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MILANO – Per ragioni di salute, slitta di una settimana il processo in corso a Milano a Totò Riina imputato per minacce di morte al direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano. Lo ha deciso il Tribunale in seguito a una comunicazione del carcere di Parma in cui si spiega che il boss, detenuto al 41 bis, “non può essere al momento trasferito al di fuori della sezione detentiva” dell’ospedale della stessa città dove è ricoverato per via delle sue condizioni fisiche. Secondo fonti del Dap, Riina non è stato sottoposto ad alcun intervento chirurgico, come ipotizzavano alcune indiscrezioni.
Questa mattina, spiegano le fonti, per un lieve malore, determinato pare da un calo di pressione, i sanitari del carcere non hanno autorizzato il suo trasferimento nella sala delle videoconferenze per il collegamento col tribunale di Milano dove era in corso il processo a suo carico. Riina ha allora rinunciato a partecipare al dibattimento che dunque è stato rinviato
Secondo quanto riportato dal sito Quotidianosanità.it, Riina sarebbe stato stato operato ieri mattina all’ospedale di Montecchio Emilia per una conseguenza delle gravi condizioni di salute in cui versa.
Il boss di Cosa nostra sarebbe stato trasferito e operato nella struttura specializzata per interventi al pavimento pelvico. L’intervento avrebbe avuto esito positivo. Riina sarebbe già stato trasferito nel reparto dove è detenuto all’ospedale Maggiore di Parma dove è ricoverato da tempo in regime di 41 bis.
Nell’udienza dell’11 luglio sulla base di una relazione dei medici dell’ospedale emiliano, il Tribunale di Milano aveva stabilito che, malgrado “l’età avanzata” e le numerose “patologie”, il boss ha la “piena capacità di intendere e di volere” e il procedimento deve andare avanti. Da un lato, infatti, hanno scritto i medici, Riina soffre di una “cardiopatia” di “tale entità da condizionarne ogni attività” e che lo “espone costantemente” al “rischio di morte improvvisa”. Dall’altro lato, però, è “vigile e collaborante, discretamente orientato nel tempo e nello spazio”.
I suoi legali, gli avvocati Luca Cianferoni e Mirko Perlino, avevano provato a chiedere per il boss mafioso lo stop del processo (scaturito da intercettazioni ambientali di 4 anni fa nella casa di reclusione milanese dove era detenuto all’epoca) o in subordine una perizia per valutare la “capacità processuale”, ossia di comprendere di essere sottoposto a un processo. Richiesta bocciata
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