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Editoriali

Marsala: una movida assente per un'amministrazione silente

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Tempo di lettura 3 minuti Montesano: “La città sembra assopita, poca gente per strada, silenzio opprimente”. Casano: “Ho perso completamente le speranze da musicista di poter vivere dignitosamente di musica a Marsala”

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di Angelo Barraco

MARSALA (TP) – “La vera musica è il silenzio. Tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio” disse il grande Miles Davis. Una frase impregnata di poesia e introspezione che senza ombra di dubbio invita tutti coloro che la leggono a riflettere sul significato della musica e quanto sia importante guardare oltre certi schermi prefigurati all’interno di un pentagramma. Un silenzio citato dal grande maestro che è diventato ratio legis a Marsala, una splendida cornice che negli anni 90 era la culla degli eventi musicali in tutto il territorio, in cui artisti da ogni parte della Sicilia e d’Italia si mobilitavano per suonare ed esibirsi sui palchi di una città che valorizzava il territorio e l’arte. In quegli anni la città non era ricca di locali come oggi e la memoria storica riporta alla mente giornate dedicate alla libertà artistica e culturale. Nel corso degli anni sono cambiate le dinamiche amministrative e organizzative della città, il fervore giovanile degli anni 90 che ha reso celebre la città con la costante voglia e determinazione di gruppi intenti ad organizzare e migliorare lo spaccato culturali di una piccola cittadina si è affievolito e tutto si è adattato ai tempi e alle mode. Il silenzio sopracitato da Miles Davis è pian piano diventato uno status quo in quella che una volta era una città in cui le iniziative artistiche e culturali non mancavano e l’ultima ordinanza firmata dal Sindaco Alberto Di Girolamo che riguarda gli orari per le attività di intrattenimento e diffusione sonora nei locali del centro storico, sia all’aperto che al chiuso, ha creato un certo malcontento comune che ha fomentato il malcontento da parte di coloro che svolgono l’attività musicale per professione, ma anche da parte di coloro che suonano nei locali del centro esclusivamente per condividere una serata con amici. Il provvedimento prevede che tutti coloro che sono in possesso di regolare autorizzazione di concessione di suolo pubblico non devono più ottenere ulteriori permessi da parte del Comune per la diffusione della musica, il tutto deve rispettare le norme presenti nel testo di pubblica sicurezza e quindi non deve produrre inquinamento acustico. Il tutto riguarda sia locali aperti che chiusi. La diffusione di musica nei locali è consentita dal lunedì al giovedì fino all’1 di notte e il venerdì e sabato invece fino alle 2. Per i festivi invece l’orario è stato fissato all’1 di notte. Una situazione che ha decisamente portato a lamentele e ad un’atarassia non indifferente in un centro storico che prima invece pullulava di arte e intrattenimento in ogni angolo.

Giancarlo Montesano, residente a Marsala da tanti anni, affermato regista nonché fratello del celebre attore Enrico Montesano ci ha descritto la situazione che vige in città così: “Se vi andate a fare una passeggiata, dopo aver mangiato la solita pizza del sabato sera, non credo che vi troverete immersi in quella che viene definita la “movida marsalese”. La prima impressione, se non è troppo tardi, è che la città sembra assopita, poca gente per strada, silenzio opprimente. Poi all’improvviso una massa di persone si  riversa in strada, la città si rianima. Ma non c’è più quell’atmosfera che si respirava gli anni passati. I locali del centro non offrono più la musica dal vivo. Motivo? Troppe spese e poco guadagno. Tassa sul suolo pubblico a livello di rapina a mano armata. L’unica realtà è solo l’Antico Mercato che vive di vita notturna giovanile, a parte i locali discoteca. Ma questa non è movida. La movida era atmosfera, animazione, divertimento ma attenta ai movimenti culturali, artistici, ed anche con quel pizzico di intellettualismo che caratterizzava gli anni 80”.

Abbiamo inoltre parlato con Salvo Casano, affermato e stimato batterista professionista marsalese, diplomato al conservatorio che dopo tanti anni di studio ha deciso di … [Continua]

[ESTRATTO DALL'ARTICOLO DE L'OSSERVATORE D'ITALIA VIRTUAL PAPER – PER LEGGERE L'ARTICOLO COMPLETO CLICCARE QUI PER APRIRE L'EDIZIONE DEL GIORNALE E ANDARE A PAG. 6]

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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