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Editoriali

Messina: di certi abusi non si parla

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di Vincenzo Giardino

I fatti di cronaca andrebbero comunicati tempestivamente per consuetudine giornalistica, ma anche nel rispetto dell’informazione ai cittadini. Avendo raccolto solo ora la testimonianza della protagonista di uno spiacevole episodio, non abbiamo esitato a pubblicarlo nonostante siano trascorsi tre mesi, in quanto da adito a spunti di riflessione.

 

La sera del 31 maggio di quest’anno alle 22:30 circa, in una stradina del centro di Messina, M.G., (una ragazza della quale non possiamo dare le generalità in quanto sono ancora in corso le indagini dell’autorità giudiziaria) viene aggredita e molestata pesantemente da una persona di colore, mentre si apprestava ad entrare nella propria autovettura parcheggiata nei pressi della sua abitazione. Solo la presenza di spirito della giovane donna ed il generoso interveto di persone che sono state allarmate dalle urla della stessa, hanno impedito che l’episodio avesse un tragico epilogo. Traumatizzata e impaurita M.G. sporge denuncia particolareggiata all’autorità giudiziaria e nei giorni scorsi è stata convocata per il riconoscimento dell’uomo attraverso foto segnaletiche, in questa occasione scopre di non essere stata l’unica a subire questo tipo di aggressione.

 

Ebbene, la cosa sconcertante è che questi casi non hanno avuto né un trafiletto nei giornali locali e nemmeno un minimo di attenzione da parte della cronaca tv delle emittenti televisive di Messina. In qualunque altra città dell’Italia “continentale” si sarebbe data un eco anche troppo esasperato, invece a Messina viene taciuto. Si è talmente diffuso tra la gente il luogo comune che in Sicilia non accadono episodi di molestie sessuali da parte di extracomunitari che le domande che sorgono spontanee sono: esiste un tacito accordo a non diffondere determinati fatti? Quali altre possono essere le motivazioni al silenzio? Certe notizie vengono tacitate per non fomentare l’odio razziale?

 

A voler pensare male ci potrebbe essere un’altra motivazione più banale e prosaica. La città di Messina è affollata di extracomunitari che vivono di espedienti, bighellonano per le strade cittadine, disturbano giornalmente gli automobilisti che si fermano ai semafori obbligati a subire le varie puliture dei vetri e dulcis in fundo alcuni sono dediti ad attività illecite. E dove alloggiano queste persone? Molti sono accatastati in appartamenti nei quali vivono ai limiti della decenza pagando cifre procapite di circa 200/250 euro. E chi sono i proprietari di gran parte di questi alloggi? Molti vanno ricercati in quelli che rappresentano l’establishment cittadino che, quando non possono più affittarli agli studenti, perché troppo degradati, vedono più profittevole l’affitto agli extracomunitari.

 

L’ultima riflessione, sempre a voler pensare male: Questi proprietari di immobili sono forse in grado di condizionare i media locali affinché non si faccia troppo rumore sulle malefatte dei propri inquilini? Messina attualmente ha come primo cittadino Accorinti (per chi non se lo ricordasse è il sindaco che veste la t-shirt pluristagionale). Nella sua campagna elettorale si presentò come il sindaco antisistema, ma è sotto gli occhi di tutti che Messina continua a subire un inarrestabile degrado anche per colpa della cattiva gestione amministrativa.

 

Messina come tante altre città italiane è diventata poco sicura, perché i controlli sono pochi e rari ed il rischio che episodi scabrosi, come quello che abbiamo narrato, possano diventare più frequenti è molto alto, pertanto è un dovere dei media informare la popolazione su certi rischi.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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