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Editoriali

MATTEO RENZI, L'ORGOGLIO E… L'ARIA FRITTA

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di Emanuel Galea

Volevo avere ben chiaro il senso del termine orgoglio e mi sono quindi documentato. Posso quindi fare una sintesi di quello che ho appreso. Inizierei per dire che con "orgoglioso" si definisce una persona con una spiccata stima di se stesso e cieca fiducia nelle proprie capacità. Si gratifica di sentirsi osannato e allo stesso tempo è incapace di affrontare umiliazioni. Si nutre di applausi, lodi e ama sentirsi elogiare. L'orgoglioso ha di se un’alta opinione. Se il consenso, l’elogio e la stima degli altri verso di lui dovessero venir meno , se qualcosa non dovesse  andare secondo le sue aspettative o  desideri, allora l'orgoglioso diventa arrogante, e da sotto la crosta esce il suo vero  io, farcito di egoismo.

Bando ai preamboli. Ormai il gatto è fuori del sacco. Parlerò del personaggio politico Matteo Renzi.
Scelgo uno stralcio dal discorso che l'allora neo presidente del Consiglio fece al Senato per il voto di fiducia, diciassette mesi or sono. In quel discorso identifico l’orgoglio dell’aspirante presidente, pronto a partire con la lancia in resta, a cambiare l’Italia. Ecco il passaggio:
"Ci impegniamo a meritare la fiducia come Governo, perché pensiamo che l'Italia abbia la necessità urgente e indifferibile di recuperare la fiducia come condizione per uscire dalla situazione di crisi in cui ci troviamo. Il nostro è un Paese arrugginito, un Paese impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da regole, norme e codicilli che paradossalmente non eliminano l'illegalità: senza dover risalire alle grida manzoniane, l'idea che le norme che si sono succedute nel corso degli anni non abbiano prodotto il risultato auspicato è sotto gli occhi di tutti."

E’ tutto qui. Su questo discorso, solo su questo ”lancio programmatico”, la gente ha concesso a Matteo Renzi una “carta di credito prepagata, ricaricabile”. Gliel’hanno caricata con un consenso del 65,3% non per meriti accademici, non per onori e glorie in veste delle gesta da sindaco di Firenze. Di quell’esperienza i pareri sono contrastanti e il bilancio della sua gestione, sia alla Regione Toscana sia a Palazzo Vecchio non brilla certo di successi. La gente gli ha accordato la fiducia perché è simpatico, ha gli occhi vispi, ha la battuta pronta, è spiritoso. Berlusconi lo aveva definito quale una brava persona, intelligente e molto furbo.

Bastano queste qualità per fare di una persona il presidente del Consiglio?  Certamente no! Proprio qui il tallone di Renzi. Lui pensa il contrario, ha un’eccesiva stima di se e la presunzione non gli manca.
È più che evidente che lo slancio orgoglioso di Matteo Renzi reggeva sul nulla. Il suo orgoglio si può definire arroganza, incoscienza, perché magnetizzava gli italiani con una lenzuolata di riforme, e solo a pochi non sfuggiva il bluff.
Ha subito dimostrato la sua inesperienza e anche presunzione, il giorno stesso che solennemente, in trasmissione Urbi et Orbi annunciava la sua boutade di una “riforma al mese”. Nel nostro piccolo, avevamo scritto un pezzo “Vino nuovo in botti vecchie”, o si guastava il vino o si rompevano le botti. Ci siamo andati vicini. Il vino di Renzi si è guastato e perde consensi che calano a picco e i partiti che si erano auto- conservati in botti vecchie si sono tutti sfasciati.

Il risultato di diciassette mesi di “governo Renzi”, sono sotto gli occhi di tutti. Da parte del governo non si sente che frastuono di vasi stracolmi di vuoto e nell’ambiente s’innalza l’odore nauseabondo di aria fritta.
 Risparmio ai lettori l’elenco di tutte le riforme promesse e non mantenute, il fallimento delle città metropolitane, province e unioni di comuni che hanno fatto lievitare costi e organici. Ogni commento all’Italicum è superfluo, una legge elettorale che presta il fianco a tanti dubbi costituzionali. Quanto sia costituzionale il premio di maggioranza? Quanto il voto di ballottaggio? Quanto il nodo delle preferenze e le liste bloccate?
 Posso parlare della riforma del Senato, una beffa a danno dei cittadini un gioco di prestigio ben riuscito. Il Senato non c'è ma si vede ancora, più affollato di prima. Unica modifica è stata la cancellazione del voto popolare. Ora tocca la “riforma” della Rai, che tutto è fuorché una riforma. È un giro di  valzer, per rimodellare l’assetto delle spartizioni. Si può andare avanti, oltre la ricetta “spending  review” – maneggiare con cura.  Approdiamo alla tanta strombazzata ”buona scuola”. Di riforma non ha l’odore, è un provvedimento tutto teso verso la sistemazione di precari, l’assetto dirigenziale, la normativa per l’arruolamento del personale docente, parla di retribuzioni e di una tantum.  Mancano i riferimenti culturali e pedagogici. Si fa riferimento a un non meglio qualificata offerta formativa demandata al capo dell’istituto. Un’offerta formativa moltiplicata per tanti istituti per tanti Comuni italiani. Di ministro Giannini ne abbiamo uno solo. E meno male! Guai se ce ne fossero stati di più.

Tutto è detto e stra-detto. Tutto è stato scritto e archiviato e tutte le azioni producono un effetto. Per conoscere l’effetto basta misurare il consenso.
All’inizio della sua carriera presidenziale, il “fiorentino a Montecitorio” raccoglieva un consenso che faceva invidia al migliore pachiderma della prima Repubblica.  All’esordio godeva un consenso del 65,3%.  Renzi non ha saputo fare buon uso del credito a lui concesso, sulla parola, dalla gente. L’effetto 80 euro si è esaurito, il jobs act sta risultando una debole rimodulazione del sistema esistente e come tale inefficace contro la disoccupazione, in constante aumento. L'ultimo dato registra un ritorno a 12,7% del tasso di disoccupazione. Un quadro con uno sfondo del debito pubblico che lievita sempre e macina miliardi. Renzi annuncia che l’Italia sta uscendo dal tunnel. Uscirà senza meno, basta rimuovere quello stratosferico macigno del debito pubblico che sta ostruendo l’uscita.

Quella carta di credito prepagata sta andando in esaurimento. Il presidente ostenta finta fiducia e si rivela sempre più suscettibile alle critiche. Il suo specchio magico dei consensi lo dà in caduta libera. Oltre il 50% degli italiani non sembra più credergli. La stampa locale e nazionale che prima osannava ogni sua mossa gli sta voltando le spalle per non parlare della stampa estera, come il Financial Times. Gli italiani stanno realizzando che per governare un paese non basta avere una bella faccia, un bel sorriso, una lesta parlantina e occhi vispi. Nel caso di Renzi non c’è stata alcuna parabola.  La carriera di Renzi è calata dall’alto. La storia ci spiegherà cosa e chi abbia accomodato un sindaco senza particolari glorie, sullo scranno più alto di Montecitorio. Lo stesso quesito, all’inverso, lo avevamo posto quando Berlusconi abdicò a favore di Monti. Renzi oggi si trova a dover rifare la strada all’indietro. Citando il suo stesso discorso al Senato si può tranquillamente affermare  “senza dover risalire alle grida manzoniane, l'idea che le norme che si sono succedute con l’esordio  renziano non abbiano prodotto il risultato auspicato, dato questo che è sotto gli occhi di tutti.”

I primi ad affermarlo sono il 43,1% dei giovani disoccupati e dietro di loro segue tutto il resto.
 

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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