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di Angelo Barraco
“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. Così Giovanni Falcone risponde ad una giornalista che nella seconda metà degli anni metà lo intervista e timidamente gli chiede se non ha paura dinnanzi alla stato di segregazione in cui vive. Erano certamente anni difficili, in cui un gruppo di uomini giunti dalle campagne sperdute di Corleone aveva deciso di estendere il proprio potere territoriale e conquistare Palermo: erano gli anni di Luciano Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. I Palermitani permettono la fruizione di denaro a sufficienza e muovono grandi affari come la droga e gli appalto, hanno e fanno i “piccioli” a cui tanto ambiscono i Corleonesi che invece erano stati abituati a sporcarsi le mani con la terra. Non si accontentano più di vivere all’ombra dei massimi sistemi di una mafia che si muove secondo regole strutturali prestabilite, vogliono essere loro a dettare le regole abbattendo quelli che sono i capostipiti di un sistema precostituito. Poggiano definitivamente la zappa e impugnare le armi e conquistare Palermo con il fuoco e il sangue che sgorgava lungo i cunicoli delle antiche strade della città. Una Palermo martoriata di morti ammazzati che si contano quotidianamente, dagli affiliati alle cosche rivali fino agli eclatanti eccidi di Stato. Chi non vive in Sicilia vive di riflesso il dolore che attanaglia questa terra e il vestito nero che ogni siciliano porta addosso per gli Eroi di Stato morti ammazzati per mano dei mafiosi. Ogni strada, ogni monumento, ogni angolo delle principali città riporta una targa e un volto di coloro che hanno lasciato un’impronta concreta ad una lotta tanto dura quanto difficile e per tale ragione spesso viene fraintesa e male interpretata. Le fiction che vengono costantemente propinate sui grandi schermi televisivi raccontano una Sicilia in cui prevale un costume arcaico, viene marcato il luogo comune tipico siciliano e non viene valorizzato abbastanza il sacrificio degli eroi caduti per mano ignobile. Pif ha provato a raccontare la Sicilia e la mafia attraverso la sua fiction “La mafia uccide sono in estate”, alleggerendo notevolmente il peso di determinati fatti storici attraverso l’ironia e il sorriso. La storia e il dramma che la Sicilia e l’Italia intera ha vissuto attraverso il sacrificio di eroi come Falcone, Borsellino, Boris Giuliano e tanti altri non deve essere smorzato da risate deve essere raccontato nudo e crudo e indurre il telespettatore ad importanti riflessioni in merito ai terribili fatti accaduti in passato. Alleggerire questi eventi per trasformarli in allegre storie d’amore significa sminuire il valore del sacrificio per il quale il nostri eroi hanno perso la vita. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avrebbero voluto certamente che la lotta contro la mafia fosse stata perseguita secondo un criterio rigoroso e senza alterazioni della realtà, ma alcuni dettagli importanti fanno capire come l’informazione possa fuorviare il cittadino poco informato e indurlo a male interpretare gli accadimenti. Pif nel suo film ha rappresentato l’episodio che riguarda l’incontro tra Riina e Ciancimino, raffigurando Totò “u curtu” come timido e impacciato dinnanzi a Ciancimino che invece si mostrava pieno di se e ostentava una certa sicurezza. Sicuramente non sapremmo mai come fossero gli incontri tra i due, ma è certo che Riina non ha mai pulito le scarpe a Ciancimino ne sicuramente era così goffo, tale elemento che smonta quanto rappresentato da Pif è dimostrato dalla sicurezza che ha Riina mentre parla con il suo compagno nell’ora d’aria in carcere. Ogni artista è senza ombra di dubbio libero di dire e fare quel che vuole nel modo in cui lo ritiene più opportuno, l’arte non ha limiti e non ha confini ma la memoria storica e il sacrificio dei nostri eroi caduti per mano della mafia merita rispetto e deve essere onorate senza alcuna distorsione contenutistica ai fini di una corretta informazione per i posteri. Le idee innestate dai caduti devono essere portate in auge e a tal proposito Giovanni Falcone diceva: “ Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
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