MAFIA CAPITALE: ODEVAINE SPARA A ZERO. DA ALEMANNO, AI CAMION BAR A TOTTI

Redazione
Roma
– Sono state messe agli atti il 5 novembre le parole spese da Luca Odevaine durante l'interrogatorio del 15 ottobre scorso nell'ambito del processo a Mafia Capitale. L'imputato, Già membro del tavolo di coordinamento Nazionale sull'accoglienza dei richiedenti asilo, è ora agli arresti domiciliare dopo un periodo di detenzione nelle carceri di Torino e Terni. Un colloquio, quello verbalizzato agli atti del processo, in cui Luca Odevaine ha offerto al pm Paolo Ielo una disamina attenta in merito alle dinamiche che hanno permesso l'introduzione del sistema mafioso nell'amministrazione dell'Urbe.

Alemanno e il “sistema Buzzi”. “La destra non aveva soggetti economici di riferimento, dunque l'amministrazione Alemanno, nel giro di qualche anno, individuò nel 'sistema Buzzi' il riferimento nel settore del sociale per l'aggiudicazione dei lavori”. Questa la versione in merito ad un accordo sotterraneo tra Alemanno e il ras delle cooperative. Il racconto di Odevaine, però, parte da prima. Precisamente dall'aprile 2008, quando ci fu il passaggio del testimone al Campidoglio tra l'entrante Alemanno e l'uscente Veltroni, di cui era stato già capo di gabinetto vicario. Un incarico che ricoprì anche con l'avvento del neoeletto, il quale, confessa al pubblico ministero: “Mi chiese di rimanere fino a luglio. Nella sostanza mi resi conto che egli non credeva di vincere e quindi non aveva una classe dirigente pronta al governo della città. Io accettai e in tale periodo egli mi presentò Riccardo Mancini e l'onorevole Pisu, indicandomeli come interlocutori per suo conto per tutte le questioni di mio interesse”. “Nella gestione del comune – continua l'imputato- Mancini e Piso mi dissero di voler inserire nei ruoli apicali e dirigenziali persone che, a prescindere dalla loro competenza e dalla competenza di chi in precedenza rivestiva quei ruoli, fossero di loro fiducia”.

Tangenti per l'edilizia. “Mancini
– comunica ancora l'ex capo di gabinetto di Veltroni – mi disse che era stata pattuita una tangente, pagata da Caltagirone, in relazione all'affare edilizio della Bufalotta, in direzione di Marroni (ex capogruppo del Pd in Campidoglio, ndr), Smedile (ex consigliere comunale del Pd e poi del'Udc, ndr) e Alemanno”. Parlando del periodo durante il quale era incaricato a capo di gabinetto vicario al cospetto di Alemanno, Odevaine ricorda: “Mancini mi disse che non ero particolarmente amato neppure dai miei referenti politici: in particolare, mi disse che in occasione di un incontro tra il sindaco e il capogruppo dell'opposizione Marroni e il presidente della commissione urbanistica Smedile, entrambi appartenenti all'apposizione, era stata chiesta la mia testa”. “La ragione – prosegue Odevaine – credo fosse da individuare nei contenuti di quell'incontro, che avevano ad oggetto delle delibere urbanistiche relative alla Fiera di Roma e alla Bufalotta”. Si trattava, è scritto ancora nell'atto istruttorio, di un: “Settore di interesse su cui vi era stata una forte pressione di Smedile e Marroni, pressione cui il commissario Mario Morcone (commissario straordinario del Comune di Roma dopo le dimissiono di Veltroni, ndr) ed io resistemmo, nel senso che facemmo passare le delibere che erano state già approvate in commissione, mentre bloccammo altre. Con Alemanno, i due ripresero la questione”.

“Budget consiliare”.
In un altro punto del verbale spunta nuovamente il nome di Umberto Maroni, che, stando alle parole di Odevaine:” Nella sua qualità di capo dell'opposizione Pd all'epoca dell'amministrazione Alemanno, aveva chiuso con il sindaco un accordo in forza del quale ciascun consigliere comunale aveva a disposizione una somma, originariamente quantificata in 400 mila euro, da destinare a iniziative di suo interesse”. Parole subito smentite dal deputato Pd che denuncia Odevaine per calunia e afferma:”Come sanno tutti, in quanto scritto nella legge del testo unico degli enti locali, i consiglieri comunali non hanno alcun 'potere di spesa' ma solo di indirizzo e controllo”.

La risposta di Alemanno.
Gianni alemanno, dal canto suo, si difende e in una nota afferma: ”Dopo avermi lanciato addosso l'accusa di aver esportato soldi in Argentina, illazioni che la Procura stessa ha giudicato prive di fondamento, Luca Odevaine mi ha nuovamente inondato di chiacchiere e calunnie in libertà: basandosi su una serie di "sentito dire" e di teoremi personali ora cerca di dare un orientamento politico ai suoi interrogatori, inventandosi tangenti inesistenti e accordi trasversali tra destra e sinistra che mi dovrebbero riguardare”. “La balla più clamorosa – tuona l'ex sindaco di Roma- è quella relativa ad una tangente di Caltagirone per la questione di Bufalotta, che sarebbe stata indirizzata ad esponenti di sinistra oltre che al sottoscritto. Luca Odevaine nel suo delirio si dimentica un piccolo particolare: la nostra Amministrazione – conclude Alemanno- non ha approvato alcuna delibera riguardante Bufalotta, i cui atti politici e amministrativi risalgono tutti all'epoca di Veltroni”. Annuncia querela per diffamazione e denuncia per calunnia anche il Gruppo Caltagirone che in una nota afferma: “La convenzione urbanistica Bufalotta è di proprietà dei gruppi Parnasi e Toti; il Gruppo Caltagirone ha costruito alcuni fabbricati residenziali nel quartiere acquistando le aree dai suddetti gruppi già convenzionate nonché completamente urbanizzate dai medesimi; che il Cav. Lav. Caltagirone non ha mai avuto rapporti né con l'onorevole Smedile né con l'onorevole Marroni, anzi quest'ultimo è stato uno dei più fieri avversari del Gruppo Caltagirone per lui 'reo' di avere legittimamente acquistato in borsa una partecipazione in Acea”. “Quanto al Sig. Mancini, che ha cercato per anni di prendere contatti con Caltagirone, tra l'altro, telefonando più volte in ufficio – conclude la nota – si precisa che Caltagirone non ha mai voluto neanche parlargli al telefono”.

Tredicine e il monopolio dei camion bar.
In un altro momento dell'interrogatorio, Luca Odevaine dedica la sua attenzione alla concessione di licenze per i camion bar, che spiega: “Di 500 licenze rilasciate, 430 erano tutte intestate a membri della famiglia Tredicine-Falasca che, fino all'avvento di Giordano Tredicine al consiglio comunale, finanziava tutta la politica romana”. Nell'era Veltroni, continua poi Odevaine: “Avevo individuato seri problemi nell'assegnazione delle concessioni. Si trattava di licenze che erano state rilasciate con il carattere della temporaneità e in relazione ad ambiti molto ristretti. Molte di esse erano state rilasciate da Gianmario Nardi (dirigente del Comune di Roma, ndr) ma via via si erano espanse illegittimamente quanto al contenuto e quanto ai tempi”. Nardi, presidente del primo municipio e successivamente direttore di Gabinetto con il sindaco Rutelli, tornò in forze con la giunta Alemanno in qualità di vicecapo di Gabinetto, gestendo, sempre secondo Odevaine: ”Insieme a Lucarelli tutti gli affari più rilevanti, e con lui riprendono i contrasti, culminati nella nomina del dirigente al decoro, che lui fece senza interpellarmi, di Mirko Giannotta”. L'imputato, allora: “Chiese al sindaco di mandare gli atti in Procura. Egli mi disse di aver sollecitato uno studio delle carte al segretario comunale e all'assessore competente e che io sappia non se ne fece nulla”.

Totti e i vigili pagati in nero. Odevaine, durante l'atto istruttorio andato in scena nella casa circondariale di Terni, punta il dito anche contro il capitano della A.s. Roma. Una circostanza tutta da verificare quella raccontata dall'ascritto, secondo cui Francesco Totti avrebbe pagato agenti della Polizia Locale di Roma Capitale per effettuare la sorveglianza ai suoi figli. “E' vero che dei vigili urbani facevano vigilanza ai figli di Totti – ha confermato Odevaine, ribadendo quanto già sostenuto da Salvatore Buzzi – ma lo facevano fuori dall'orario di lavoro e venivano pagati in nero, dallo stesso Totti”. Secondo Odevaine: “L'esigenza era nata dal fatto che era giunta una voce di un progetto di rapimento del figlio di Totti”. La voce gli era giunta da Vito Scala, preparatore atletico che gli disse: “Un tifoso ultrà della Roma, che era appena uscito dal carcere, era andato a dirgli che gli avevano offerto 50mila euro per rapire il figlio di Totti. Allora ne aveva uno, mi pare che c'avesse un anno, e dice 'io adesso francamente…' lui sostiene che non lo farà, si è rifiutato, era sì un bandito, ma di fronte al capitano…”. “Mi chiese – continua Odevaine – se era possibile verificare se la cosa avesse qualche fondamento o fossero solo chiacchiere perché ovviamente il padre e la madre erano preoccupati. Io parlai con l'allora comandante dei carabinieri Salvatore Luongo e col sindaco di Roma e con il questore Nicola Cavaliere, che dopo un po', mi pare proprio Luongo, mi confermarono che qualcosa c'era. Quindi, senza portarlo a livello di comitato dell'ordine pubblico e sicurezza e quindi affidare una scorta a un bambino così piccolo, dice: 'se tu c'hai un altro modo per proteggerlo sarebbe meglio, oppure se si possono rivolgere a un'agenzia privata' “. “Loro – prosegue Odevaine nel racconto- si rivolsero a due, tre agenzie private . Alla fine la scelta cade su alcuni vigili che avevano fatto parte di un gruppo, i Pics (Pronto Intervento Centro Storico, ndr) durante il Giubileo (giunta Rutelli, ndr): alcuni di loro stavano per andare in pensione”. “Dissi al capo di questo gruppo – racconta l'imputato – 'senti, c'e' qualcuno che vuole fare dell'extra lavoro?'. Sei di loro effettivamente hanno svolto questa funzione, ma fuori dall'orario di lavoro e pagati direttamente da Totti, non pagati in straordinario dal Comune". La vicenda, secondo Odevaine, sarebbe verificabile dato che proprio lui avrebbe ricevuti gli assegni dal “Pupone” che in un secondo momento sarebbero stati girati agli uomini della Locale. Rispondendo al pubblico ministero, Odevaine ha precisato: “Si, loro facevano il doppio lavoro non nelle ore di servizio. Si erano organizzati in turni e non nelle ore di servizio e credo che questa cosa sia cessata l'anno scorso quando Totti si è trasferito nella nuova casa, dove ha messo un sistema di videosorveglianza, poi i bambini vanno alla scuola americana, alcuni vigili sono andati in pensione… Non ce n'era più bisogno”.

Accuse sbagliate a Zingaretti. Durante l'interrogatorio, Odevaine smentisce la confessione di Salvatore Buzzi in merito ad una presunta tangente pagata a Nicola Zingaretti in virtù del Palazzo della Provincia. “Una dichiarazione falsa” risponde al quesito del pm.“Per quanto riguarda l'attuale presidente della Regione, Peppe Cionci (braccio destro di Zingaretti, ndr), Maurizio Venafro (ex capo di gabinetto del governatore, ndr) e Antonio Calicchia”. In fine, di Salvatore Buzzi spiega al pm:”Talvolta millanta rapporti che non ha”.