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Castelli Romani

Marino, montano polemiche sulla Sagra dell’Uva e non solo

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Lettera aperta di Maurizio Aversa
Mettiamo in fila qualche notizia: come riportato dal web, tra i “naviganti” stranieri che cercano di assumere notizie – si presume turistiche o ai fini delle eccellenze locali – sull’area dei nostri amati Castelli Romani, la località più ricercata è Castelgandolfo. A seguire, Frascati, Marino e Nemi. Pensiamo al lavoro che svolgono, istituzionalmente e/o secondo forme di volontariato organizzato che coinvolge il Terzo settore e gli enti locali con annessi operatori economici, il Sistema Castelli Romani (il cui cuore pulsante è stato da sempre il sistema delle biblioteche, e quindi la cultura), o gli organismi sovranazionali, nazionali e locali della Via Francigena (opera incessantemente da noi il Gruppo dei Dodici per la Francigena del sud), nonché la trama di iniziative che ruotano attorno alla prestigiosa Associazione delle Città del
Vino: sono tutti questi, non sempre in prima pagina o in vetrina, gli interlocutori che motivano certe scelte di ricerca, quelle che spingono a curiosità gli stranieri e non solo, sul web e non solo. Ovviamente concorrono a tutto ciò, non ne sono gli unici protagonisti: ma ad essi va comunque tutto il nostro plauso.

La nostra società, come quella europea al pari dell’occidente capitalista, è bloccata. Il mercato è un modello fallito che procura solo guai, se non tragedie. Lo tocchiamo con mano con le politiche belliciste volte a guidare, se non dominare il mondo, perché dalla nostra storia e cultura pensiamo (il capitalismo malato pensa) che ne derivi solo quella opzione.
Errato! L’evoluzione della storia e l’immissione dell’idea comunista – per taluni il completamento del messaggio “socialista” ante-litteram di Gesù Nazareno – con Marx e l’esplosione sulla scena della classe operaia organizzata e delle rivoluzioni, sia quelle di liberazione e sia quelle sociali, sono lì a dimostrare che – al netto di errori e non
ripetibilità copia/incolla nelle varie realtà – quella spinta e quelle idee possono aiutare a comprendere che per organizzare la società degli esseri umani non c’è solo mercato, non ci sono solo rapine da attivare nei confronti dei deboli (singoli, classi, popoli, Stati), ma c’è un altro modo di poter convivere. Ad esempio, per dire cose concrete, la proposizione della Via della Seta che prevede collaborazioni e aiuti, e non mira a “dominare”. Così come, nella pratica
internazionale, al di là delle differenze che ci sono, ma coesistono, nella proposta dei vari Stati (per essere chiari: quelli che cumulano il 75% della popolazione mondiale) che NON vogliono un mondo unipolare (a guida USA e NATO e chi a loro si piega per timori o convenienze), ma propongono un mondo “multipolare” con varie sfere di influenza:
economica, culturale, politica. All’interno degli strumenti dati nel 2024, cioè la rivoluzione tecnologica che può aiutare a scegliere cosa produrre (per utilità, per sfamare, per difendere l’ambiente, ecc.) e come produrlo, anche senza necessariamente sfruttare lavoratori, addetti, ecc., ci si può indirizzare nella scelta di lavorare meno per lavorare tutti, e rendere bastevole la produzione dei beni per vivere. La conclusione di ciò è che in tal modo resta disponibile il tempo di vita che ogni singolo può scegliere: per la cultura, per lo sport, per l’arte da coltivare o godere, per il piacere della cura della persona (sia se stessi, sia altra persona cara). Bene, e quindi?

Quindi in tale visione che è possibile perseguimento (io la chiamo società socialista, altri società umanitaria, altri in altro modo… ma questo non è un problema) di una società diversa da quella attuale, chi svolge attivamente, con le varie motivazioni che lo innescano, una qualsiasi delle azioni di cui dicevo all’inizio – la cultura, la ricerca, le proposte della
conoscenza e delle eccellenze del nostro territorio, così come di altri in altre parti del mondo – secondo me contribuisce ampiamente a cambiare lo stato delle cose. Al pari – anche se io affermo, non per fare graduatorie, che la prima resta la spinta rivoluzionaria – di tutte le lotte per la pace, per la libertà dei popoli, per l’uguaglianza, per la giustizia contro lo sfruttamento ecc. In tal senso, anche difendere il rispetto di tradizioni e strumenti che sono stati e sono utili – pure al di là della motivazione originale da cui sono scaturite – per riproporre la qualità, di storia e di cultura, e la conoscenza di comunità e di produzioni, è una azione da non ritenere secondaria. Per questo, continuando con la fila delle notizie: è quest’anno che ricorre il centenario della Sagra dell’Uva. Un Comitato, abbiamo letto, ha attivato una qualche forma di
attenzione al tema. Gli ideatori di un Premio Letterario Nazionale (di cui è presidente onorario Vittorio Nocenzi) intitolato a Moby Dick, hanno da tempo (in particolare uno su tutti, lo scrittore Marco Onofrio) espresso in ogni luogo di cultura o di politica, che la “Sagra dell’Uva” non dev’essere un “evento” ma un “programma permanente” di dodici mesi con tanti capitoli al proprio interno: con il clou, naturalmente, della prima settimana di ottobre e delle fontane che danno vino. Ecco, se ci scrolliamo di dosso un certo guardare l’ombelico nostro, forse possiamo comprendere davvero come la qualità della proposta non di un programma, non di una ricorrenza, ma di una possibilità qualitativa culturale, tradizionale, sociale e perfino economica, può agevolmente essere condivisa da moltissimi, se non da tutti. Riferito ai
cittadini – in primo luogo operatori politici, culturali ed economici – locali, ma non solo. Detto in altro modo: nel passato, dove probabilmente c’era maggiore possibilità di intervento culturale plurale e disponibilità economica per il ruolo che svolgevano gli enti locali, c’è sempre stata una “deliziosa” concorrenza a paragonare le edizioni della Sagra.
Ma per superarsi in meglio, non per sbeffeggiare la precedente!

Per questo ben si comprendono, e sono perfino condivisibili nella loro spinta motivazionale, le prese di posizione di Forza Italia e del PSI a Marino circa le dure critiche per la decisione di incaricare un direttore artistico – alias manager – per la Sagra dell’Uva. Ora si sottolinea in particolare che viene proposto un non marinese, ed è un punto opinabile. In ogni caso è molto, molto, molto errato interpretare, al pari di quanto, in qualche modo, è stato già fatto nel recente passato, la proposizione/gestione della Sagra dell’Uva, ovvero il suo centenario, come fosse un festival della canzone.
Marino non è Sanremo! Detto altrimenti: le esperienze svolte con le esposizioni artigianali, artistiche, culturali, con la proposizione dell’Ente Sagra di Giulio Santarelli; o le riproposizioni delle stesse con la Sagra-scandalo proposta con un mese di attività culturali e undici associazioni culturali giovanili a gestire direttamente programmi e borsa con avanzo di
cassa destinato trasparentemente alle associazioni stesse, con la presidenza onoraria della Sagra a Nanni Loy a titolo gratuito e con la presenza attiva del regista a Marino; o, ancora, le esperienze della valorizzazione delle botteghe e delle osterie per l’azione messa in campo da Giselda Rosati… sono state tutte con un timbro “riconoscibile”: dare alla città
rispetto delle tradizioni, riconoscimento degli organismi come associazioni e ProLoco, sbocco a notorietà ai fini turistici e di “ricadute economiche”. Certo ben visibili nel caso del Gotto d’Oro, ma non solo. Ora il salto, che ancora non c’è stato (ecco il perché di questo intervento), è il non fermarsi al programma della Sagra; non fermarsi all’anno del centenario; è, proprio come suggerisce Marco Onofrio: svolgere la Sagra dell’Uva in attività annuale, per tutti gli anni a venire. Un marchio di contenuto, sul territorio, non solo un “mordi e fuggi” di un giorno, di una settimana, o di un periodo un po’ più lungo per il centenario. E come suggerisce un uomo di cultura, oltre che stimato politico locale, Fabio Mestici: con energie che sono se non necessariamente marinesi di sette generazioni, comunque marinesi di
residenza e/o frequentazione assidua. Che avrebbe detto o scritto Leone Ciprelli di tutto ciò? Non lo so e non voglio forzare la mano, ma le scelte di oggi sono nelle nostre mani e mi permetto di dire al Sindaco e alla Giunta comunale che nelle loro mani, in cui si concentra l’aspetto decisionale, ci sono sia l’opportunità della “gestione” di questa storica
occasione, ma anche la soverchia responsabilità di tenere in dovuto conto le sensibilità di tutta la pluralità della cultura marinese, così come del macigno di responsabilità ulteriore per quanto vorranno tracciare per le generazioni che verranno circa questo magnifico aspetto socio-politico-culturale. Resta il quesito: ci sono sensibilità, capacità e volontà di scelta per tutto ciò? Sarà presto verificabile.

Maurizio Aversa è attualmente componente del Comitato Centrale (PCI nazionale), membro della Segreteria regionale (PCI Lazio), coordinatore del PCI Castelli romani. È stato: Assessore alla Cultura e attività produttive del comune di Marino (sindaci Mario Mercuri e Leonardo Massa), Assessore alla cultura ed educazione ambientale del Parco dei Castelli romani (presidente Aldo Settimi), capogruppo PCI al comune di Marino (sindaco Lorenzo Ciocci) e alla Usl Marino Ciampino, oltre che segretario cittadino PCI a Marino.

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Castelli Romani

Monte Compatri, parco Calahorra: il degrado senza fine

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“Anni fa con un gruppo di amiche ed amici la tenevamo pulita e funzionale.
Vederla ridotta così piange davvero il cuore”.

INGRESSO ALLA VILLETTA

Sono queste le parole che fanno da sottofondo alle immagini che ci hanno inviato alcuni ragazzi di Monte Compatri basiti nel rientrare, dopo qualche anno, dentro parco Calahorra, per tutti la Villetta.
Una storia potremmo dire “sfortunata” per quello che potrebbe essere uno dei fiori all’occhiello della cittadina dei Castelli Romani.

PANCHINE DIVELTE e sporcizia SULLA TERRAZZA NATURALE CHE GUARDA ALLA BELLEZZA DI MONTE COMPATRI

Dai miliardi spesi durante l’amministrazione di Emilio Patriarca (1985/1990) per la realizzazioni dell’imponente portale d’ingresso e per l’anfiteatro, demolito poi dall’amministrazione di Marco de Carolis e trasformato in parcheggio per passare alle tante iniziative di pulizia collettiva con sindaci, assessori, consiglieri comunali e cittadini (ultima nel giugno del 2022, ove il delegato al verde, Elio Masi, dichiarava “… da oggi inizia una nuova stagione per Parco Calahorra che vedrà coinvolte associazioni e cittadini per una piena fruizione già a partire da questa estate …” ) ma senza poi trovare una continuità degna del rispetto che il luogo merita. (Monte Compatri, grandi pulizie per Parco Calahorra (osservatoreitalia.eu))

panchina divelta sul “balconcino” naturale che mostra il paese

Noi – ci dicono – ci provammo anni fa con l’associazione Brother Park. Installammo giochi per bambini oggi scomparsi”.
So io – risponde un altro – in quale giardino privato sono finiti!
Avevamo realizzato sentieri, costruito passaggi, realizzata una fontanella, realizzato tutto l’impianto elettrico di illuminazione. Poi è finito tutto.

NEL VIDEO QUEL CHE RESTA DELLA FONTANELLA E DEL CHIOSCO REALIZZATI DAI RAGAZZI DI BROTHER PARK

Addirittura – aggiungono – spendemmo circa 3000 euro di legname per realizzare un chiosco del quale non rimane più traccia”.
“Vedi – ci indica un luogo – dove sta quel mucchio di rovi avevamo realizzato un campetto da calcetto compreso di porte e di una rete per evitare che il pallone venisse perso. Che tristezza!
Nel vedere negli occhi di questi ragazzi la rassegnazione di chi spende il proprio tempo per la collettività e poi ritrova le proprie fatiche ed il proprio impegno ridotto a desolazione fa davvero male.

IN QUESTO VIDEO CI MOSTRANO IL LUOGO DOVE SORGEVA IL CAMPO DI CALCETTO ORA RICOPERTO DA ROVI

Basterebbe un impegno minimo, aggiungono, noi ci siamo cresciuti. Ci abbiamo giocato da bambini come crediamo ogni generazione di monticiano.
Noi oltre ad avervi inviato i video e le foto non siamo rimasti con le mano in mano.
In questi giorni abbiamo risollevato il secchio per la spazzatura, tolto un po’ di erbacce, pulito dove era possibile.
Ci investiamo volentieri il nostro tempo perché la Villetta torni ad essere il giardino di tutti”.

C’è qualcosa che vorreste dire all’amministrazione comunale?
Guardi noi siamo disposti a dare una mano, abbiamo provato a chiedere per avere la possibilità di poter almeno fare una manutenzione regolare di questi spazi, ovviamente autorizzati.
Lo faremmo per il paese, lo faremmo per le tante famiglie che, qui dentro, potrebbero davvero trovare un’oasi di pace.

uno dei tanti sentieri impraticabili ricoperti da rovi e sterpaglie

E mentre andiamo via loro continuano silenziosi ma sereni a provare a regalare alla Villetta qualche giorno di pulizia ed ordine

Come sempre chiederemo all’amministrazione comunale il loro punto di vista inviando all’ufficio stampa una richiesta di colloquio con il sindaco e con il consigliere delegato
Anche in questo caso vi terremo aggiornati.

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Castelli Romani

Monte Compatri, giovani fuori controllo: sputi e insulti a un pensionato

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Mastrofrancesco: “Ormai siamo fuori controllo”

È di mercoledì la notizia dell’aggressione con sputi, insulti e strattonamenti a Monte Compatri, da parte di alcuni minorenni, ai danni di un pensionato già dipendente comunale e molto conosciuto in paese.
Un motivo banale all’origine del tragico fatto: il “NO” alla richiesta di una sigaretta.
Anche stavolta, a leggere i commenti su Facebook, è stato “l’effetto branco” a far scaturire la violenza “sedata” per il pronto intervento di alcuni cittadini accortisi del fatto.
Ma la “brutta storia” sui social ci è finita perché è duro l’attacco del consigliere comunale di Monte Compatri, Agnese Mastrofrancesco, che, senza mezze  misure ha “tuonato” contro un’assenza di sicurezza che tra troppo tempo la fa da padrone nella cittadina dei Castelli Romani.
Dopo l’omicidio di Ivan Alexander nel capolinea della Metro di Pantano, le baby gang che impazzano spesso nello stesso piazzale, passando per la tentata rapina al bancomat della centralissima Banca di Novara e i tentativi maldestri nella stessa notte ai parcometri ed a un negozio centralissimo ed in ultimo, ma solo a livello temporale, agli aumenti di furti nelle abitazioni, Monte Compatri sembra più avvolta da una spirale di violenza che dalla tranquillità.
Abbiamo contattato la consigliere Agnese Mastrofrancesco alla quale abbiamo rivolto le nostre domande.


Consigliere Mastrofrancesco ma che succede a Monte Compatri?
Ormai siamo fuori controllo, non c’è vigilanza del territorio, mi dispiace dirlo, ma stiamo diventando terra di nessuno. Polizia locale che passa solo con la macchina di servizio, per richiamare l’attenzione dei ragazzini che giocano a pallone sotto la passeggiata, fischiano dal finestrino della macchina, senza scendere, li ho visti io personalmente – aggiunge con tono deciso.
Si limitano a passare solo in macchina oppure viene la comandante e senza modi, toglie il pallone ai bimbi di 6 anni.
Le dico che la settimana scorsa in molti hanno assistito ad una scena “pietosa” tra il comandante ed una mamma che quasi veniva alle mani.
Il comandante della Polizia Locale che strilla in piazza: ma dove siamo arrivati? Il Il fatto che indossi una divisa dovrebbe far capire che il primo che deve  rispettarla è chi la indossa.
Strilli, inveisci sei aggressiva e poi pretendi rispetto. Pensi, mi hanno detto, che quando e andata via i ragazzi dal muretto le hanno gridato ” scema scema”.
Si può andare avanti così?

Lei è mamma di due splendidi ragazzi. Faccio più la domanda a “mamma Agnese” che al politico: cosa è mancato a questi ragazzi che hanno aggredito il suo concittadino?
Bella domanda, credo che la colpa sia di tutti noi. Famiglia, scuola ed istituzioni. Non mi sento di escludere nessuno.
La famiglia è importante, indispensabile, essenziale, ma pensiamo a chi non è fortunato ed ha problemi seri in famiglia, problemi di violenza o economici, che facciamo li abbandoniamo?
La scuola dovrebbe controllare, contenere ed educare e a volte anche “punire” ragazzi con atteggiamenti violenti.
Stesso vale per le istituzioni che dovrebbero affrontare il problema e non girare la testa dall’ altra parte.
Non servono i soldi del PNRR se poi hai un paese allo sbaraglio: bancomat rotti, furti, violenze , alcolismo … e mi fermo qui

Un quadro triste per Monte Compatri; anche stavolta abbiamo inviato all’ufficio stampa del Comune la richiesta di avere, perlomeno, due parole da parte dell’amministrazione comunale.
Lo facciamo non solo di prassi ma per avere un ulteriore punto di vista sulla situazione.
Ci auguriamo, almeno stavolta, che vi sia una risposta.

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Angelo Polimeno Bottai presenta il libro “Mussolini io ti fermo”

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“O lo battezzate o ve lo riprendete. Io una bestia non l’allatto!”
Sono queste le parole che la balia frascatana Teresa rivolge ai genitori del piccolo Giuseppe Bottai contenute nel libro “Mussolini io ti fermo” che il nipote, Angelo Polimeno Bottai, presenta oggi nel salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria.
Sono l’incipit a questa serata che racconta, attraverso le pagine del libro, la storia e la vita di una delle figure che hanno rappresentato il ventennio fascista.

Emanuela Bruni ed Angelo Polimeno Bottai

C’è un profondo legame tra Frascati e l’autore del libro in quanto la città tuscolana, dice, “è parte stessa della nostra vita, infatti mio nonno venne battezzato nella Cattedrale di San Pietro ed io, molti anni dopo, ricevetti nella stessa Chiesa la Prima Comunione”.
Figura molto controversa, Giuseppe Bottai, viene “raccontato” attraverso una attenta analisi storica proprio per evitare, come dice lo stesso Angelo Polimeno Bottai, che “gli affetti prendessero il sopravvento sulla verità storica … è stata davvero una grossa responsabilità”.
Il quadro che emerge dalle pagine del libro narra un giovane Bottai lontano, nei primi anni della giovinezza, dalla politica ma che poi, vivendo, con la sua famiglia, nello storico quartiere romano Macao, resta colpito dalla presenza e dalla prestanza dei militari.
Siamo a ridosso della Grande Guerra alla quale Giuseppe Bottai prende parte come volontario negli Arditi riuscendo a mettersi in luce per il suo ardimento che lo porterà a ricevere una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor militare.
Alla fine della guerra conosce e frequenta Benito Mussolini “rimandone folgorato” – dice l’autore – legandosi a quello che diverrà il “duce” attraverso un “rapporto travagliato con quest’uomo non altissimo di statura ma imponente nel carattere e nel modo di essere”
Un legame che può essere racchiuso nel titolo della rivista che Giuseppe Bottai fonda nel 1922, Critica Fascista, (da ricordare che tra gli abbonati di tale rivista figura Antonio Gramsci) proprio a sancire un atteggiamento molte volte contrario dello stesso Bottai ad alcune scelte che condurranno quella che originariamente vuole essere una rivoluzione che vuole riportare ordine e legalità in un paese, l’Italia, attraversato da molteplici attività anarchico socialiste che portano a terre occupate e centinaia di scioperi, ad una vera e propria dittatura.
“Ci sono due anime nel fascismo: quella che incarna mio nonno, i revisionisti, e quella che fa capo a Roberto Farinacci, gli irriducibili” spiega con estrema chiarezza Angelo Polimeno Bottai precisando che l’intento della “fazione” a cui fa capo il nonno cerca di convincere il Duce a mettere le mani nelle riforme necessarie allo sviluppo del paese per farlo risorgere da quella vittoria dimezzata che è stata la fine del Primo Conflitto Mondiale.
Ed una profonda frattura, spiega ancora, avviene immediatamente dopo la notizia del rapimento del deputato socialista, Giacomo Matteotti, definito da Giuseppe Bottai il “più efferato, inumano e stupido delitto che si potesse commettere verso un uomo di parte avversa e contro l’idea che anima la nostra parte”; una vera e propria condanna che culmina nella frase “bisogna trovare i responsabile anche se fossero nelle alte sfere”.
Questo, ovviamente, come riportano le pagine del libro, pone lo stesso Giuseppe Bottai ai margini del regime che sta nascendo che non è “inviso alle grandi potenze”, spiega Angelo Polimeno Bottai, ma che non pensa minimamente ad una alleanza con la Germania che sta divenendo hitleriana.
Addirittura, spiega, “ci sono liti profonde tra la stampa italiana e quella tedesca” fino al punto che alla cacciata degli ebrei dalla Germania molti di questi addirittura arrivano nel nostro Paese ed è la guerra d’Etiopia, nella quale Giuseppe Bottai si arruola, diventa il “punto di non ritorno” che segna in modo inesorabile l’alleanza italo/tedesca.
Le sanzioni permettono ad Hitler di legare con un patto economico e sodale l’Italia di Mussolini determinando il fatto che, spiega l’autore, “l’innamoramento di Giuseppe Bottai verso il duce si incrina ma rimane una lealtà critica che non determina affatto la rottura del rapporto”.
Ed è in questo momento che la frattura con l’area degli irriducibili di Farinacci raggiunge punti davvero enormi arrivando all’approvazione delle Leggi Razziali.
Lo stesso Roberto Farinacci fa girare la voce che Bottai sia d’origine ebraica per estrometterlo ed il risalto che questa notizia ha a livello internazionale diventa sempre più grande (addirittura si trova in molti giornali francesi e tedeschi).
La scelta di Giuseppe Bottai, divenuto Ministro dell’Educazione, di applicarla in maniera dura diventa, al tempo stesso, “un’angoscia” ed una “responsabilità” necessaria.
La prova di questo suo momento difficile si ritrova nella corrispondenza riportata tra le pagine del libro ove un carteggio con l’allora vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, l’avvocato Aldo R. Ascoli mostra l’apertura di Bottai verso gli ebrei italiani valuta la possibilità concreta di “concedere particolari benemerenze a famiglie di ebrei in cui qualcuno abbia acquisito meriti particolari, militari o civili”.
“Due parti in commedia” spiega Angelo Polimeno Bottai dimostrando, ancora una volta, il forte attaccamento di Giuseppe Bottai all’origine rivoluzionaria del fascismo di cui resta innamorato.
Le contrapposizioni con Farinacci aumentano esponenzialmente: Bottai redige, durante il mandato che lo vedo governatore della Capitale, i piani per la creazione di EUR 42, l’Esposizione Universale di Roma che si sarebbe tenuta nel 1942 (a ragione si crede che nessuno nei primi anni del ’30 pensasse ad una Guerra Mondiale), ed in antitesi al premio Cremona, Bottai da vita dapprima al premio Bergamo e successivamente manda in stampa la rivista Primato che diviene uno dei capisaldi della cultura italiana del momento.
Sulle pagine del “Primato. Lettere e arti d’Italia” scrivono le firme italiane più eccellenti, da Nicola Abbagnano a Galvano della Volpe, da Walter Binni a Mario Praz, da Dino Buzzati a Vasco Pratolini, passando per Quasimodo, Montale, Ungaretti, Guttuso ed un giovanissimo Eugenio Scalfari ebbe a dire “su il Primato potevo scrivere liberamente mettendo alle corde Farinacci”.
Un’oasi culturale che dimostra la libertà di pensiero di Giuseppe Bottai ed il suo vano tentativo di riportare il fascismo a quegli albori che erano rimasti nel suo animo rivoluzionario.
Oasi che, attraverso poi l’emanazione di quella che divenne la legislazione per la difesa delle opere d’arte italiane fino alla creazione dell’Istituto Centrale del Restauro, porta alla salvezza di un enorme patrimonio artistico del nostro paese grazie anche alla collaborazione di personalità del calibro di Giulio Caio Argan, in chiave e funzione antinazista concretizzandosi anche sul piano prettamente pratico.

Il libro si conclude con i tragici momenti che portarono al famoso 25 luglio 1943 dove una “dittatura” decreta una successione, una piena antitesi al concetto stesso di dittatura.
Giuseppe Bottai è uno di quelli che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi e per questo, condannato in contumacia, dai tribunali della Repubblica Sociale, dapprima si rifugia in Vaticano fino a giungere poi sotto il falso nome di Andrea Battaglia a combattere vestendo la divisa della Legione Straniera per la liberazione della Provenza dalle truppe naziste.

Due momenti importanti da sottolineare orchestrati da due ex sindaci della città di Frascati: Roberto Eroli e Stefano Di Tommaso.
Quest’ultimo, attento ricercatore, legge una lettera scritta dal Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Paolini, ed indirizzato al ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Stefano Di Tommaso con in mano la lettera indirizzata da Alessandro Paolini a Giuseppe Bottai

Roberto Eroli invece esorta Angelo Polimeno Bottai a ricercare, tra i diari del nonno Giuseppe, informazioni che possano fare ulteriore luce sul tragico bombardamento effettuato dagli alleati l’8 settembre 1943 della città di Frascati.

nella foto, da sx, Angelo Polimeno Bottai, Roberto Eroli ed Emanuela Bruni

Una serata che ha riportato i tantissimi presenti nei giorni ancora vivi di quel Ventennio Fascista.

Colpisce, e non poco, la frase dell’ultima di copertina del libro nella quale, Angelo Polimeno Bottai, scrive “Nato pochi mesi dopo la sua morte, Giuseppe Bottai purtroppo non l’ho mai incontrato. Un doppio dispetto del destino: come nipote e come giornalista. In questa seconda veste, tuttavia, posso raccontare chi è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato ragione e coscienza del 25 luglio 1943”.

il direttore de “Il Tuscolo” ed amico Fabio Polli con Angelo Polimeno Bottai

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