettendo cosi di ricostruire l’ormai scomparsa chiesa di S. Antonio e l’antico adiacente casale che, oltre all’osteria, ospitava la guarnigione posta a senti-nella sulla via cor-riera per Napoli, sul cui tracciato odierno corrisponde alla nuova via dei Laghi.

Quel che resta del casale e i ruderi della Chiesa continuano a ergersi là, solitari e nascosti, all’ombra di un gran pino. Ma anche essi, che rischiano di svanire definitivamente a ragione dell’azione disattenta di alcuni, hanno offerto luogo alla rappresentazione dell’Evento.

Il lavoro dei presepisti è poi proseguito rievocando la rappresentazione della benedizione dei campi, un avvenimento che puntualmente si ripresenta ogni primo di maggio, con la processione nella quale viene trasportato lo stendardo dei patroni, giù fino all’ “l’Arcu da Pede” , l’antica porta trecentesca del paese. Anche in questo caso la testimonianza documentaria appare sicura: l’evento è attestato almeno da almeno trecentocinquanta anni. Non da meno quest’anno: la nuova realizzazione riprende i tratti rappresentati in un disegno di un viaggiatore del Grand Tour. La natività collocata nell’antica oliara del principe Braschi, trova nell’osteria di Crispino Middei e nei giocatori di bocce un attimo di vita presso la “Braccheria”.

Di sicuro ancora una volta passato e presente si sono riuniti per offrire un momento di artistica e suggestiva poesia che però vuole rimanere ben aderente alle vicende dei luoghi. Di una cosa però siamo sempre certi: la scena del mondo per la rievocazione della natività di Gesù è, ancora una volta, “in Nemorensi”.

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Monte Compatri, parco Calahorra: il degrado senza fine

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“Anni fa con un gruppo di amiche ed amici la tenevamo pulita e funzionale.
Vederla ridotta così piange davvero il cuore”.

INGRESSO ALLA VILLETTA

Sono queste le parole che fanno da sottofondo alle immagini che ci hanno inviato alcuni ragazzi di Monte Compatri basiti nel rientrare, dopo qualche anno, dentro parco Calahorra, per tutti la Villetta.
Una storia potremmo dire “sfortunata” per quello che potrebbe essere uno dei fiori all’occhiello della cittadina dei Castelli Romani.

PANCHINE DIVELTE e sporcizia SULLA TERRAZZA NATURALE CHE GUARDA ALLA BELLEZZA DI MONTE COMPATRI

Dai miliardi spesi durante l’amministrazione di Emilio Patriarca (1985/1990) per la realizzazioni dell’imponente portale d’ingresso e per l’anfiteatro, demolito poi dall’amministrazione di Marco de Carolis e trasformato in parcheggio per passare alle tante iniziative di pulizia collettiva con sindaci, assessori, consiglieri comunali e cittadini (ultima nel giugno del 2022, ove il delegato al verde, Elio Masi, dichiarava “… da oggi inizia una nuova stagione per Parco Calahorra che vedrà coinvolte associazioni e cittadini per una piena fruizione già a partire da questa estate …” ) ma senza poi trovare una continuità degna del rispetto che il luogo merita. (Monte Compatri, grandi pulizie per Parco Calahorra (osservatoreitalia.eu))

panchina divelta sul “balconcino” naturale che mostra il paese

Noi – ci dicono – ci provammo anni fa con l’associazione Brother Park. Installammo giochi per bambini oggi scomparsi”.
So io – risponde un altro – in quale giardino privato sono finiti!
Avevamo realizzato sentieri, costruito passaggi, realizzata una fontanella, realizzato tutto l’impianto elettrico di illuminazione. Poi è finito tutto.

NEL VIDEO QUEL CHE RESTA DELLA FONTANELLA E DEL CHIOSCO REALIZZATI DAI RAGAZZI DI BROTHER PARK

Addirittura – aggiungono – spendemmo circa 3000 euro di legname per realizzare un chiosco del quale non rimane più traccia”.
“Vedi – ci indica un luogo – dove sta quel mucchio di rovi avevamo realizzato un campetto da calcetto compreso di porte e di una rete per evitare che il pallone venisse perso. Che tristezza!
Nel vedere negli occhi di questi ragazzi la rassegnazione di chi spende il proprio tempo per la collettività e poi ritrova le proprie fatiche ed il proprio impegno ridotto a desolazione fa davvero male.

IN QUESTO VIDEO CI MOSTRANO IL LUOGO DOVE SORGEVA IL CAMPO DI CALCETTO ORA RICOPERTO DA ROVI

Basterebbe un impegno minimo, aggiungono, noi ci siamo cresciuti. Ci abbiamo giocato da bambini come crediamo ogni generazione di monticiano.
Noi oltre ad avervi inviato i video e le foto non siamo rimasti con le mano in mano.
In questi giorni abbiamo risollevato il secchio per la spazzatura, tolto un po’ di erbacce, pulito dove era possibile.
Ci investiamo volentieri il nostro tempo perché la Villetta torni ad essere il giardino di tutti”.

C’è qualcosa che vorreste dire all’amministrazione comunale?
Guardi noi siamo disposti a dare una mano, abbiamo provato a chiedere per avere la possibilità di poter almeno fare una manutenzione regolare di questi spazi, ovviamente autorizzati.
Lo faremmo per il paese, lo faremmo per le tante famiglie che, qui dentro, potrebbero davvero trovare un’oasi di pace.

uno dei tanti sentieri impraticabili ricoperti da rovi e sterpaglie

E mentre andiamo via loro continuano silenziosi ma sereni a provare a regalare alla Villetta qualche giorno di pulizia ed ordine

Come sempre chiederemo all’amministrazione comunale il loro punto di vista inviando all’ufficio stampa una richiesta di colloquio con il sindaco e con il consigliere delegato
Anche in questo caso vi terremo aggiornati.

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Monte Compatri, giovani fuori controllo: sputi e insulti a un pensionato

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Mastrofrancesco: “Ormai siamo fuori controllo”

È di mercoledì la notizia dell’aggressione con sputi, insulti e strattonamenti a Monte Compatri, da parte di alcuni minorenni, ai danni di un pensionato già dipendente comunale e molto conosciuto in paese.
Un motivo banale all’origine del tragico fatto: il “NO” alla richiesta di una sigaretta.
Anche stavolta, a leggere i commenti su Facebook, è stato “l’effetto branco” a far scaturire la violenza “sedata” per il pronto intervento di alcuni cittadini accortisi del fatto.
Ma la “brutta storia” sui social ci è finita perché è duro l’attacco del consigliere comunale di Monte Compatri, Agnese Mastrofrancesco, che, senza mezze  misure ha “tuonato” contro un’assenza di sicurezza che tra troppo tempo la fa da padrone nella cittadina dei Castelli Romani.
Dopo l’omicidio di Ivan Alexander nel capolinea della Metro di Pantano, le baby gang che impazzano spesso nello stesso piazzale, passando per la tentata rapina al bancomat della centralissima Banca di Novara e i tentativi maldestri nella stessa notte ai parcometri ed a un negozio centralissimo ed in ultimo, ma solo a livello temporale, agli aumenti di furti nelle abitazioni, Monte Compatri sembra più avvolta da una spirale di violenza che dalla tranquillità.
Abbiamo contattato la consigliere Agnese Mastrofrancesco alla quale abbiamo rivolto le nostre domande.


Consigliere Mastrofrancesco ma che succede a Monte Compatri?
Ormai siamo fuori controllo, non c’è vigilanza del territorio, mi dispiace dirlo, ma stiamo diventando terra di nessuno. Polizia locale che passa solo con la macchina di servizio, per richiamare l’attenzione dei ragazzini che giocano a pallone sotto la passeggiata, fischiano dal finestrino della macchina, senza scendere, li ho visti io personalmente – aggiunge con tono deciso.
Si limitano a passare solo in macchina oppure viene la comandante e senza modi, toglie il pallone ai bimbi di 6 anni.
Le dico che la settimana scorsa in molti hanno assistito ad una scena “pietosa” tra il comandante ed una mamma che quasi veniva alle mani.
Il comandante della Polizia Locale che strilla in piazza: ma dove siamo arrivati? Il Il fatto che indossi una divisa dovrebbe far capire che il primo che deve  rispettarla è chi la indossa.
Strilli, inveisci sei aggressiva e poi pretendi rispetto. Pensi, mi hanno detto, che quando e andata via i ragazzi dal muretto le hanno gridato ” scema scema”.
Si può andare avanti così?

Lei è mamma di due splendidi ragazzi. Faccio più la domanda a “mamma Agnese” che al politico: cosa è mancato a questi ragazzi che hanno aggredito il suo concittadino?
Bella domanda, credo che la colpa sia di tutti noi. Famiglia, scuola ed istituzioni. Non mi sento di escludere nessuno.
La famiglia è importante, indispensabile, essenziale, ma pensiamo a chi non è fortunato ed ha problemi seri in famiglia, problemi di violenza o economici, che facciamo li abbandoniamo?
La scuola dovrebbe controllare, contenere ed educare e a volte anche “punire” ragazzi con atteggiamenti violenti.
Stesso vale per le istituzioni che dovrebbero affrontare il problema e non girare la testa dall’ altra parte.
Non servono i soldi del PNRR se poi hai un paese allo sbaraglio: bancomat rotti, furti, violenze , alcolismo … e mi fermo qui

Un quadro triste per Monte Compatri; anche stavolta abbiamo inviato all’ufficio stampa del Comune la richiesta di avere, perlomeno, due parole da parte dell’amministrazione comunale.
Lo facciamo non solo di prassi ma per avere un ulteriore punto di vista sulla situazione.
Ci auguriamo, almeno stavolta, che vi sia una risposta.

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Frascati, Libri in Osteria: Angelo Polimeno Bottai presenta il libro “Mussolini io ti fermo”

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“O lo battezzate o ve lo riprendete. Io una bestia non l’allatto!”
Sono queste le parole che la balia frascatana Teresa rivolge ai genitori del piccolo Giuseppe Bottai contenute nel libro “Mussolini io ti fermo” che il nipote, Angelo Polimeno Bottai, presenta oggi nel salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria.
Sono l’incipit a questa serata che racconta, attraverso le pagine del libro, la storia e la vita di una delle figure che hanno rappresentato il ventennio fascista.

Emanuela Bruni ed Angelo Polimeno Bottai

C’è un profondo legame tra Frascati e l’autore del libro in quanto la città tuscolana, dice, “è parte stessa della nostra vita, infatti mio nonno venne battezzato nella Cattedrale di San Pietro ed io, molti anni dopo, ricevetti nella stessa Chiesa la Prima Comunione”.
Figura molto controversa, Giuseppe Bottai, viene “raccontato” attraverso una attenta analisi storica proprio per evitare, come dice lo stesso Angelo Polimeno Bottai, che “gli affetti prendessero il sopravvento sulla verità storica … è stata davvero una grossa responsabilità”.
Il quadro che emerge dalle pagine del libro narra un giovane Bottai lontano, nei primi anni della giovinezza, dalla politica ma che poi, vivendo, con la sua famiglia, nello storico quartiere romano Macao, resta colpito dalla presenza e dalla prestanza dei militari.
Siamo a ridosso della Grande Guerra alla quale Giuseppe Bottai prende parte come volontario negli Arditi riuscendo a mettersi in luce per il suo ardimento che lo porterà a ricevere una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor militare.
Alla fine della guerra conosce e frequenta Benito Mussolini “rimandone folgorato” – dice l’autore – legandosi a quello che diverrà il “duce” attraverso un “rapporto travagliato con quest’uomo non altissimo di statura ma imponente nel carattere e nel modo di essere”
Un legame che può essere racchiuso nel titolo della rivista che Giuseppe Bottai fonda nel 1922, Critica Fascista, (da ricordare che tra gli abbonati di tale rivista figura Antonio Gramsci) proprio a sancire un atteggiamento molte volte contrario dello stesso Bottai ad alcune scelte che condurranno quella che originariamente vuole essere una rivoluzione che vuole riportare ordine e legalità in un paese, l’Italia, attraversato da molteplici attività anarchico socialiste che portano a terre occupate e centinaia di scioperi, ad una vera e propria dittatura.
“Ci sono due anime nel fascismo: quella che incarna mio nonno, i revisionisti, e quella che fa capo a Roberto Farinacci, gli irriducibili” spiega con estrema chiarezza Angelo Polimeno Bottai precisando che l’intento della “fazione” a cui fa capo il nonno cerca di convincere il Duce a mettere le mani nelle riforme necessarie allo sviluppo del paese per farlo risorgere da quella vittoria dimezzata che è stata la fine del Primo Conflitto Mondiale.
Ed una profonda frattura, spiega ancora, avviene immediatamente dopo la notizia del rapimento del deputato socialista, Giacomo Matteotti, definito da Giuseppe Bottai il “più efferato, inumano e stupido delitto che si potesse commettere verso un uomo di parte avversa e contro l’idea che anima la nostra parte”; una vera e propria condanna che culmina nella frase “bisogna trovare i responsabile anche se fossero nelle alte sfere”.
Questo, ovviamente, come riportano le pagine del libro, pone lo stesso Giuseppe Bottai ai margini del regime che sta nascendo che non è “inviso alle grandi potenze”, spiega Angelo Polimeno Bottai, ma che non pensa minimamente ad una alleanza con la Germania che sta divenendo hitleriana.
Addirittura, spiega, “ci sono liti profonde tra la stampa italiana e quella tedesca” fino al punto che alla cacciata degli ebrei dalla Germania molti di questi addirittura arrivano nel nostro Paese ed è la guerra d’Etiopia, nella quale Giuseppe Bottai si arruola, diventa il “punto di non ritorno” che segna in modo inesorabile l’alleanza italo/tedesca.
Le sanzioni permettono ad Hitler di legare con un patto economico e sodale l’Italia di Mussolini determinando il fatto che, spiega l’autore, “l’innamoramento di Giuseppe Bottai verso il duce si incrina ma rimane una lealtà critica che non determina affatto la rottura del rapporto”.
Ed è in questo momento che la frattura con l’area degli irriducibili di Farinacci raggiunge punti davvero enormi arrivando all’approvazione delle Leggi Razziali.
Lo stesso Roberto Farinacci fa girare la voce che Bottai sia d’origine ebraica per estrometterlo ed il risalto che questa notizia ha a livello internazionale diventa sempre più grande (addirittura si trova in molti giornali francesi e tedeschi).
La scelta di Giuseppe Bottai, divenuto Ministro dell’Educazione, di applicarla in maniera dura diventa, al tempo stesso, “un’angoscia” ed una “responsabilità” necessaria.
La prova di questo suo momento difficile si ritrova nella corrispondenza riportata tra le pagine del libro ove un carteggio con l’allora vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, l’avvocato Aldo R. Ascoli mostra l’apertura di Bottai verso gli ebrei italiani valuta la possibilità concreta di “concedere particolari benemerenze a famiglie di ebrei in cui qualcuno abbia acquisito meriti particolari, militari o civili”.
“Due parti in commedia” spiega Angelo Polimeno Bottai dimostrando, ancora una volta, il forte attaccamento di Giuseppe Bottai all’origine rivoluzionaria del fascismo di cui resta innamorato.
Le contrapposizioni con Farinacci aumentano esponenzialmente: Bottai redige, durante il mandato che lo vedo governatore della Capitale, i piani per la creazione di EUR 42, l’Esposizione Universale di Roma che si sarebbe tenuta nel 1942 (a ragione si crede che nessuno nei primi anni del ’30 pensasse ad una Guerra Mondiale), ed in antitesi al premio Cremona, Bottai da vita dapprima al premio Bergamo e successivamente manda in stampa la rivista Primato che diviene uno dei capisaldi della cultura italiana del momento.
Sulle pagine del “Primato. Lettere e arti d’Italia” scrivono le firme italiane più eccellenti, da Nicola Abbagnano a Galvano della Volpe, da Walter Binni a Mario Praz, da Dino Buzzati a Vasco Pratolini, passando per Quasimodo, Montale, Ungaretti, Guttuso ed un giovanissimo Eugenio Scalfari ebbe a dire “su il Primato potevo scrivere liberamente mettendo alle corde Farinacci”.
Un’oasi culturale che dimostra la libertà di pensiero di Giuseppe Bottai ed il suo vano tentativo di riportare il fascismo a quegli albori che erano rimasti nel suo animo rivoluzionario.
Oasi che, attraverso poi l’emanazione di quella che divenne la legislazione per la difesa delle opere d’arte italiane fino alla creazione dell’Istituto Centrale del Restauro, porta alla salvezza di un enorme patrimonio artistico del nostro paese grazie anche alla collaborazione di personalità del calibro di Giulio Caio Argan, in chiave e funzione antinazista concretizzandosi anche sul piano prettamente pratico.

Il libro si conclude con i tragici momenti che portarono al famoso 25 luglio 1943 dove una “dittatura” decreta una successione, una piena antitesi al concetto stesso di dittatura.
Giuseppe Bottai è uno di quelli che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi e per questo, condannato in contumacia, dai tribunali della Repubblica Sociale, dapprima si rifugia in Vaticano fino a giungere poi sotto il falso nome di Andrea Battaglia a combattere vestendo la divisa della Legione Straniera per la liberazione della Provenza dalle truppe naziste.

Due momenti importanti da sottolineare orchestrati da due ex sindaci della città di Frascati: Roberto Eroli e Stefano Di Tommaso.
Quest’ultimo, attento ricercatore, legge una lettera scritta dal Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Paolini, ed indirizzato al ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Stefano Di Tommaso con in mano la lettera indirizzata da Alessandro Paolini a Giuseppe Bottai

Roberto Eroli invece esorta Angelo Polimeno Bottai a ricercare, tra i diari del nonno Giuseppe, informazioni che possano fare ulteriore luce sul tragico bombardamento effettuato dagli alleati l’8 settembre 1943 della città di Frascati.

nella foto, da sx, Angelo Polimeno Bottai, Roberto Eroli ed Emanuela Bruni

Una serata che ha riportato i tantissimi presenti nei giorni ancora vivi di quel Ventennio Fascista.

Colpisce, e non poco, la frase dell’ultima di copertina del libro nella quale, Angelo Polimeno Bottai, scrive “Nato pochi mesi dopo la sua morte, Giuseppe Bottai purtroppo non l’ho mai incontrato. Un doppio dispetto del destino: come nipote e come giornalista. In questa seconda veste, tuttavia, posso raccontare chi è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato ragione e coscienza del 25 luglio 1943”.

il direttore de “Il Tuscolo” ed amico Fabio Polli con Angelo Polimeno Bottai

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