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MARINA MILITARE: EROI SILENZIOSI, EROI OGNI GIORNO – IL VIDEO REPORTAGE DI TIZIANA BIANCHI

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Tempo di lettura 8 minuti La giornalista Tiziana Bianchi dal 27 novembre al 5 dicembre scorsi è stata imbarcata su due unità della Marina Militare impegnate nell’operazione “Mare Sicuro"

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Redazione

Una chiacchierata davanti a un caffè con la giornalista Tiziana Bianchi che ci ha raccontato una esperienza emozionante. Bianchi dal 27 novembre al 5 dicembre scorsi, con specifica autorizzazione del Ministero della  Difesa, è stata imbarcata su due  unita` della Marina Militare (il Bergamini ed il Cigala Fulgosi) impegnate nell’operazione “Mare Sicuro” nel mare prospiciente la Libia . Dopo gli attentati di Parigi, “Mare sicuro”, iniziata nel marzo di quest’anno e` stata implementata. La Marina Militare, oltre a sottrarre da morte certa le vite di migranti, svolge anche attività` di polizia di alto mare per la sicurezza delle  navi, trasposto merci e pescherecci.Durante questo periodo Tiziana Bianchi ha vissuto a stretto contatto con l’equipaggio: “Sono stata trasferita da una nave all’altra in elicottero trovandomi, tra l’altro, a trascorrere la festività di Santa Barbara, patrona della Marina Militare, che a bordo si vive in maniera del tutto singolare. Insieme con i militari, sono stata calata su un’idrobarca, avendo l’opportunità` di osservare e vivere in prima persona il salvataggio di migranti. Nell’arco di 5 ore da notte fonda all’alba, in 3 diversi eventi, ne sono stati salvati 301”. Buona visione


Di seguito l’articolo – reportage redatto da Tiziana Bianchi
Il 2015 nel mondo e, in particolare, per noi italiani, sarà certamente ricordato per due straordinari eventi: l’EXPO e l’apertura dell’anno giubilare. Si tratta di eventi di natura molto diversa, al centro dei quali si pone l’uomo in relazione alla propria vita terrena da un lato e spirituale dall’altro. L’essere umano che oggi, proprio su questi aspetti, è chiamato a difendersi dall’espressione di un’involuzione di se stesso verso un cinico individualismo o, peggio, egoismo, teso ad alterare il rapporto tra gli uomini di culture diverse. Un vero e proprio declino di valori, che nella realtà, lo scorso anno, si è tradotto in trentacinque attacchi terroristici commessi dal Daesh e costato la vita ad oltre 890 persone. Ciò che è accaduto a Parigi il 13 novembre scorso, poi, ha definitivamente segnato i confini tra un’Europa aperta, culla dei valori di civiltà e pacifica convivenza, e l’Europa pervasa dalla paura che, in nome della sicurezza dei propri cittadini, si è sbilanciata verso pericolosi nazionalismi a dispetto di azioni comuni e coordinate tra gli Stati membri. L’innalzamento di muri di confine e la chiusura delle frontiere contro l’ingresso dei migranti ha, d’un colpo, rinnegato i principi cardine sui quali questa Europa affonda le proprie radici.
Come sottolineato anche dal Presidente Mattarella il 14 dicembre scorso, “limitare gli ambiti di libertà equivarrebbe a cedere al terrorismo e tradire i principi di democrazia e tolleranza”. Per il Capo dello Stato, infatti, “chiudere le porte di fronte a queste masse di esseri umani che fuggono da guerre, fame ed oppressione, equivale a cancellare conquiste civili e sociali faticosamente raggiunte”. In linea con le parole del Presidente, bisogna dar atto che l’Italia, oltre a non chiudere le proprie frontiere, perseguendo sempre la linea del dialogo, nel rispetto della sacralità della vita umana, non ha atteso il verificarsi dei tragici eventi per predisporre adeguate misure di prevenzione a tutela della sicurezza. Infatti, dal 12 marzo scorso, dispiegando quattro unità navali della Marina Militare, quattro elicotteri, e circa mille uomini e donne costantemente nel mare prospicente la Libia, ha dato inizio all’operazione Mare Sicuro.
Ed, invero, alla luce dei numerosi attacchi successivi, quasi due terzi dei quali concentrati nella cintura nord africana, tra Libia, Tunisia ed Egitto, la decisione di vigilare proprio quel tratto di mare che ci separa da questi Paesi ha, certamente, sottratto all’illegalità un’importante via di accesso all’Italia e, attraverso essa, all’Europa intera. Peraltro, dopo Parigi e gli altri attentati in Mali e in Libia, Mare Sicuro è stata implementata e, oggi, il Gruppo Navale si compone, di cinque unità.

L’operazione si caratterizza per l’attività di polizia di Alto Mare su una vasta area di 80.000 miglia nautiche quadrate, tutelando la sicurezza dei cittadini e gli interessi economici del Paese. Tenuto conto che il traffico nel Mediterraneo Centrale negli ultimi 13 anni è aumentato del 123%, il Gruppo Navale svolge attività di tutela sia del traffico di merci che della flotta peschereccia italiana, (la terza dei Paesi europei). Un settore che in Italia produce 43 miliardi di valore aggiunto, dando lavoro a 800mila persone. In quel tratto di mare, inoltre, la Marina Militare protegge i siti italiani di estrazione energetica, non solo per esigenze di approvvigionamento, vista la nostra scarsità di risorse, ma anche a tutela di possibili danni ambientali derivanti da un eventuale attacco. Si tratta, insomma, di proteggere specificatamente rilevanti interessi nazionali, di considerevole valore per l’intera economia italiana. Inoltre, le nostre navi contrastano le organizzazioni criminali dedite ai traffici illeciti, compreso lo sfruttamento del traffico di migranti, provvedendo alla sottrazione dei mezzi e all’arresto dei responsabili.
Ma sono i numeri a testimoniare il positivo esito di questa intensa attività, grazie alla quale, nel 2015 sono stati assicurati alla giustizia ben 502 scafisti e tratte in salvo circa 35 mila persone, senza considerare le oltre 151 mila salvate nel 2014 nell’operazione Mare Nostrum. Sì, “persone”, è cosi che preferisco ricordare a me stessa che l’aggettivo “migrante”, altro non riguarda che un essere umano che, esattamente come me, prova dei sentimenti, delle emozioni e condivide gli affetti familiari….Salvare una vita in mare, per un marinaio, è un obbligo morale. “Nessuno può essere lasciato morire in mare”, mi ha rammentato il Comandante Francesco Laghezza a bordo del Cigala Fulgosi.

Ci troviamo a largo del canale di Sicilia, ed è proprio il Comandante Alberto Tarabotto, al comando della Fregata Bergamini, al quarto turno dell’Operazione che, con disarmante naturalezza, mi racconta dell’abbordaggio di un peschereccio che trainava un’imbarcazione con oltre 250 persone: l’intervento del team della Brigata Marina San Marco e degli incursori di Marina (COMSUBIN) hanno consentito di mettere in salvo i natanti in difficoltà e, contestualmente, assicurare alla giustizia 5 malviventi.
Ma chi sono questi speciali uomini e donne della Marina Militare che, non dimentichiamo, analogamente ai militari delle altre forze armate, giurando fedeltà alle istituzioni repubblicane, mettono a disposizione la propria vita, fino all’estremo sacrificio?

Lo domando al Contrammiraglio Pierpaolo Ribuffo, a bordo di nave Bergamini, al comando dell’operazione Mare Sicuro. Ci troviamo in zona operazioni, proprio davanti alle coste libiche, raggiunte dopo circa due giorni di navigazione.
D. Ammiraglio, lei è rimasto a bordo con i suoi uomini per oltre 6 mesi consecutivi, ci può spiegare quali sforzi comporta per un marinaio svolgere questo genere di attività?
R. Si tratta, da un lato, di saper dosare le proprie emozioni, le proprie forze, il proprio stato d’animo e riuscire ad affrontare situazioni di pericolo, contro agguerriti criminali, per sventare tentativi di sequestro ai danni dei nostri pescherecci o a soccorrere con mare agitato i migranti. Dall’altro, di far fronte alla mancanza protratta nel tempo dei propri affetti, ma in questo le nostre famiglie ci sono di conforto, abbiamo delle famiglie consapevoli e molto speciali.
D. La Marina Militare si caratterizza per un elemento non comune ad altre forze armate, l’equipaggio. Che cosa significa far parte di un equipaggio e cosa significa comandarlo?
R. L’Equipaggio è un gruppo di persone direi straordinarie, all’interno del quale, quando si va per mare, si creano delle dinamiche virtuose, si condividono le stesse emozioni, le avversità del momento, la lontananza dai propri cari. Comandarlo significa avere la capacità di essere immersi in questo gruppo, a stretto contatto per percepirne gli umori ma, allo stesso tempo esserne distaccato per poterlo condurre senza che nessuno abbia mai la percezione o il dubbio che un ordine possa essere discusso.
D. Il 28 dicembre 2014, lei è stato protagonista di uno dei più importanti salvataggi nella storia della Marina, della navigazione in generale, per numero di vite tratte in salvo. Al termine delle operazioni, svolte in coordinamento con la Guardia Costiera e l’Aeronautica Militare, sono state salvate 427 persone e anche 2 cani. Una Marina Militare più vicina e al servizio della popolazione?
R. La Marina Militare appartiene alla popolazione ed è al servizio della popolazione nella quotidianità. Siamo orgogliosi di aver fatto bene il nostro lavoro.
D. Nella società odierna la Marina Militare si fa portatrice di valori per così dire, d’altri tempi, di passione, di lavoro, di condivisione?
R. È cosi, basiamo il nostro modo di vivere sui valori, sulle nostre tradizioni. Devo dire che i giovani sono assetati di valori, ne hanno bisogno per crescere e scoprire loro stessi. Abbiamo dei giovani straordinari che, quotidianamente, ci sorprendono in positivo. Siamo davvero ottimisti, è bello averli con noi.

Sul Bergamini incontro anche, il Comandante Catia Pellegrino, Capo Servizio Operazioni,
recentemente insignita dal Presidente Mattarella con il titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per il salvataggio di numerose vite in mare, autrice del libro edito da Mondadori, "La scelta di Catia", scritto a bordo di nave Libra. La Marina rappresenta per lei una vera e propria scelta di vita che con orgoglio e fierezza le consente di svolgere il lavoro che ama. “Le persone che operano in Marina sono persone che sacrificano tutte se stesse per gli altri senza risparmiarsi, a dispetto della stanchezza, della fatica…”, ha tenuto a precisare. Secondo il Comandante Pellegrino, il vero appagamento, “arriva dagli uomini che lavorano con te tutti i giorni, che ti riconoscono quello che fai con un sorriso o uno sguardo fiero dritto negli occhi”.
Qualche giorno dopo, restando davanti alle coste libiche, a bordo di un elicottero mi trasferisco sul pattugliatore Com.te Cigala Fulgosi, che vigila un diverso quadrante di mare. È una nave più piccola, diversa, ma è proprio grazie a questa diversità che posso verificare quanto l’equipaggio e la nave siano in simbiosi. La nave non è solo lamiera assemblata, ma è un’entità che riesce a influenzare il proprio equipaggio, esattamente come nell’ippica è il rapporto cavallo e cavaliere. È il binomio che vince o che perde. Sul Cigala Fulgosi, 80 uomini circa, condividono piccoli spazi che obbligano ad una continua e forzata convivenza anche nelle ore di riposo dal servizio.

Ma ciò che di certo ha segnato questa esperienza, è accaduto nel cuore della notte del 3 dicembre scorso. Non avevo sonno e mi trovavo in plancia, dove di notte c’è un’atmosfera magica, indescrivibile, e puoi di certo trovare qualcuno disposto a scambiare qualche parola. Non c’è alcuna illuminazione se non quella del riflesso della luna e della strumentazione elettronica che, grazie alla pazienza ed alla generosità di nocchieri e radaristi (che ho tormentato di domande), ho iniziato anche a comprendere. Ecco, arriva la segnalazione di probabili natanti in difficoltà.

Li troviamo, sono visibili sul monitor dello SVIR, il sistema di rilevazione ad infrarossi.
“Aggiornamento situazione: l’imbarcazione si trova a circa 3 miglia, probabile gommone con migranti a bordo…”. Ci dirigiamo verso di loro per soccorrerli, sono avvolti dalla totale oscurità, appena visibili dal bordo bianco del gommone, già in pessime condizioni di galleggiamento. Le due idrobarche con a bordo la Brigata Marina San Marco, cominciano il trasferimento di 103 persone. A distanza di un’ora arriva una seconda segnalazione, intorno alle 5:00 ne troviamo altre 118.

È l’alba, ci segnalano un ulteriore gommone, andiamo a salvare anche loro.
Mi calo a bordo dell’idrobarca per seguire da vicino le operazioni di salvataggio. Ci siamo, davanti a noi un centinaio di persone disperate che con il terrore negli occhi, vorrebbero, tutte insieme, salire sull’idrobarca che forse, al massimo, può trasportarne 15.Mi rendo conto che la situazione è delicata e potenzialmente pericolosa.
È in quelle condizioni che ho potuto comprendere quanto sottile fosse il confine tra un salvataggio ed un disastro marittimo, tutto era letteralmente nelle mani del nostromo e del componente la Brigata Marina San Marco. Qui la comunicazione verbale è sostanzialmente irrilevante ma, questi uomini, con preparazione ed esperienza, attraverso pochi gesti, comunicano loro che,mantenendo la calma e l’ordine,sarebbero stati tutti salvati. È difficile da spiegare, ma in pochi minuti, improvvisamente, le assordanti grida di disperazione si arrestano.
Loro ci guardano, immobili, senza neanche tendere più le braccia verso di noi. È allora che il nostromo sporge le proprie verso di loro e, uno dopo l’altro, inizia a trarli bordo.
Ed è in quel momento che si compie il miracolo, quegli enormi occhi neri, pieni di paura e tristezza, s’illuminano di speranza. Le persone sottratte alla morte salgono a bordo sul ponte di volo che, nel frattempo, si è trasformato in un vero è proprio centro di accoglienza galleggiante, con tanto di assistenza sanitaria, supportata anche da due eccezionali infermiere volontarie della Fondazione Francesca Rava.
Durante i due giorni di navigazione per rientrare a terra non si risparmia nessuno, giorno e notte. I marinai sono infaticabili, la stanchezza non sembra segnare i loro volti dai quali, invece, puoi leggere, come in un libro aperto, l’orgoglio e la soddisfazione di aver svolto il proprio dovere fino in fondo.

Ma chi sono questi uomini e donne? Sono gli eroi silenziosi, gli eroi di ogni giorno, coloro ai quali non esiterei ad affidare la vita, che ti fanno sentire al sicuro, quelli che, incredibilmente, ti riconciliano con il mondo quando ti sembra di appartenere ad un pianeta diverso.A bordo di una nave militare si respira professionalità, lealtà, rispetto, orgoglio, senso di appartenenza, un ambiente caratterizzato da valori umani e professionali di elevato spessore. Sono i valori che nutrono lo spirito, quelli che solo le persone speciali possono essere in grado di accogliere nel proprio animo.
Questi mille eroi nel Mediterraneo, e tutti gli altri impegnati in diverse missioni nel mondo, sono i nostri eroi silenziosi che ogni giorno rendono migliori le nostre vite. “Il mondo militare deve aprirsi a quello civile”, perché “la Difesa non è un costo ma una risorsa per la collettività”. Parole facilmente attribuibili ad un militare ma, in questo caso, invece,appartengono al nostro Ministro della Difesa, Roberta Pinotti e non possono che essere condivise.
 

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Roma, aggressioni e borseggi: intervista all’onorevole Riccardo De Corato

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In seguito all’aggressione avvenuta ieri sera a Simone Cicalone, noto youtuber impegnato a compiere riprese per mostrare i troppi fenomeni di borseggio che avvengono nella metropolitana di Roma abbiamo contattato al telefono l’onorevole Riccardo De Corato, già vicesindaco della città di Milano, assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia ed oggi parlamentare italiano e vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera.

INTERVISTA ESCLUSIVA ALL’ONOREVOLE RICCARDO DE CORATO, VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI DELLA CAMERA

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Riccardo Cucchi presenta i suoi libri

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Ieri sera in una piazza dell’Olmo piena all’inverosimile la “padrona di casa” l’elegantissima, come sempre, Emanuela Bruni ha dato il via alla serata, accompagnato dalla superba professionalità e simpatia di Giampiero Cacciato, facendoci ascoltare la sigla di “Tutto il calcio minuto per minuto” la trasmissione radiofonica per eccellenza che ha accompagnato le storie e le domeniche di tutti noi, donne e uomini, amanti di quello che è definito “il gioco più bello del mondo”: il calcio.
L’ospite è un sorridentissimo Riccardo Cucchi, voce storica di Radio Rai.
Anche stavolta, quasi una combinazione, “sono le 18 e 4 minuti” riprendendo la frase incipit del prologo di Radiogol, uno dei due libri presentato assieme a Un altro calcio – è possibile.
Emanuela, giornalista di razza, lo stimola immediatamente con un quesito: Oggi lo sport ed il calcio, nello specifico, sono importanti dal punto di vista sociale?
La risposta di Riccardo Cucchi diventa il filo che collega tutta la serata.

Giancarlo Ceccarelli, capitano della Lazio campione d’Italia Primavera stagione 1975/76

Ci spiega, con estrema dovizia, che già con le Prime Olimpiadi del 1896 lo sport abbia cercato di “sterilizzare”, usa proprio questo concetto, ogni forma di conflitto simulando un combattimento ma restando legato a valori alti ed etici che, purtroppo, le guerre ovviamente non prendono in considerazione.
“Il calcio è immerso nella vita, ne è parte stessa, è una delle tante attività umane. Immaginarlo isolato dal contesto sociale, politico ed economico è pura illusione” questo è il filo conduttore che lega i due libri.
Il calcio e lo sport nei due libri che ci presenta, spiega con serenità “sono il pretesto per parlare di altro”; calcio e sport, aggiunge, “sono storia dell’umanità, sono storia di rapporti umani, è cultura, è molto altro” racchiudendo poi questo concetto che lascia spazio ne “Un altro calcio – è ancora possibile” dove scrive: “il calcio è una sorta di carta assorbente che si impregna di tutto ciò di cui è impregnata a sua volta la società. Ma ha un obbligo etico, imprescindibile: deve promuovere valori”
Lo smarrimento della sua identità ma soprattutto l’avere perso il principio primo che lo sport eleva, la passione, lo sta riducendo in un qualcosa che ormai è più paragonabile ad un “bancomat” usato per fare business e fino a quando i tifosi non si renderanno conto che queste holding gestiscono “sentimenti”, tramutandole in denaro, resterà un qualcosa di assai lontano da quelle emozioni di un tempo.

Non c’è nostalgia, però nelle sue parole: il suo è un messaggio che vuole portare un cambiamento etico nei valori che il calcio può e deve mostrare perché il rischio è che “non può rinunciarvi senza pagare il prezzo di smarrire la sua stessa identità”.
Focalizza la sua attenzione sugli ultimi mondiali in Qatar dove il calcio è stato usato “per nascondere” le palesi ed evidenti violazioni dei più elementari diritti per un essere umano: “il calcio, dice, non può farsi strumentalizzare”.
8 stadi costruiti di cui oggi solo 2 restano in piedi: cita il quotidiano britannico The Guardian che raccontava in quei giorni di milioni di uomini usati come “schiavi moderni” gli venivano sequestrati i passaporti, dice con sdegno tra lo sguardo allibito dei partecipanti alla serata.
Oltre 6500 morti, la maggior parte di loro caduti da impalcature “i mondiali sono stati giocati in novembre/dicembre con un temperatura mite negli stadi ma loro – si riferisce agli schiavi moderni – hanno lavorato sotto temperature ben superiori ai 30/40 gradi”.
Quello che stasera compare in piazzetta dell’Olmo è un grido di dolore di chi, come lui, nato nella curva della Lazio dove, passati gli anni da radiocronista, è tornato per vivere la passione del calcio, vuole difenderlo dalle commistioni politiche e dai petrodollari ed invita qualunque dirigente sportivo ad assistere ad una partita di calcio direttamente in curva dove potrà riscoprire “il senso vero della passione sportiva” che non può e non deve essere confusa, dice, “né con lo spettacolo, né con l’intrattenimento”.

l’abbraccio fraterno di Riccardo Cucchi all’amico Giampiero Cacciato sotto lo sguardo attento di Emanuela Bruni

Poi Giampiero Cacciato “da Cogoleto” – ci tiene a specificare alla platea – che per anni ha collaborato con Riccardo Cucchi, “ero io a preparargli il microfono”, dice, dopo l’aneddoto dei tamburi camerunensi seguiti durante i mondiali di Francia 98 invece di recarsi allo stadio, affronta un tema assai delicato nello sport: il razzismo.
“Una cosa stupida”, dice tra gli applausi Riccardo Cucchi ed aggiunge che “se c’è qualcosa che mi ha insegnato la mia carriera giornalistica è che non c’è niente di più contraddittorio dello sport con il razzismo” e ricorda il primo caso passato alla cronaca di razzismo in Italia: cita l’acquisto, nel 1989, del giocatore di origine ebraica, Ronny Rosenthal, da parte dell’Udinese. Gli ultrà di questa squadra si sollevarono dimostrando un rigurgito antisemita generando una ingloriosa marcia indietro della socieà che non perfezionò l’acquisto adducendo come scusa banale un problema vertebrale.
Cucchi sottolinea l’atteggiamento costante di molte società che minimizzano tale problema giustificando che lo stadio rispecchia l’atteggiamento razzistico del mondo. Ma questo, dice, non può diventare una scusa e consiglia un’utopia: rovesciare il tema facendo divenire lo stadio il luogo virtuoso senza alcun atteggiamento razzistico isolando tutti coloro che lo manifestassero, sia sugli spalti che, ahimè, anche sui campi stessi.
Una idea rivoluzionaria perché il tifoso razzista è colui che contraddice ed infrange il concetto stesso di sport.
Una lezione morale, la sua, che viene accolta dagli applausi dei tantissimi presenti stasera in piazza dell’Olmo a Frascati.

E poi inizia il momento degli aneddoti: da Mario Giobbe che gli sintetizzò così il lavoro di radiocronista “Più breve sei, più bravo sei”.
All’esame in Rai con un Sergio Zavoli, presidente di commissione, che gli chiese: “Se noi decidessimo di avvalerci della sua collaborazione cosa vorrebbe fare” e la sua risposta “sfacciata”, aggiunge, fu: “il radiocronista!” Sapete come andò a finire? Fu costretto da Zavoli ad inventarsi una partita ed a commentarla: ma Zavoli non sapeva che quello era per Riccardo Cucchi il sogno che coltivava da bambino e fu davvero un’apoteosi, uno Juventus – Milan che fu il lasciapassare per l’ingresso in Rai, Mamma Rai.
All’essere stato, durante la finale dei 100 metri di Seul, il radiocronista che disse il maggior numero di parole: praticamente un record nel record.
Poi la “gavetta” in periferia, Campobasso, laddove ci si preparava alla presenza al microfono ed a presentarsi al microfono (dizione, parlare bene, lessico forbito) con un maestro d’eccezione: il grande attore Arnoldo Foà.
Ma il momento più entusiasmante le trasferte al fianco di Enrico Ameri che gli aveva stilato un regolamento e, una volta allo stadio, aveva come compito quello di segnare i calci d’angolo “ho avuto sempre il terrore di sbagliare i conti”.
E poi il racconto dello scudetto alla Lazio l’emozione incontenibile ed il dovere di essere, fino alla fine della carriera, dentro quella neutralità che contraddistingue il bravo giornalista.

Di certo, per un laziale purosangue come lui il momento più bello, ma che fa il paio con Inter – Empoli del 12 febbraio 2017 dove uno striscione della curva nord interista gli tributa un grazie immenso:
A TE IL NOSTRO APPLAUSO PER AVERCI EMOZIONATO PER DAVVERO IN UN MONDO FINTO – RICCARDO CUCCHI SIMBOLO DEL NOSTRO CALCIO

Lo striscione dedicato a Riccardo Cucchi dai tifosi neroazzurri il 12 febbraio 2017

Riccardo Cucchi ieri sera ci ha fatto scoprire quanto ancora la bellezza di questo gioco amato da milioni di italiani, ai tempi d’oro Tutto il calcio minuto per minuto raggiunge picchi di 25 milioni di ascoltatori, sia collegata alla quella passione che si vuole scippare via a noi che lo amiamo.

Una serata splendida chiusa dalla sua voce che ripete: qui da Frascati e da Riccardo Cucchi è tutto a te la linea studio centrale.

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Esteri

6 giugno 1944, operazione Neptune: il ricordo dopo 80 anni dallo sbarco in Normandia

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Don quella mattina del 6 giugno 1944 era li con tutti i suoi commilitoni.
Non sapeva, di certo, che quel giorno potesse fare la Storia,
Si, la Storia che si legge sui libri e di cui lui è stato uno dei protagonisti.
In questi giorni, dopo ottant’anni, è tornato li.
“Settemila dei miei compagni di marina sono stati uccisi. Ventimila fucilati, feriti, caricati sulle navi, sepolti in mare” ci dice Don Graves, un veterano del corpo dei Marines, con serenità e con un luccichio di lacrime negli occhi.

Nella foto Don Graves insieme al dottor Emilio Scalise

“Voglio, aggiunge, che i più giovani, le nuove generazioni sappiamo quello che noi abbiamo fatto”.
Per molti dei veterani presenti oggi qui il 6 giugno 1944 resta una pagina dolce e nel contempo amara: molti dei loro amici hanno perduto proprio su queste spiagge la loro vita.
E stamattina a Saint Mere Eglise quelli che un giorno erano “l’un contro l’altro armati” si abbracciano nel ricordo di una delle pagine più sanguinose della II Guerra Mondiale: lo sbarco in Normandia.

Cinque teste di ponte, l’operazione Neptune, per consentire agli eserciti alleati di creare quel terzo fronte determinante per la sconfitta del nazismo.
Oggi si ricorda il sacrificio di giovani, un tempo nemici, ed oggi uniti nel loro ricordo.
Una cerimonia solenne ma che diventa importante per l’abbraccio nel nome di una pace che stenta su tutto il pianeta e che vuole ricordare il coraggio e l’abnegazione di molti ragazzi che sapevano di andare a morire.

il mitico campanile di Saint Mere Eglise

Una nota leggera: come ogni anno sul “mitico” campanile di Saint Mere Eglise svetta un paracadute, assieme ad un manichino, che ricorda il fatto realmente accaduto di un soldato americano paracadutista che nel lancio sul paesino rimase impigliato con la vela del suo paracadute, rimanendo illeso ma bloccato in quella posizione.

il paracadute con il manichino svetta sul campanile di Saint Mere Eglise

In questi giorni, come già scritto in un nostro articolo (https://www.osservatoreitalia.eu/d-day-80-anni-dallo-sbarco-in-normandia/), alcune Jeep e di un Dodge Ambulanza di proprietà dei soci dell’Associazione HighWay Six Club ha raggiunto le spiagge francesi ed il dottor Emilio Scalise, uno dei soci, ci ha raccontato in presa diretta l’emozione: “Un giorno che resterà indelebile nella mia memoria”.

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