Published
11 anni faon
di Emanuel Galea
L’art. 83, titolo II della Costituzione italiana precisa che il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. Con l’abolizione del Senato, che fine farà quest’articolo? Che valenza avrà, dopo, quella dicitura “ Parlamento in seduta comune”?
In sostituzione dell’art.57 della Costituzione viene presentato il pasticciaccio di una bozza di disegno di legge costituzionale, datata 12 marzo 2014, con oggetto: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della seconda parte della costituzione”.
Il Senato andrebbe abolito e al suo posto subentrerebbe un nuovo assetto costituzionale con la nomenclatura di “Assemblea delle Autonomie” e avrebbe questa composizione:
– I Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano,
– Due membri per ciascuna Regione, eletti con voto limitato, dai Consigli regionali tra i propri componenti
– Tre Sindaci eletti da un’assemblea dei Sindaci della Regione.
– Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, a nomina del Presidente della Repubblica.
Il condizionale non è casuale, perché come tutte le riforme, di Matteo Renzi, entrano in Senato “sane e belle” ed escono “brutte ed incerottate”. Per questa riforma in particolare, e non osiamo pronunciarci per la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione, i partiti si sono scatenati e vanno all’arrembaggio. Rischiano di rendere questa “Alta Camera” simile ad un ospedale da campo dove restano ricoverate le proposte di Matteo Renzi.
Contro il giovane premier gioca il tempo e dopo quello perduto in trattative dentro il suo stesso partito, Renzi ora conta e spera di incassare il primo via libera in aula al ddl per la riforma del Senato e del titolo V entro “cinque o sei settimane”, ovvero entro il 10 giugno.
Il risultato non è però scontato. Calderoli è sempre in agguato. Quest’ultimo, infatti, ha chiesto e ottenuto, la convocazione per martedì 13 maggio, della giunta per il regolamento. Il vicepresidente leghista sostiene che il suo ordine del giorno votato in commissione, “rende nulla” l’adozione successiva del ddl del governo come testo base. La tesi di Calderoli non è pellegrina. Di fatti il primo contempla l’elezione diretta, mentre il secondo quella indiretta dei senatori.
Simili imboscate già si sono viste in passato. Allora correva l’anno 2004 e sullo scranno più alto del Senato sedeva Marcello Pera, anche lui agitandosi e facendo cenni ai commessi, gridava: “colleghi è inaccettabile! Togliete quei cartelli!”. Stesse scene già viste nei giorni della Cirami e del lodo Schifani. La riforma anche allora fu affossata a seguito di tre defezioni di An nel voto ai quali si era aggiunto quello dell’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga e quello di Fisichella.
Questa non è la riforma che ci si aspettava. Pochi concordano che l’operazione possa portare a dei risparmi reali. La riforma sconvolge tutti. Ci si può otturare il naso per i Presidenti delle giunte regionali autonome, per i sindaci, ma non si può mandare giù i ventuno senatori scelti dal Presidente della Repubblica. Un vero pasticciaccio!
Si può comprendere la fretta di Renzi di fare del tutto per portare quantomeno un’apparenza di riforme nel semestre europeo, ma a forza di correre sta inciampando in troppi pasticci.
Il vecchio saggio “chi lascia la strada vecchia per la nuova….” dovrebbe pure aver insegnato qualcosa a Renzi. Forse non sarà per suo demerito, ma quello che s’intravede non è una riforma, è solo un pasticciaccio. Fermiamoci finchè c’è tempo
Renzi si dimette da segretario del Pd. tensioni politiche. Di Maio esulta e Berlusconi tace. Salvini prende quanto il Pd
Elezioni 4 marzo 2018, andiamo a votare con buona memoria senza ascoltare il pifferaio dell’ultimo momento: ecco un riepilogo
Il treno (Pd) dei desideri, le promesse di Renzi e Boschi e le virtù dei genitori
D’Alema non balla il tango, Renzi perde i partners e Grasso aspetta il suo turno
Diritti, voti di fiducia e democrazia: sul treno con Renzi fermi nel tunnel
Frascati: Renzi, la festa dell’Unità e… l’amaro in bocca