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Editoriali

NAPOLI: LA VERA SCONFITTA DI RENZI

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Tempo di lettura 2 minuti Si va verso la conferma degli attuali assessori. “Squadra che vince non si cambia”

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di Marco Martone

Passato il momento di euforia, se vogliamo anche un pò populista, con caroselli, sventolio di bandiere e urla da stadio, per il neo-rieletto sindaco De Magistris è già arrivato il momento delle scelte importanti. Il primo quesito da affrontare sarà quello della formazione della nuova squadra di governo. Ieri De Magistris ha incontrato i giornalisti e il toto-assessori è stato uno degli argomenti più gettonati.

“Abbiamo cominciato a lavorare a pieno ritmo – ha detto De Magistris – in questi giorni vedrò tutti gli assessori e nelle mie intenzioni c’è di non perdere tempo. Dovrei avere la proclamazione in settimana. L’idea, poiché siamo una macchina da guerra, è che non possiamo avere vuoti di amministrazione e siccome squadra che vince non si cambia e il merito della vittoria è di tutti, la mia intenzione è di confermare intatta la giunta, con qualche ovvio cambiamento di alcune  deleghe”. Nessuna novità a Palazzo San Giacomo quindi, almeno per ora, perché come sottolinea lo stesso sindaco “questo non vuol dire che questa squadra sarà per sempre”. Ci sarà certamente da considerare anche la volontà degli stessi assessori, molti dei quali sono stati eletti consiglieri e dunque prossimi ad una scelta di campo che potrebbe cambiare il quadro della situazione. “Si tratta di scelte personali e politiche perché chi è eletto deve rispondere a un elettorato”, ha sottolineato il sindaco.
La Giunta comunque sarà composta da undici persone.

I prossimi giorni saranno anche quelli del confronto con tutti quelli che, in qualche modo, hanno partecipato alla vittoria elettorale. “Adesso si apre una fase politica interessantissima – ha spiegato De Magistris – che noi con tutta calma e senza ansia, affronteremo assieme ai miei collaboratori, agli assessori, agli elettori e ai militanti, attraverso una consultazione seria. Stiamo programmando incontri ad altissimo livello dal punto di vista internazionale – ha aggiunto – perché mi pare di capire che si sta sottovalutando quanto accaduto a Napoli, unica grande città che ha confermato un sindaco uscente e senza partiti né movimenti e che ha avuto contro una miriade di poteri forti”.

De Magistris, che ieri aveva in qualche modo teso la mano al premier Matte Renzi (“zero a zero e palla al centro”), dicendosi pronto ad un confronto, questa volta non manca di lanciare al segretario nazionale del Partito Democratico una velenosa frecciatina. “La vera sconfitta del presidente del consiglio è stata Napoli e questa cosa va raccontata”. Poi l’affondo finale, in perfetto stile garibaldino. “Noi siamo forti e lo deve essere sempre più anche la città, socialmente, economicamente, culturalmente e politicamente. Il timone è ben saldo e sappiamo quello che dobbiamo fare. Andiamo a costruire una fase nuova e andiamo a decidere tutti insieme cosa fare per il futuro. La vera rivoluzione è Napoli”.

De Magistris, però, ne ha anche per Fassino e per i Cinque Stelle. “I risultati di Torino e Roma sono importanti e belli. La sconfitta di Fassino interroga tutto il Pd. A Roma quello che c’è da vedere è se quello che (i Cinque Stelle ndr) dicono, lo riescono a fare governando la capitale. Noi, invece, l’esame del sangue l’abbiamo fatto, governando per cinque anni la città di Napoli”.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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