Master Chef e i quattro giudici poco giudiziosi

 

di Paolino Canzoneri

Appena iniziata la sesta edizione televisiva di Master Chef, il talent show culinario condotto dai soliti quattro protagonisti oramai consolidati del mondo culinario nazionale e internazionale ossia Bruno Barbieri, Carlo Cracco, Joe Bastianich (che non è Chef ma imprenditore milionario statunitense con vari ristoranti dislocati nel territorio newyorchese e aziende vinicole in Italia), e lo Chef napoletano Antonino Cannavacciuolo da un paio di anni nel gruppo dei giudici.
 
Quattro cuochi dalle spigliate forme caratteriali ben distinte che insieme formano una giuria tutt'altro che omogenea quale valore aggiunto a diverse concezioni di giudizi spesso in contrasto tra loro ma nell'assoluto interesse nel cogliere spunti il più possibile  chiari ed esaustivi. Dall'altra parte della cucina ci sono i concorrenti, ovvero persone di ogni livello sociale e culturale che nella nuova professione di Chef ripongono le speranze di rimettere in gioco la propria vita quasi sempre vissuta e appesantita da un altro lavoro che non soddisfa e che crea in loro una esigenza di cambiamento; una rivalsa che rimetta in gioco la propria esistenza con una nuova professione e un riconoscimento che rappresenti uno stimolo e una gratificazione appagante derivata anche dalla concreta possibilità di aprire un locale di ristorazione grazie alla somma in danaro messa in palio per il vincitore.
 
Nel corso delle precedenti edizioni è andato sempre più evidenziandosi un comportamento rigoroso da parte dei giudici verso i concorrenti al solo scopo apparente di effettuare una "scrematura" attuata   per selezionare e scovare i veri talenti che meritano di proseguire nella sfida per via della loro perizia, estro, fantasia e arte. A colorire le prove sempre più complesse il rigore millimetrico e "recitato" dei quattro giudici che dopo una lunga gavetta giovanile nelle cucine di tanti ristoranti sono riusciti, ognuno a modo proprio, a crearsi un piccolo impero imprenditoriale nella ristorazione e da anni praticamente non cucinano quasi più passando dalla gestione amministrativa dei loro locali, scrivere dei libri di ricette, fino ad abbracciare definitivamente il nuovo ruolo di star  della televisione dalla indiscussa autorevolezza e dalle capacità di critica e giudizio che le "stelle" conseguite negli anni di lavoro gli hanno indissolubilmente conferito.
 
"Tanta roba" che ha messo a nudo però alcuni effetti collaterali che sembra oscurino un po quella compostezza che si deve sempre saper mantenere nel rapporto con le persone, talenti o non tali. Spesso si assiste a pronunciati sbeffeggiamenti e mancanza totale di rispetto verso persone che ce la mettono tutta cercando di dimostrare le proprie capacità. Un rispetto violato tante volte con sogghigni, risatine, parole umilianti e spesso vere e proprie manifestazioni di disprezzo come il lancio del piatto preparato dal concorrente che silente e mortificato non proferisce parola e mesto assiste alla propria pubblica "messa alla gogna". Si può arrivare ad immaginare quali possano essere le trame complesse e spesso becere dei format televisivi costruiti sulla pressante pubblicità di decine di marchi e loghi sempre evidenziati con inquadrature ad hoc e oltremodo creati per fare più "audicence" possibile, ma assistere a questa palese mancanza di rispetto per le persone rasenta e supera il cattivo gusto.
 
Quello che colpisce maggiormente non è solo la derisione gratuita di persone che nel loro animo ci hanno creduto sinceramente, ma il livello del cattivo gusto che arriva a situazione imbarazzanti quando spesso dalla bocca degli stessi "Chef" si levano frasi clamorose come per esempio "questo risotto è una merda". In casi come questi è da reputare veramente insopportabile usare certi aggettivi quando si parla del cibo e della sua sacralità. Non è auspicabile che si usino in una stessa frase le feci e il cibo ma putroppo tocca assistere a queste frasi pronunciate da professionisti autorevoli che del cibo dovrebbero averne assoluto rispetto e quasi una fede visto che gli hanno dedicato la vita intera.
 
Per quanto male possa essere stato cucinato un piatto, esso contiene comunque del cibo e non va nè lanciato in aria e tantomeno associato ed offeso con aggettivi dispregiativi ed umilianti. Una mancanza palese di stile e poca educazione forse sostituita da copiosi guadagni e beceri interessi per la notorietà che nel corso della vita hanno fatto cambiare "i gusti e i sapori" tanto difficili da imparare e studiare in gioventù. Ad oggi è fondamentale capire quanto il cibo e la sua elaborazione rappresenti una arte vera che impone perizia e rispetto. Il format televisivo deve sapere premiare i talenti e le eccellenze e saper spiegare le lacune e gli errori senza che parole, urla o gesti violenti diventino una prassi per aizzare i leoni a sbranare i cristiani nel Colosseo.