Castelli Romani
Nemi, omissione di atti d’ufficio: sindaco a processo
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5 anni faon
L’accusa per il primo cittadino di Nemi è quella di omissione di atti d’ufficio per aver omesso di adottare senza ritardo provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità volti a tutelare la salute pubblica
NEMI (RM) – Rinviato al 15 giugno 2020 il dibattimento al Tribunale di Velletri che vede il sindaco di Nemi Alberto Bertucci opporsi al decreto penale che lo ha condannato a 6 mesi di reclusione diminuiti a quattro, con pena detentiva sostituita con 30 mila euro di multa diminuita a 17 mila euro. Alla fine 4 mesi di reclusione sostituiti con 17 mila euro di multa.
La vicenda che vede il sindaco opporsi alla condanna ridotta a 4 mesi di reclusione convertiti in 17 mila euro di multa risale al 2013 quando su questo quotidiano venivano formulati degli interrogativi in merito a problemi di inquinamento nell’acqua erogata dalla fontanella di piazza De Santis, situata nel quartiere “Le Colombe” nella parte alta del paese dopo che la fontanella veniva chiusa per due giorni per poi tornare a scorrere sebbene inquinata.
Un periodo di 39 giorni quelli intercorsi tra la comunicazione inoltrata al Comune di Nemi dalla ASL Roma H e ARPA Lazio in cui la fontanella è rimasta accessibile a tutti
Gli uffici della Asl Roma H e dell’Arpa Lazio comunicavano per ben due volte – 1 luglio del 2013 e 15 luglio del 2013 – al Comune di Nemi la non conformità rispetto ai parametri microbiologici di legge – valori irregolari per Coliformi totali ed Escherichia Coli – dell’acqua destinata al consumo umano erogata dalla fontanella pubblica di piazza De Santis. E dal Comune veniva emessa l’ordinanza di chiusura, a firma del vice Sindaco Edy Palazzi, il 7 agosto 2013.
Il 14 agosto 2013 la fontanella risulta nuovamente aperta e sul posto intervengono carabinieri e polizia locale
Il 14 agosto del 2013 le persone hanno creduto che l’acqua della fontana fosse tornata potabile in quanto quest’ultima risultava nuovamente aperta. Sul posto intervenivano il 15 agosto mattina i Carabinieri di Nemi insieme alla Polizia locale che dopo aver accertato il fatto che la fontanella era tornata aperta nonostante fosse ancora in vigore l’ordinanza di chiusura provvedevano a chiudere nuovamente la fontanella quindi ad apporre un avviso di non potabilità.
“La responsabilità dell’imputato – Alberto Bertucci Ndr. – può evincersi dagli elementi fino ad ora acquisiti, senza necessità di ulteriori indagini”. Questo quanto rilevato dal Pm dott. Giuseppe Strangio nella richiesta di decreto penale di condanna poi confermato dal Giudice.
La vicenda all’epoca dei fatti è stata denunciata in Procura dall’Associazione Assotutela, presieduta da Michel Emi Maritato
Nell’esposto di Assotutela si evidenziava il fatto che l’amministrazione comunale di Nemi, pur messa a conoscenza che l’acqua fosse “non potabile” non informava in alcun modo la cittadinanza di non bere l’acqua della fontanella, esponendo così la collettività a gravissimi rischi per la salute.
La riapertura della fontanella
La fontanella è stata poi riaperta dopo altri prelievi effettuati nella seconda metà dell’agosto 2013 da Acea e Arpa Lazio che ne attestavano il ritorno ai valori normali. Quindi la ASL Roma H dava il via libera al sindaco di emettere altra ordinanza per disporre la riapertura dell’acqua presso la fontanella.
Il decreto penale di condanna
Il decreto penale di condanna è attivabile tout court in caso di reati perseguibili d’ufficio. Per i reati perseguibili a querela, è necessaria la presenza della condizione di procedibilità (non è più possibile opposizione al rito da parte del querelante, Cfr. Corte Cost., sentenza n. 23/2015).
Altro presupposto inderogabile, è che sia concretamente possibile applicare solo una pena pecuniaria (multa o ammenda), direttamente, o in sostituzione ai sensi degli artt. 53 e ss. L. n. 689/1981, oggi in combinato con il co. 1 bis dell’art. 459 c.p.p.
Ulteriori elementi indispensabili, sono rappresentati dall’assenza di un motivo di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., e dalla non necessità di applicare una misura di sicurezza personale.
L’altro requisito previsto all’art. 459 c.p.p., è rappresentato dal termine per la richiesta fissato entro sei mesi dall’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato. Tale termine è derogabile in quanto da ritenersi ordinatorio.
L’opposizione al decreto penale di condanna
Con l’opposizione devono essere chiesti, a pena di inammissibilità, i riti alternativi dell’oblazione, del patteggiamento, del giudizio abbreviato o della messa alla prova (sono necessari anche i relativi avvisi di facoltà, cfr. da ultimo Corte Cost., sentenza n. 201/2016); in caso di mera opposizione si avrà il giudizio immediato.
I riti richiesti con l’opposizione vengono vagliati dal GIP (anche la messa alla prova, Cfr. Cass. Pen., sez. I, sentenza n. 7955/2017), mentre il giudizio immediato spetta al tribunale dibattimentale, sempre dopo aver revocato (anche implicitamente) il decreto penale di condanna opposto. Non è richiesto preventivo invio di avviso ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. (Cfr. Cass. Pen., sez. IV, sentenza n. 1794/2009).
Il mezzo di impugnazione de quo, può essere oggetto di rinuncia, dalla parte personalmente, dal difensore munito di apposita procura speciale, o con atto nelle forme di cui all’art. 589 c.p.p. (per quest’ultima ipotesi, cfr. Cass. Pen., sez. I, sentenza n. 20276/2010); in tale caso il giudice, se la rinuncia è avvenuta prima dell’apertura del dibattimento e comunque prima della revoca del decreto penale opposto (cfr. Cass. Pen., sez. IV, sent. n. 47505/2008), dichiarerà con ordinanza l’inammissibilità sopravvenuta dell’opposizione e l’esecutività del decreto penale originariamente opposto, con condanna alle spese del procedimento “chiuso”.
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