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Editoriali

Master Chef e i quattro giudici poco giudiziosi

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Tempo di lettura 3 minuti Spesso si assiste a pronunciati sbeffeggiamenti e mancanza totale di rispetto verso persone che ce la mettono tutta cercando di dimostrare le proprie capacità

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di Paolino Canzoneri

Appena iniziata la sesta edizione televisiva di Master Chef, il talent show culinario condotto dai soliti quattro protagonisti oramai consolidati del mondo culinario nazionale e internazionale ossia Bruno Barbieri, Carlo Cracco, Joe Bastianich (che non è Chef ma imprenditore milionario statunitense con vari ristoranti dislocati nel territorio newyorchese e aziende vinicole in Italia), e lo Chef napoletano Antonino Cannavacciuolo da un paio di anni nel gruppo dei giudici.
 
Quattro cuochi dalle spigliate forme caratteriali ben distinte che insieme formano una giuria tutt'altro che omogenea quale valore aggiunto a diverse concezioni di giudizi spesso in contrasto tra loro ma nell'assoluto interesse nel cogliere spunti il più possibile  chiari ed esaustivi. Dall'altra parte della cucina ci sono i concorrenti, ovvero persone di ogni livello sociale e culturale che nella nuova professione di Chef ripongono le speranze di rimettere in gioco la propria vita quasi sempre vissuta e appesantita da un altro lavoro che non soddisfa e che crea in loro una esigenza di cambiamento; una rivalsa che rimetta in gioco la propria esistenza con una nuova professione e un riconoscimento che rappresenti uno stimolo e una gratificazione appagante derivata anche dalla concreta possibilità di aprire un locale di ristorazione grazie alla somma in danaro messa in palio per il vincitore.
 
Nel corso delle precedenti edizioni è andato sempre più evidenziandosi un comportamento rigoroso da parte dei giudici verso i concorrenti al solo scopo apparente di effettuare una "scrematura" attuata   per selezionare e scovare i veri talenti che meritano di proseguire nella sfida per via della loro perizia, estro, fantasia e arte. A colorire le prove sempre più complesse il rigore millimetrico e "recitato" dei quattro giudici che dopo una lunga gavetta giovanile nelle cucine di tanti ristoranti sono riusciti, ognuno a modo proprio, a crearsi un piccolo impero imprenditoriale nella ristorazione e da anni praticamente non cucinano quasi più passando dalla gestione amministrativa dei loro locali, scrivere dei libri di ricette, fino ad abbracciare definitivamente il nuovo ruolo di star  della televisione dalla indiscussa autorevolezza e dalle capacità di critica e giudizio che le "stelle" conseguite negli anni di lavoro gli hanno indissolubilmente conferito.
 
"Tanta roba" che ha messo a nudo però alcuni effetti collaterali che sembra oscurino un po quella compostezza che si deve sempre saper mantenere nel rapporto con le persone, talenti o non tali. Spesso si assiste a pronunciati sbeffeggiamenti e mancanza totale di rispetto verso persone che ce la mettono tutta cercando di dimostrare le proprie capacità. Un rispetto violato tante volte con sogghigni, risatine, parole umilianti e spesso vere e proprie manifestazioni di disprezzo come il lancio del piatto preparato dal concorrente che silente e mortificato non proferisce parola e mesto assiste alla propria pubblica "messa alla gogna". Si può arrivare ad immaginare quali possano essere le trame complesse e spesso becere dei format televisivi costruiti sulla pressante pubblicità di decine di marchi e loghi sempre evidenziati con inquadrature ad hoc e oltremodo creati per fare più "audicence" possibile, ma assistere a questa palese mancanza di rispetto per le persone rasenta e supera il cattivo gusto.
 
Quello che colpisce maggiormente non è solo la derisione gratuita di persone che nel loro animo ci hanno creduto sinceramente, ma il livello del cattivo gusto che arriva a situazione imbarazzanti quando spesso dalla bocca degli stessi "Chef" si levano frasi clamorose come per esempio "questo risotto è una merda". In casi come questi è da reputare veramente insopportabile usare certi aggettivi quando si parla del cibo e della sua sacralità. Non è auspicabile che si usino in una stessa frase le feci e il cibo ma putroppo tocca assistere a queste frasi pronunciate da professionisti autorevoli che del cibo dovrebbero averne assoluto rispetto e quasi una fede visto che gli hanno dedicato la vita intera.
 
Per quanto male possa essere stato cucinato un piatto, esso contiene comunque del cibo e non va nè lanciato in aria e tantomeno associato ed offeso con aggettivi dispregiativi ed umilianti. Una mancanza palese di stile e poca educazione forse sostituita da copiosi guadagni e beceri interessi per la notorietà che nel corso della vita hanno fatto cambiare "i gusti e i sapori" tanto difficili da imparare e studiare in gioventù. Ad oggi è fondamentale capire quanto il cibo e la sua elaborazione rappresenti una arte vera che impone perizia e rispetto. Il format televisivo deve sapere premiare i talenti e le eccellenze e saper spiegare le lacune e gli errori senza che parole, urla o gesti violenti diventino una prassi per aizzare i leoni a sbranare i cristiani nel Colosseo.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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