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LUIGI BONAVENTURA: LA FAMIGLIA DEL PENTITO SI SENTE ABBANDONATA DALLO STATO

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Tempo di lettura 4 minuti La moglie: "Bastava solo proteggerci come si deve, come prevede il programma o dare alla mia famiglia quella misera liquidazione che mio marito aveva chiesto"

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di Simonetta D'Onofrio

La redazione del giornale l’ ”Osservatore d’Italia” qualche mese fa si era occupato del caso del sig. Luigi Bonaventura, ex-‘ndranghetista, pentito e collaboratore di giustizia, sotto protezione da diversi anni insieme alla sua famiglia. Luigi ha attivamente collaborato contro la criminalità mafiosa del sua città, Crotone e in tutta Italia. Al di là dei giudizi che ognuno di noi può dare di fronte alla realtà chiamata mafia, è innegabile che la scelta collaborativa della famiglia Bonaventura abbia determinato un aiuto reale per “acchiappare” chi si muoveva liberamente nel territorio italiano per fare affari con il malaffare e trarre benefici illeciti anche dai politici e amministratori corrotti.
Ora, in questo momento così delicato per l’Italia, e in particolare per i fatti che i magistrati hanno “sviscerato” non solo nella città eterna con “Mafia Capitale”, ma praticamente in tutta Italia , è importante capire chi ha fatto questa scelta collaborativa, rischiando la propria vita e dei suoi familiari. Bonaventura si sente solo, abbandonato da chi dovrebbe sostenere la sua protezione e soprattutto il suo percorso di protezione sta avendo dei risvolti drammatici. La moglie del pentito ha raccolto le sue paure in una lettera che ci ha pregato di pubblicare integralmente, affinché i media mettano in risalto la grave situazione che stanno attraversando.
Ci dice che il suo passato sarà sempre intaccato dalla sua storia di ex-mafioso e pentito, ma ne è uscito fuori e desidera continuare nella legalità. Non merita di essere lasciato solo. Si è sradicato dal tessuto sociale di provenienza Bonaventura, ora chiede solo un aiuto alle autorità competenti, affinché quanto ricostruito finora con la giustizia italiana non venga disperso in rivoli burocratici che affossino il “lavoro” prezioso svolto in questo lungo periodo.

Lettera della moglie Paola Emmolo
“Caro programma di protezione, caro Stato non si possono lasciare 2 bambini , 2 anziani genitori e altre 4 loro famigliari in mezzo ad una strada, in grave pericolo, senza opportuni documenti e senza un centesimo in tasca. Nessuna persona per qualsiasi sia il suo crimine meriterebbe ciò figuriamoci chi come mio marito che non ha commesso in questi 8 anni di programma, nessun reato penale, civile o stradale. Ha dato, sta dando, stiamo dando l’anima per la giustizia Italiana per la società civil. Mio marito è un dissociato e collaboratore volontario, ha collaborato e collabora senza che avesse un solo giorno di condanna con mezze procure antimafia d’Italia, ha dato un apporto collaborativo elevatissimo, ha fatto arrestare o condannare oltre 150’ndranghetisti, ha portato nel crotonese una vera inversione di marcia, a suo conto ci sono solo sentenze di alta attendibilità, si impegna nel sociale a suo danno e pericolo senza mai risparmiarsi. O tutto ciò non volete riconoscerglielo ? Ha rifiutato (a buon ragione come più volte vi ha esposto) dei trasferimenti in altra località? Ma poi alla fine ha accettato e aveva ragione lui avete reiterato tutto, mettendoci di nuovo in grave pericolo e disaggio. Non si può lasciare un importante collaboratore e i suoi famigliari per mesi e mesi sprovvisti di opportuni documenti di copertura, non si può mettere lo stesso con dei pentiti, alcuni falsi e dei ndranghetisti della stessa zona nella stessa area come avete fatto a Termoli e poi fare la stessa cosa nella nuova località. O forse si può fare…? Prima di collocarci in questa nuova sede non sarebbe stato opportuno chiedere alla polizia del luogo se questa area era compatibile con noi? Vi avrebbero detto come si può tranquillamente dimostrare di no e che questa area non era sicura per noi. Dovevate procedere di nuovo con trasferimento in altra località per ovvie ragioni di sicurezza ma questo sarebbe stato un ammissione di colpe e quindi avete preferito scaricarci in mezzo una strada, questa è la verità. Non si deve trovare (come è accaduto a Termoli) un micidiale arsenale di ndrangheta a 200 metri da casa nostra e in un magazzino riconducibile al caposcorta del collaboratore di giustizia e tante altre gravissime cose. O forse si può? Delle PRESUNTE interviste non “autorizzate” che contestate a mio marito durante un contratto che era oramai scaduto e che aveva chiaramente esposto più volte tramite i suo legali di non volerlo più prorogare, non possono comportare una punizione cosi severa a danno della mia famiglia. Questa non e’una grave ingiustizia, un grave atto di inciviltà e di mancanza di buon senso ? Il contratto era scaduto è scaduto da quasi tre anni, come voi stesso sottolineate nella delibera. SCADUTO CAPITE….?E non c’ era nemmeno un tacito consenso per poterlo nonostante tutto considerarlo ugualmente attivo. Si poteva risolvere e chiarire il tutto in modo riservato ? Mio marito lo ha fatto più volte ricordate voi del servizio centrale di protezione ? Ma se poi non mantenete le promesse come tranquillamente si può dimostrare che colpa ne abbiamo noi ? Bastava solo proteggerci come si deve, come prevede il programma o dare alla mia famiglia quella misera liquidazione che mio marito aveva richiesto più volte, salutarci e finirla qua, tanto lui a prescindere da ogni cosa continuerà ogni volta che gli verrà richiesto a collaborare con la magistratura Italiana. E questo l’inserimento socio lavorativo che il programma di protezione alla base di tutto garantisce ? Lasciandoci da soli a macello in mezzo ad una strada….? E’ questo il messaggio che si vuol fare passare a chi ha intenzione di collaborare, di denunciare ?Dopo 8 anni è cessato il pericolo per la mia famiglia ? Se accade qualcosa ve ne prendete la responsabilità ?la storia di Lea Garofalo non ha insegnato niente? Quante risate si farà la ndrangheta per tutto ciò? Se non dico il vero su tutto denunciatemi ,ma altrimenti non lasciate soli i miei bambini, la mia famiglia, noi non meritiamo tutto questo .”

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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