Mauro Rostagno: dopo 29 anni cosa è cambiato in Sicilia?

“Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto”. Questa frase rappresenta il sunto perfetto della vita e dell’impegno sociale di Mauro Rostagno, giornalista di RTC ucciso il 26 settembre 1988.

La società raccontata da Rostagno era quella degli anni 80, in cui molte famiglie possedevano una Fiat Uno oppure una Ford, si accendeva la radio, si apriva il finestrino mentre si percorreva il lungomare o l’autostrada e si scorrazzava ascoltando a tutto volume le hit parade dei fratelli Righeira, di Loredana Bertè o Samantha Fox che impazzavano su tutte le frequenze radiofoniche. La tv trasmetteva Studio 5 o il tanto amato programma culturale Help! E l’Argentina vinceva 3 a 2 contro la Germania Ovest nella Finale dei Mondiali dell’86.

Mentre le radio risuonavano le hit di quell’estate, in Sicilia tuonava l’eco delle armi, quei terribili colpi di lupara che colpivano mortalmente coloro che avevano osato intralciare un percorso criminoso ben delineato e che, altrimenti, non avrebbe potuto proseguire nel modo prestabilito. Una lupara che si muoveva nel silenzio, senza lasciare nessuna traccia e che colpiva irreversibilmente i servitori dello Stato o poveri innocenti e al contempo, direttamente o indirettamente, stendeva un velo di omertà negli occhi e nella bocca di quei testimoni che avrebbero potuto evitare il silenzio come arma di autodifesa. Un silenzio che invece, negli anni, si trasformato in una lama a doppio taglio, divenendo un’ulteriore ostacolo per gli inquirenti da dover fronteggiare per poter arrivare a giusti processi e relative condanne.

Erano anni in cui si contavano i morti ammazzati che si riversavano lungo le strade delle città sicilia-ne, una mattanza senza precedenti che trainava con se la paura di intere comunità destabilizzate dall’assenza di un colpevole consegnato alla giustizia; rimaneva nell’immaginario collettivo la figura di un ignoto che sparava e uccideva a bruciapelo e che si dileguava poi nell’ombra: Ninni Cassarà, il piccolo Claudio Domino di soli 11 anni, Giuseppe Fava, la Strage di Pizzolungo, soltanto per citare alcuni episodi che hanno caratterizzato la cronaca di quegli anni, cupi, grigi e grondanti di sangue. Vittime innocenti di quell’ombra oscura e minacciosa chiamata mafia.

Mauro Rostagno raccontava quella Sicilia che sembrava tutto fuorché trasparente, spiegando come la mafia, la politica e la massoneria facevano affari in una terra che invece, avrebbe dovuto vivere in luce e trasparenza proprio come quel magnifico mare che graffiava le sue coste. Rostagno non usava filtri comunicativi, era schietto, diretto e con un approccio rassicurante, goliardico e con uno spirito comunicativo remore dal suo passato politico prima e dalla sua esperienza in India dopo, che gli ha permesso di raggiungere un equilibrio di misura e di espressione tale da fruire informazioni comprensibili a tutti.

Sulla morte di Rostagno si è detto e scritto di tutto e di più, ma non siamo certamente qui a parlare di questo, vogliamo invece evidenziare l’eredità intellettuale che ci ha lasciato, il saper osservare e descrivere senza troppi preamboli la realtà circostante e diffonderla il più possibile e senza filtri, talvolta anche con il sorriso sulle labbra. Spesso ci si chiede cosa direbbe oggi Mauro Rostagno, se ve-desse e vivesse la Sicilia del 2017: c’è ancora la mafia e si parla ancora appalti, la droga purtroppo è ancora ben presente su tutto il territorio e le Forze dell’Ordine contrastano il problema quotidianamente, il problema dei rifiuti sussiste e sembra ancora ben radicato se non peggiorato, si parla ancora di corruzione nei palazzi del potere, di situazioni poco chiare un po’ ovunque, di interi Comuni commissariati per mafia, si parla ancora di massoneria e le stragi di Mafia sono ancora piene di ombre. Ma allora: cosa c’è di diverso rispetto a prima? Cosa è cambiato realmente in questa terra? Forse soltanto la musica in radio, le autovetture e i programmi tv hanno subito un cambiamento radicale, ma la regressione di un paese ancorato alle cattive abitudini, invece, è rimasta la stessa.

Angelo Barraco