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di Silvio Rossi
La manifestazione della Lega a Piazza del Popolo, che ha visto la partecipazione attiva di Fratelli d’Italia e Casapound, ha sancito, più del Patto del Nazareno, e in linea con lo stesso, la fine dell’egemonia berlusconiana nella destra italiana.
Innanzi tutto, le formazioni presenti in piazza hanno visto una deriva più radicale, rispetto alle manifestazioni politiche precedenti, verso la destra. Le posizioni più moderate, che erano la “faccia pulita da presentare”, sono state abbandonate, e chi le rappresenta, è stato oggetto delle forti critiche della piazza, analogamente agli storici avversari del centrosinistra.
Più vicini a Casapound che a Forza Italia, quindi, nella piazza della manifestazione odierna, i primi hanno raggiunto i leghisti in piazza, con uno dei leader storici del movimento neofascista, Simone di Stefano, che ha indicato Salvini come «assolutamente l’unico leader da contrapporre a Renzi. Non ce ne sono altri oggi in Italia».
Non pervenuti invece i militanti di Forza Italia, non per loro scelta, un gruppo con le bandiere azzurre aveva anche provato a raggiungere la piazza, ma perché allontanati dal resto dei manifestanti.
Una scelta che è un vero punto di rottura nel centrodestra. La “cacciata” ha significato che non è più l’ex Cavaliere che determina, come in passato, la linea politica. Per la prima volta, se si facessero le primarie del centrodestra, che fino a pochi mesi fa avrebbero avuto un risultato scontato, Berlusconi rischierebbe di ottenere una sonante sconfitta.
A una linea politica balbettante e contraddittoria portata avanti da Forza Italia e dal suo leader, tutti coloro che non s’identificano nel “cerchio magico” berlusconiano, preferiscono il decisionismo, a volta anche un po’ semplicista, del segretario leghista.
Matteo Salvini è riuscito in ciò che Fini e Alfano hanno fallito: rinnovare la politica del centrodestra dopo un ventennio berlusconiano. Ma non è certo tutto merito suo. Il Berlusconi che ha “cacciato” Gianfranco Fini era determinato, decisionista, sicuro delle sue scelte. Quando ha abbandonato il governo Monti, con la conseguente rottura degli alfaniani, aveva alcuni interessi molto forti da difendere, e non poteva permettersi il lusso di titubare. Oggi invece, dopo la condanna, dopo la sconfitta dell’elezione del Presidente della Repubblica, dopo i continui cambi di strategia, non è più il toro feroce che entra nell’arena in apertura della corrida, ma sembra la bestia ferita e dolente che ha subito in numerosi colpi dei banderilleros, che offre la schiena al matador.
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