Cronaca
NAR: chiarimento
Tempo di lettura 21 minutiL'Italia borghese e senza ideali di Mario Amato
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8 anni faon
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di Angelo Barraco
Roma – La politica ha sempre rappresentato per il popolo l’alternativa di riscatto sociale ai fini del raggiungimento dei diritti inviolabili che spesso vengono vertiginosamente falciati dalla classe dirigente. La bandiera politica rappresenta il fazioso simbolo che induce i cittadini a compiere una scelta su di un fronte rispetto che un altro e tale scelta può essere condizionata dalle azioni concrete e oggettive che il partito o movimento svolge nel corso del suo periodo di attività. Oggi la politica è passiva, con una bandiera che concretamente non rappresenta una scelta solida e un’alternativa sociale per il popolo ma si mostra come la necessaria esigenza sterile dei politicanti per raggiungere un obiettivo ignorando quelle che sono le reali esigenze di un popolo dilaniato dal malcontento e prontamente sedato da siringate di serotonina qualora emergessero i sentori di “rivoluzione”, una parola tanto lontana quanto utopica. Facciamo un salto indietro di qualche anno fino al 1977, quando sui grandi schermi dei cinema delle grandi città le folle si accalcavano per guardare i film provenienti direttamente dagli USA che avrebbero cambiato intere generazioni. Film come “Guerre Stellari” oppure “La febbre del sabato sera” con un giovanissimo John Travolta diventato subito idolo delle teenagers, ma vi era anche la musica che accompagnava le serate poiché le radio intonavano Fabio Concato e la sua “A Dean Martin” e Cristiano Malgioglio pubblicava il suo primo album dal titolo “Scandalo”. Ma gli anni 70 non erano fatti esclusivamente di disincanto e di bellezze cinematografiche contornate da dolci melodie con lustrini che risuonavano all’interno delle alfette bianche in riva al mare, non passava giorno che nelle grandi piazze non succedeva qualcosa. La gente che faceva politica attiva in quegli anni era tanta e spesso lo faceva in cortei che potevano essere attaccati da avversari politici o dalla polizia, dove numerosi manifestanti agivano con spranghe e bastoni e picchiavano le fazioni rivali con le bandane in viso, ma si rischiava di essere picchiati anche se si attraversava la zona sbagliata oppure sparati alle spalle da un’autovettura in corsa per poi morire silenziosamente a terra. Un paese che portava ancora addosso a se le ferite di una guerra vergognosa ma con un’economia in crescita supportata da una giovane e speranzosa democrazia che funge da monito ad un’Italia che vuole a tutti i costi modernizzarsi attraverso le riforme atte a smussare gli angoli di una società con un nuovo potere costituito. Dalle università arrivano le maggiori spinte che virano al cambiamento, ma anche dalla chiesa, dai piccoli imprenditori e dagli operai. Ci sono vari movimenti che in quegli anni affiorano come il movimento operaio, il movimento contadino e il movimento studentesco. Ma le tradizioni sono ben salde in Italia e il cambiamento tanto auspicato non è semplice da applicare poiché ci sono numerosi scontri di piazza e dal 1947 al 1954 si contano 145 morti e più di 5000 feriti, a sparare sono le forze dell’ordine ma non solo in quell’arco temporale. Nel 1960, a Reggio Emilia, la polizia carica una manifestazione sindacale e successivamente spara uccidendo cinque operai. Numerosi gli scontri nelle università tra studenti e forze dell’ordine a seguito della circolare emanata dal ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, nel 1966, che autorizza l’intervento delle forze dell’ordine nel caso di occupazione. Il 1 marzo 1968 si verifica lo scontro la polizia e studenti a Valle Giulia, dove circa 4.000 studenti si radunano in Piazza di Spagna con l’intento di riprendere la facoltà occupata ma si trovano davanti un cordone della Polizia: si scatenò immediatamente uno scontro che durò diverse ore e che cagionò il ferimento di diversi esponenti delle forze dell’ordine. Ma gli scontri non sono soltanto tra polizia e studenti ma anche tra gruppi estremisti di destra e sinistra e bisogna sottolineare che a Valle Giulia, insieme a giovani del movimento studentesco, vi erano anche giovani appartenenti al movimento di destra. Questa strana alleanza dura poco e il 16 marzo infatti il segretario del Movimento Sociale Italiano Giorgio Armirante si presenta all’università con una schiera di militanti con lo scopo di riaffermare l’estrema destra in facoltà e rompere definitivamente l’alleanza che si era creata tra estremisti di destra e di sinistra contro la democrazia a Valle Giulia. L’attacco dei neofascisti è durissimo e gli estremisti di destra si rintanano dentro la facoltà di legge, correndo ai ripari lanciando qualsiasi oggetto dalle finestre, riusciranno a mettersi in salvo grazie all’intervento delle forze dell’ordine. Ma tutto cambia il 12 dicembre del 1969, con la Strage di Piazza Fontana con l’esplosione di un ordigno contenente 7 kg di tritolo che cagionerà la morte di 17 persone e il ferimento di 88. Una strage che ha indignato l’Italia ma anche spaventato per quanto accaduto. Sin dall’inizio è chiaro che i responsabili della mattanza sono alcuni gruppi neofascisti coperti da settori dello Stato come i Servizi Segreti. La strage di Piazza Fontana mette a repentaglio tutti i principi e le belle speranze auspicati inizialmente per la democrazia e si teme un golpe. La tensione è tanta tra destra, sinistra e forze dell’ordine soprattutto nel dicembre 1970, quando è in corso a Milano una manifestazione per il primo anniversario della Strage di Piazza Fontana e tra i numerosi incidenti che si verificano la polizia uccide Saverio Saltarelli con un lacrimogeno sparato ad altezza uomo. “Mentre lottava contro il fascismo per la democrazia e il socialismo” si legge nella targa presente sul luogo in cui è stato barbaramente e ingiustamente strappato alla vita a soli 23 anni. Ma la linea di demarcazione tra destra e sinistra è ben evidenziata poiché da una parte c’è il movimento studentesco “Lotta Continua”, “Avanguardia Operaia”, “Potere Operaio”, “Autonomia Operaia”, dalla parte opposta invece un elogio allo strascico e infimo ricordo del Duce che non ha eliminato dalla mente gli errori di un’ingiusta guerra che ha disseminato morti con la prospettiva di un futuro vigore costituzionale ma al contrario, ha fomentato nella mente di molti un’ideologia ben salda nei fasti di un passato ancora vivo. “Il fronte della gioventù”, il “FUAN”, “Avanguardia Nazionale”, “Ordine Nuovo” sono questi i nomi dietro il quale si rifugia l’estrema destra degli anni 70 con un’organizzazione e un’aggressività che fa braccio di ferro con il copioso numero di leve presente nell’estrema sinistra che in quegli anni non sembrano ricevere una particolare attenzione da parte delle forze dell’ordine. I neofascisti portano dietro le loro spalle tinte di nero i fasti di un passato che non mira al cambiamento e che invece opta per una linea di sangue ignobile lasciata in eredità dall’insulso cadavere “fu dittatore” di Piazzale Loreto e uccidono senza pietà e senza ragione, proprio come accadde nel 1973 a Faenza, quando uccidono un bracciante agricolo. In questo clima fatto di scontri e tensioni tra fazioni diametralmente opposti nasce l’antifascismo militante, un movimento antifascista che mantiene ben saldi i valori della resistenza, che si sviluppa dopo la Strage di Piazza Fontana e si concretizza tanto da essere considerato “Antifascismo militare”. A capo di tale movimento vi sono il servizio d’ordine che dalla metà degli anni 60 si occupa di proteggere i cortei dai neofascisti e dalla Polizia. “i covi fascisti si chiudono col fuoco sennò è troppo poco” è uno degli slogan di quel periodo che il 16 aprile del 1973 diventa concretezza con il Rogo di Primavalle, quando alcuni componenti del movimento extraparlamentare del movimento “Potere Operaio”versano cinque litri di benzina sotto l’ingresso dell’appartamento della famiglia Mattei che abita in Via Bernardo di Bibbiena. Doveva essere inizialmente un’azione intimidatoria ma si trasforma in un duplice omicidio in cui persero la vita Virgilio e Stefano Mattei, figli di Mario Mattei segretario locale del Movimento Sociale Italiano. Furono condannati Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo che lasciarono persino un cartello di rivendicazione sul luogo dell’eccidio. La politica è estremizzata in tutto e per tutto in quegli anni, tutto deve evidenziarsi secondo una sottile linea di demarcazione che separa destra e sinistra su qualunque fronte: sia nelle piazze che nelle città stesse in cui vi risiedono i gruppi poiché alcune zone erano vietate ai gruppi di fazione opposta. Ma il disagio sociale e generazionale ha radici ben più sopraelevata, poiché parte tutto da una delusione generale da parte del popolo nei riguardi della politica di allora. Nella sinistra del tempo c’è per esempio la sconfitta elettorale dei partiti estremisti e c’è il PCI che non riesce a vincere sulla Democrazia Cristiana che invece risultò ancora una volta il primo partito del Paese. Si attua il compromesso storico che allontana il Partito Comunista dai Movimenti. Sul fronte destroide c’è il MSI che nel 77 fu escluso dall’Arco Costituzionale e molti ne chiedono lo scioglimento, inoltre il segretario Giorgio Almirante viene messo sotto inchiesta. Si parla anche di una teoria chiamata “Opposti estremismi”, che gli opposti politici delle diverse fazioni sono equivalenti e pericolosi per la stabilità della democrazia che andrebbe rafforzata rafforzando i partiti di centro. Una bilancia che mira al raggiungimento dell’equilibrio bilaterale attraverso la calibratura del peso orientato sul bilanciamento verso il centro. C’è un uomo che a Roma decide di scavare a fondo nelle vicende che riguardano il terrorismo eversivo nero che mira a compromettere l’assetto Democratico costituzionale e si chiama Mario Amato. E’ il magistrato che in questi anni, a Roma, si occupa di tutti i processi relativi al terrorismo nero e la sua esposizione in merito a tale attività lo porta ad un elevato rischio poiché non trova l’appoggio di cui avrebbe bisogno. Amato aveva 42 anni, era arrivato alla Procura nel 1977, quando aveva ereditato i fascicoli del giudice Vittorio Occorsio, che prima di lui si era occupato proprio del terrorismo nero e che il 10 luglio del 1976 è stato ucciso dal neofascista Pierluigi Concutelli. Dopo Occorsio, è stato il primo magistrato a tentare uno studio del fenomeno globale del terrorismo nero ed esattamente 10 giorni prima di essere ucciso ha detto davanti al CSM: “attraverso i parziali successi delle indagini su singoli episodi terroristici sto arrivando alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi”. Quando Amato da Rovereto si trasferisce a Roma, gli viene subito affidato l’incarico di occuparsi di terrorismo ma viene lasciato completamente solo poiché le indagini di quel periodo erano incentrate sulla sinistra e le Brigate Rosse, il terrorismo nero viene notevolmente sottovalutato, un errore che avrà ripercussioni gravissime sull’assetto societario e per Mario Amato sarà fatale. Il magistrato si occupa di processi di terrorismo nero dal dicembre 1977 e tutto ebbe inizio quando gli affidarono il fascicolo del processo della Balduina. La sede missina di Via della Medaglie d’Oro, nel quartiere della Balduina è considerato uno dei più pericolosi luoghi di aggregazione dell’eversione di destra e viene chiusa dalla Polizia su disposizione del Ministro dell’Interno. Due stanze che si affacciano sulla strada e dalle quali sono partite la maggior parte delle missioni eversive di commando che metteva in ginocchio la città picchiando i cittadini con ferocia inaudita. Mario Amato si trovò a dover fronteggiare una questione molto delicata dove vi erano 17 arrestati, 10 latitanti e tra essi vi erano figli di Avvocati e professionisti, con circa 50 parti civili. Il processo in questione era per la ricostituzione del partito fascista e la direttissima è obbligatoria. Il 30 settembre viene ucciso Walter Rossi, simpatizzante di Lotta Continua ucciso da un proiettile che lo ha colpito alla nuca in Viale della Medaglia d’Oro mentre partecipava ad un volantinaggio antifascista, un brutale delitto che mostra quanto sia insulsa, becera e meschina l’azione dei neofascisti ai danni di un giovane. Nel corso della deposizione di Valerio Fioravanti, ex NAR, avvenuta presso il Tribunale di Bologna in data 11 novembre 1989 lui specifica: “A sparare a Walter Rossi erano stati Cristiano e Alessandra Alibrandi. Questo lo ha raccontato Cristiano a suo tempo”. Nell’ottobre del 1977 vengono chiuse alcune sezioni del movimento sociale e viene applicata la Legge Scelba del 20 giugno 1952 n.645 vieta la ricostituzione del partito fascista. Sulla base di questa legge, molti intellettuali e politici come Primo Levi chiedono lo scioglimento dell’MSI (Movimento Sociale Italiano), in periodo in cui sono numerose le manifestazioni che mettono a ferro e fuoco la Capitale, spingendo agglomerati di giovani a lanciare bottiglie incendiarie contro la sede della Democrazia Cristiana. Sirene, cordoni di Polizia e veri e propri episodi di violenza dove il fervore di un ideale si tramuta in atti criminosi in cui a pagarne le spese sono i cittadini. Numerosi gli scontri che si sono verificati a Roma tra fazioni politiche di destra e sinistra tra loro o con la Polizia nella seconda metà degli anni 70, il tutto si è culminato il 21 aprile 1977 con una sparatoria tra agenti e manifestanti nell’area di Autonomia Operaia in cui ha perso la vita l’agente Settimio Passamonti e sono rimasti feriti anche quattro commilitoni. Quella mattina la Polizia sgomberò l’Università di Roma che era occupata. Nel pomeriggio però vi fu una reazione con bottiglie di Molotov e armi da fuoco da parte del gruppo degli “Autonomi”, un movimento della sinistra extraparlamentare attivo tra il 1973 e il 1979. Un gruppo di manifestanti aprì il fuoco contro le forze dell’ordine e due proiettili raggiunsero Settimio Passamonti. Il giorno successivo furono vietate tutte le manifestazioni nella regione Lazio per un mese e il ministro dell’Interno Cossiga annunciò: “Deve finire il tempo dei figli dei contadini meridionali uccisi dai figli della borghesia romana”, il Partito Comunista Italiano appoggiò la decisione di Francesco Cossiga. Si unirono all’iniziativa anche i simpatizzanti del Movimento del 77 e vari appartenenti della sinistra extraparlamentare che protestarono contro la diminuzione di spazi di espressione politica e il clima repressivo che si era venuto a creare. Il 12 maggio 1977 erano scoppiati violenti sconti nel centro storico della capitale, Giorgina Masi era una ragazza di appena 18 anni e si trovava in compagnia del suo fidanzato ventunenne Gianfranco Papini, i due si erano uniti ad una manifestazione della sinistra extraparlamentare dell’Autonomia Operaia. Erano le 19.55 quando la coppia si trovava in Piazza Giuseppe Gioacchino Belli e un proiettive calibro 22 raggiunge la giovane all’addome. Immediatamente viene soccorsa e trasportata all’ospedale dove morì subito dopo. Giovani vite spezzate nell’ignoto e ingrato vortice di violenza gratuita generata dalla mancanza di ideali e dalla voglia di arrecare danno ad un sistema che prima li ha imborghesiti e poi tediati fino a spingerli alla coercizione verso una democrazia proletaria. Il lavoro di Mario Amato era difficile e per certi versi incerto, poiché il terreno su cui si poggiavano i suoi piedi era scosceso e non trovava una regolare linea da percorrere per affrontare al meglio un problema sociale in continua progressione. La prima volta che Amato si occupò di terrorismo nero fu nel corso di un’udienza dinnanzi al quale doveva essere dimostrata l’attività criminosa dei vari imputati e il vincolo associativo, il tutto però non aveva una solida spina dorsale. Il sostituto procuratore Amato non viene appoggiato da nessuno in questa dura battaglia che attanaglia un’Italia intera poiché l’attenzione massima degli inquirenti è rivolta alle BR e non vi è particolare attenzione per l’eversione di estrema destra e nei tre anni successivi rimane l’unico ad indagare sul terrorismo nero, esattamente come il suo predecessore Occorsio ucciso nel 1976 e in totale solitudine. Amato è costretto a trascrizione le intercettazioni telefoniche e le indagini di un mondo che fino al suo arrivo a Roma egli non conosceva, un mondo fatto di politica e lotta armata. Nel 1977 l’estremismo di destra raggiunge il suo punto cardine e sul territorio sono diversi i gruppi che si muovono, che portano dentro l’impronta della destra radicale come “Ordine Nuovo” e “Avanguardia Nazionale”, sciolti però per decreto del Viminale, c’è il gruppo “Terza Posizione”, che si muove principalmente nelle scuole e ci sono i nuovi gruppi armati formati da giovani neofascisti che gravitano attorno al FUAN (Fronte Universitario d’azione nazionale). Ma il rango sociale da cui proveniva la maggior parte dei manifestanti di estrema destra andava in netto contrasto con l’intento di cagionare un danno allo Stato e tale malcontento lo si può evincere dalle parole di Cristiano Fioravanti, ex Nar, nel corso della sua deposizione presso il Tribunale di Bologna il 31 ottobre 1989: “a me sinceramente dava molto fastidio il fatto che non potevamo fare scontri con la Polizia perché la Polizia era dalla parte nostra oppure che la Magistratura ci copriva” e inoltre ha aggiunto “era risaputo che i giovani di destra erano i figli di papà che rispettavano la legge”. Il Giudice chiede: a voi questo scocciava? Fioravanti risponde: “a me sinceramente molto, io volevo uscire da quegli schemi!”. Borghesi viziati con ideali tramandati dai nonni fortemente legati ai fasti di una dittatura ancora arenata nelle loro giovani menti ancora acerbe che credevano di annientare una democrazia che invece voleva evolversi e cambiare attraverso una politica di opposizione netta che mirava al cambiamento mediante politiche estremizzate di uguaglianza sociale, diritti civili e politici ai fini di un benestare comune che si discostava notevolmente con un palese quanto insulso vortice di egoismo mascherato in manifesto ideologico.
Nell’autunno del 1977 nascono i Nar, Nuclei armati rivoluzionari, sigla che racchiude l’azione di gruppi armati diversi indipendenti tra loro, la punta di diamante nel marasma di violenza è il gruppo guidato da Valerio Fioravanti: “dalla scazzottata alla bastonata, dalla bastonata alla coltellata, dalla coltellata alla pistolettata, dalla pistolettata alla raffica di mitra e siamo arrivati alla cosi detta lotta armata” come spiega al Giudice che lo ascolta silente. Il 7 gennaio 1978 è una data che rappresenta la svolta attuativa dei gruppi armati rivoluzionari di estrema destra poiché due militanti dell’MSI, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta vengono uccisi in un agguato in via Acca Larentia, l’evento è collegato alla morte di Stefano Recchioni avvenuta poche ore dopo per mano nel corso di uno scontro con le forze dell’ordine. Poche ore dopo i militanti organizzarono una protesta sul luogo dell’agguato ma non fu pacifica poiché qualcuno gettò involontariamente una sigaretta ne sangue e tale azione fu vista come un’offesa tale da indurre i manifestanti a distruggere le apparecchiature video dei giornalisti in loco. Alcuni giorni dopo arrivò una rivendicazione ufficiale da parte dei NAR mediate un nastro fatto ritrovare in una pompa di benzina: “Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi”. Da questo momento la violenza dei gruppi neofascisti e forze dell’ordine raggiunse livelli elevati, come dichiarò in seguito Francesca Mambro (ex NAR): “Acca Larenzia segna un punto di non ritorno”. Il numero di vittime e delle azioni criminali compiute dai NAR è secondo solo a quello delle BR ma a differenza di quest’ultime non vi saranno missive ma un solo volantino intitolato NAR: Chiarimento, in cui viene spiegato che cos’è lo spontaneismo armato secondo loro in cui si legge: “Tremate, l'ora è vicina! Sarà la resa dei conti. NAR”. In questo periodo vi erano continui morti ammazzati, rivendicazioni più o meno attendibili che facevano palesare una realtà ben distante dalla compagine criminosa che accorpava NAR con quei delitti. Mario Amato invece ebbe un’intuizione investigativa poiché si convinse che i diversi gruppi criminali prestavano il loro “servizio” ad un’unica regia criminale, convinzione che puntualizza dinnanzi al CSM il 15 marzo del 1980: “Qui a Roma si cercano i famosi NAR, che hanno rivendicato numerosi omicidi e attentati, e che ora sono divenuti ancora più virulenti. Recentemente sono state arrestate persone trovate in possesso di pistole e bombe a mano. Esaminando il fascicolo rilevai, utilizzando i miei appunti personali, ma anche un po' di schedario, che le bombe a mano trovate a dette persone avevano lo stesso numero di altre bombe a mano usate da altri, come quelle usate nell'attentato dei NAR alla sede del PCI, in cui rimasero ferite 22 persone. È evidente che non può essere una coincidenza. Resta il fatto che tale elemento l'ho evidenziato io in base a una serie di appunti che mi sono andato formando nel corso della mia attività, mentre nel rapporto della Digos non era indicato. Lavorare in tal modo è inconcepibile, siamo in pratica alle soglie della guerra civile e ci troviamo ancora in queste condizioni”. Le bombe a mano SRCM sono in dotazione all’Esercito Italiano e una cassa con circa 70 bombe è stata rubata nella primavera del 1978 dalla caserma di Tauriano di Spilimbergo, in prossimità di Pordenone. Valerio Fioravanti ha svolto il servizio militare in quella caserma e quando l’11 novembre 1989, al Tribunale di Bologna, il giudice chiede a Fioravanti se portò via armi o esplosivo lui rispose: “si, si. Bombe a mano. Cinquanta chili di bombe a mano in cassette…poi venticinque furono ritrovate e le altre riuscì a farle arrivare fino a Roma”. Bombe che arrivano nelle mani di molti gruppi che in quegli anni mettono a ferro e fuoco la città, che ribaltano un sistema precostituito da una ratio regis, facendo regnare la paura e il terrore sotto la sigla NAR. Tali bombe però non circolano esclusivamente nella ristretta cerchia dei borghesi incattiviti che vogliono rivoltare il sistema, ma arrivano persino nelle mani della Banda della Magliana. Mario Amato sta svolgendo indagini complesse, camminando su campi minati dove l’insidia ricopre quasi il totale del perimetro di area da lui analizzata. Le sue indagini sono difficili e l’ambiente in cui svolge il suo lavoro non lo aiuta di certo poiché non riceve l’aiuto e il supporto da nessuno e viene lasciato solo in un ambiente che in parte gli è ostile come la Procura di Roma che porta con se la nomea “Il porto delle nebbie”, definizione presa in prestito da un romanzo di Georges Simenon ma che non ha nulla a che vedere con il famoso romanzo poiché fa riferimento alle numerose inchieste che si aprivano e si chiudevano senza nulla di fatto. Sul finire degli anni 70 la Procura di Roma è spaccata da una contrapposizione tra magistrati di diversa estrazione politica, una situazione che viene ulteriormente aggravata dagli scontri sociali estremisti su cui Mario Amato sta concentrando, da solo, le sue energie. Amato venne invitato anche ad alcune feste che organizzava l’illustre psichiatra Aldo Semerari, ma lui rifiutò di presenziarvi perché non voleva mischiare lavoro e amicizie. Ma chi era Aldo Semerari? Un personaggio ambiguo che divenne noto per essersi occupato di molti casi giudiziari importanti negli anni 70, come l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, i membri del “clan dei Marsigliesi” e personaggi che gravitavano alla figura di Raffaele Cutolo. Attraverso il suo lavoro iniziò a favorire i criminali della Banda della Magliana e come confermò anche il pentito Fulvio Lucioli tra il 1978 e il 1981: “Il prof. Semerari era lo psichiatra di fiducia della banda. Ha fatto perizie per Selis, D'Ortenzi e probabilmente anche Colafigli. Un giorno venne da noi D'Ortenzi, detto “Zanzarone”, era il 1978, per dirci che Semerari ci proponeva di collocare delle bombe, credo a Roma, e di effettuare alcuni sequestri di persona, dandoci un elenco di nomi. Ci prometteva di far uscire le persone eventualmente arrestate per questi fatti, come del resto era già riuscito a fare con D'Ortenzi e con Selis messi fuori grazie alle perizie psichiatriche di favore. Ci fu un periodo, a Roma, in cui Semerari riceveva tutte le nomine di perizie psichiatriche dai giudici. Comunque anche se era perito di parte, il suo giudizio era talmente autorevole che nessun perito di ufficio lo contestava. Probabilmente Semerari, uomo dell’ultradestra, ci propose attentati con bombe per conto della sua area. Io e Selis rifiutammo la proposta che ci fece D'Ortenzi per conto di Semerari. I nomi delle persone da sequestrare sarebbero stati riferiti a D'Ortenzi da Semerari solo a condizione che avessimo accettato di fare alcuni attentati”, anche il terrorista di estrema destra Paolo Aleandri, nel corso dell’interrogatorio dell’8 agosto 1990, ha riferito: “L'istituzione di collegamenti tra gruppi eversivi dell'estrema destra e la malavita organizzata romana rientrava in un disegno strategico comune al prof. Aldo Semerari e al prof. Fabio De Felice, convinti che per il finanziamento dell'attività eversiva non fosse necessario creare una struttura finalizzata al reperimento programmatico di fondi, quando, senza eccessive compromissioni, si poteva svolgere un'attività di supporto di tipo informativo e logistico rispetto a strutture di criminalità comune già esistenti e operanti, onde garantirsi, lo storno degli utili derivanti dalle operazioni rispetto alle quali si forniva un contributo. Il primo collegamento venne realizzato attraverso Alessandro D'Ortenzi detto "Zanzarone", in un incontro che, se mal non ricordo, si svolse presso la villa del prof. De Felice. Per quanto ho potuto constatare di persona, i rapporti che intercorrevano tra il gruppo criminale denominato Banda della Magliana, o per meglio dire, tra i suoi esponenti, e il prof. Semerari, era quello di una sorta di sudditanza dei primi al secondo, il quale esercitava su di loro una notevole influenza in forza dei benefici che costoro si aspettavano di conseguire per effetto delle sue prestazioni professionali. Con il passar del tempo, probabilmente, in considerazione di aspettative frustrate dai fatti, ho potuto constatare un progressivo raffreddamento di rapporti degli uni verso l'altro”. Ma il Prof. Semerari era anche molto altro poiché era un fermo sostenitore delle folli teorie antisemite anche se nei primi anni cinquanta fu un milante della corrente stalinista del Partito Comunista Italiano. Era inoltre un collaboratore del Sismi ed era iscritto alla loggia massonica P2. Organizza anche sei summit in cui partecipano anche alcuni componenti della Banda della Magliana a cui illustra le sue strategie eversive estremiste che mirano a ledere lo Stato attraverso l’ausilio di bombe. Viene segnalato dal Sisde e il 28 agosto 1980 viene emesso un ordine di cattura nei suoi riguardi per un presunto coinvolgimento nella Strage di Bologna poiché alcuni neofascisti lo avevano segnalato come elemento di spicco. Scompare misteriosamente dall’hotel Royal di Napoli il 26 marzo del 1982 e tre giorni dopo arrivano due telefonate alla redazione de “Il Mattino” che ne rivendicano il sequestro ma l’epilogo avviene il 1 aprile 1982, quando un passante nota in Viale Elena un liquido rossastro fuoriuscire dalla portiera di una Fiat 128, intervengono immediatamente i carabinieri e sul lato passeggero scoprono la testa mozzata dell’uomo. Il movente del delitto è da ricercare in quello che poco prima era stato l’incarico che aveva preso in mano lo psichiatra, ovvero la scarcerazione di un boss legato alla NCO e successivamente uno della fazione opposta: un’azione che non è stata ben gradita. La Roma di quegli anni non era soltanto invasa da gruppi estremisti che tenevano costantemente impegnate le forze dell’ordine ai fini di mostrare una supremazia assoluta che voleva mostrarsi ben più sopraelevata rispetto ai poteri dello Stato ma vi erano anche dei gruppi criminali che agivano in varie zone, gestivano il commercio di stupefacenti che da Nord a Sud diventava sempre crescente e si occupavano di sequestri: a Roma c’era la Banda della Magliana. Nel 1977 viene sequestrato il Duca Massimiliano Grazioni Lante Della Rovere, il figlio del Duca si chiama Giulio ed è amico di Enrico Mariotti che gestisce una sala corse ad Ostia ed intreccia amicizie con Franco Giuseppucci detto “Er Negro”. Il sequestro del Duca riempie le casse della Banda e permette loro di poter investire sulla droga e suddividere le zone di controllo: i quartieri Testaccio e Trastevere vanno a Renatino De Pedis e Danilo Abbruciati detto “Il Camaleonte”, alla Magliana e al Trullo restano Abbatino e Danesi. Il 16 marzo del 1978 viene rapito il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro dalle Brigate Rosse. Secondo le testimonianze di alcuni pentiti, per ritrovare Moro viene chiesto l’aiuto a criminali della NCO (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo che incarica a sua volta il boss di Acilia Nicolino Selis. Quest’ultimo conosce bene Giuseppucci e le sue capacità e lo coinvolge per scovare il covo di Moro ma qualcosa non va come secondo i piani e Moro viene trovato cadavere. La Banda della Magliana intreccia la sua rete con i NAR e precisamente con Carminati, il tutto avviene quando Franco Giuseppucci conosce Carminati in un bar controllato dalla banda e tra i due nasce subito intesa poiché Carminati capisce che può usare la banda per arrivare ai suoi fini di natura politica dato che i NAR si finanziano attraverso le rapine e l’affare di Giuseppucci invece si consolida nel dato oggettivo che i soldi vengono investiti nell’usura. Viene quindi creato un arsenale comune come nascondiglio per le armi, in un luogo insospettabile ovvero gli scantinati del Ministero della Sanità all’Eur, ma tali rapporti non possono definirsi fruttuosi poiché Giuseppucci viene arrestato poco dopo per furto, azione che in realtà era stata compiuta da Carminati e compagni. Tra l’aprile e il maggio del 1979 scoppiano diverse bombe davanti al carcere di Regina Coeli, al Campidoglio, al Ministero degli Esteri e un altro ordigno con 55 candelotti stava per esplodere davanti al CSM. Il tutto viene rivendicato dal Movimento Rivoluzionario Popolare, altra sigla sotto la quale si maschera l’estrema destra e le indagini condotte da Mario Amato portano all’arresto di Sergio Calore. L’inchiesta di Mario Amato punta sul gruppo “Costruiamo l’Azione”, nato dalle ceneri di “Avanguardia Nazionale” e “Ordine Nuovo”. Il 7 giugno viene arrestato anche Paolo Signorelli, un esponente di spicco di “Ordine Nuovo”, le azioni di Amato però non vengono bene accolti e viene pesantemente attaccato da tutti i fronti. Mario Amato sostiene che Paolo Signorelli sia il burattinaio del terrorismo nero che si occupa di istruire i gruppi estremisti attraverso la propaganda e l’addestramento militare. Il 13 giugno del 1980 Amato, nel corso di un’audizione al CSM ha detto: “Siccome queste operazioni vengono compiute da persone che da anni e anni si battono per un certo tipo di ordine nuovo, non ci si può illudere che a un certo punto ci ripensino e dicano 'Va bene, ora diventiamo dei bravi ragazzi'. Dobbiamo ricordarci che se in un momento vi è un ristagno, tra un mese o tra un anno verranno allo scoperto, parlo di tipi come Freda come Signorelli, come Concutelli, come Saccucci, come Ventura e cioè di un ambiente di cui soltanto alcuni sono detenuti. Io ho delle prove per esempio di attività che continuano a svolgere tipi come Concutelli o come Tuti: si tratta di un'azione di pressione nei confronti dell'ambiente giovanile de Movimento Sociale”. Nel dicembre del 1979 l’estrema destra romana subisce una notevole spaccatura poiché tutti i gruppi di estrema destra vengono soppressi: le forze dell’ordine arrestano il capo del FUAN Dario Pedretti, Roberto Nistri, Peppe Dimitri mentre stanno portando armi in un covo. L’eversione nera a Roma raggiunge il suo apice agli inizi degli anni 80, quando i NAR di Valerio Fioravanti con l’appoggio di altre formazioni come “Terza Posizione” tergiversano lungo le strade della Capitale una scia di sangue senza precedenti. Walter Sordi, ex NAR, ha raccontato in data 12 marzo 1984 davanti al Tribunale di Bologna: “La prima azione compiuta con Fioravanti fu l'omicidio dell'agente Maurizio Arnesano. In origine lo dovevano fare quelli del nucleo operativo di Terza Posizione, però temporeggiarono troppo e quindi Giorgio Vale chiamò Valerio Fioravanti”. La vicenda portò ad un’ulteriore esposizione di Amato poiché predispose un ordine di cattura per Alessandro Alibrandi, figlio di un suo collega ma il Procuratore Capo di Roma non volle firmarlo e allora chiese al PM di firmare l’ordine di cattura: “Il Procuratore mi chiamò e mi fece vedere il riconoscimento di Alessandro Alibrandi, figlio di un nostro collega magistrato. Il teste aveva riferito di essere certo al cento per cento dell'identificazione: io dissi che sarebbe stato opportuno fermare Alibrandi sussistendo tutti i presupposti, ma la polizia oppose che non era possibile; che in precedenza si erano verificati degli episodi incresciosi in cui la polizia riteneva che il predetto giovane avesse avuto un trattamento di favore da parte del nostro ufficio e quindi non si azzardava ad andare a casa del collega Alibrandi per prendere il figlio con un provvedimento di fermo”. Dalle indagini emerse che furono Fioravanti e Valle ad uccidere l’agente e Alibranti risulta estraneo, tale arresto quindi lo ha esposto ulteriormente. Tale esposizione sarà fatale per lui poiché il 23 giugno 1980 tutto cambia quando un ragazzo di 30 anni si avvicina alla fermata dell’autobus e spara un colpo alla nuca ad Amato in Viale Ionio alla fermata che lo avrebbe portato nel suo ufficio di Piazzale Clorio. E’ stato freddato con un colpo di pistola alla nuca da un uomo a volto scoperto, sceso da una moto a grossa cilindrata guidata da un complice. Ad ucciderlo sono stati i Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari. Successivamente riesce a scappare a bordo di una moto con il suo complice. Valerio Fioravanti ha raccontato così l’omicidio in Tribunale a Bologna in data 11 novembre 1989: “L'’obiettivo Amato' era stato identificato da parte nostra per dare un segno evidente, plateale quasi, della rottura che poteva avvenire tra noi e quella serie di apparati dello Stato a cui eravamo stati come minimo 'simpatici' fino a quel momento». Ad ucciderlo, quindi, non è stato solamente l'esecutore, Gilberto Cavallini, ma anche come affermò Walter Sordi (ex NAR) il 12 marzo '84 «da quella perversa mentalità, da quella perversa logica che c'era in quegli anni a Roma: in quel periodo qualunque gruppo di Roma poteva essere il FUAN o poteva essere Terza Posizione, potevano essere i NAR o chiunque altro, aveva in animo di fare un attentato contro Amato. Quest'odio veniva da persone che avevano una certa esperienza, una certa capacità politica e un certo carisma”. Gli anni 70 sono stati anni difficili, dove vi sono stati eventi di varia natura che si sono susseguiti e che hanno cambiato notevolmente la morfologia della nostra società odierna. La politica attiva è presente, sia dal fronte dell’estrema destra che dell’estrema sinistra in cortei dove possono subentrare a gamba tesa poliziotti o avversari politici. Bastoni, spranghe, manganelli, pistole sono in mano a soggetti che non soddisfatti dal benestare sociale in cui vivono e in un paese in cui vi è un forte legame alle tradizioni fasciste che tanto si contrappongono ad una ipocrita propaganda di cambiamento ma che oggettivamente si materializzano radicali forme di suddivisione sociale che porta a creare delle spaccature interne che tendono a fomentare ulteriormente un reciproco astio che diventa lotta sociale. La borghesia che diventa elemento di giustificazione per ideali fascisti privi di ideologia legata ad una cultura con interessi sociali ma atta al compimenti di azioni coercitive ai danni di apparati dello Stato e soggetti singoli che sono diventati il monito di una lotta fine a se stessa che comunque pretendeva il rispetto dato in precedenza alle lotte partigiane che invece conservavano principi che miravano al benessere del popolo e alla conquista di soluzioni ai fini di un ottenimento di diritti fondamentali. Oggi la politica è soltanto una bandiera in mano a politicanti privi di ideali che hanno lo scopo unico di professare un’ideologia sterile e priva di valori aggiunti, la bandiera non è rappresentativa per i singoli soggetti ne tanto meno è rappresentativa per fazioni che vogliono manifestare il loro pensiero in piazza poiché oggi, tutto ciò, è pura utopia. La politica è un’ideale ma la speranza che quest’ideale diventi concretezza è una trappola. “Vi sono un sacco di ragazzi o di ragazzini che sono come i miei e i vostri figli, o come i figli di persone assolutamente perbene, che vengono armati o comunque istigati ad armarsi e che poi troviamo che ammazzano. Li troviamo con armi, con silenziatori, o colti nel momento in cui stanno ammazzando. Si tratta di un fenomeno grave che non può essere trascurato e che non si risolve prendendo i ragazzini e mettendoli in galera. O meglio, mettiamoli pure in galera, ma teniamo presente il gravissimo danno sociale di questi giovani che vengono travolti da vicende di questo tipo. Si tratta di un danno che noi pagheremo. Ciò che dico ovviamente vale sia per la sinistra che per la destra. Per la sinistra in numero spropositato, per la destra in numero ridotto perché le proporzioni politiche sono diverse. Ho fatto una relazione in cui indicavo la gravità del fenomeno, l'opportunità di seguirlo e di estendere le indagini, perché non ci interessa solamente arrestare la persona che ha commesso un reato: se tale persona fa parte di un'organizzazione, mi interessa catturarla ma poi risalire anche agli altri” sono queste le parole che il 13 giugno 1980 Mario Amato disse davanti al CSM.
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