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Costume e Società

Ludopatia: l’ennesimo paradosso dello Stato italiano

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Tempo di lettura 5 minutiProbabilità media di vincita delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea, cosiddette “Gratta e Vinci”: 1 su 3,53.

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Il nero in Italia è ovunque. Anche nel gioco d’azzardo. E lo Stato resta a guardare. Nessuno si è filato l’allarme lanciato sui giochi fuori controllo. Una barcata di soldi tirati fuori da Snai, l’associazione di categoria che raggruppa la maggior parte degli operatori nel settore delle scommesse ippiche e sportive, per gridare invano aiuto al governo. Ora, premesso che il gioco d’azzardo non ha ragione di esistere, è un cancro che distrugge uomini, donne, troppe famiglie, che per di più è causato direttamente da chi dovrebbe tutelare il nostro benessere, cioè lo Stato, che è raccapricciante perfino provare a difendere chi lo pratica in modo legale, la realtà non può essere ignorata. Soprattutto quando si tratta di mercato nero, un cancro nel cancro dell’azzardo. Maurizio Ughi, amministratore di Snai servizi, firmatario dell’sos, scrive a caratteri cubitali che “esiste una rete in forte espansione da circa un decennio che vende giochi e scommesse senza autorizzazione dello Stato italiano”.

 

Non fa mai male rispolverare la diagnosi del cancro. Il gioco d’azzardo ha un giro d’affari di 90 miliardi di euro. Quello illegale ne fattura dieci. È la terza impresa del Paese e non conosce crisi. Sono 800 mila i giocatori dipendenti e 2 milioni quelli a rischio. Per la patologia, inserita nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), lo Stato non ha mai sborsato un centesimo. Lo Stato (che non è mai stato) ci deve delle spiegazioni. Dispiace sapere che a Milano il Tar ha dato torto al Comune, che saggiamente aveva stabilito orari limitati per le sale slot, dalle 9 alle 12 e dalle 18 alle 23 (che è già un lasso di tempo mostruoso per concedere alla gente di buttare via soldi e cervello). Dispiace anche che il Tar abbia deciso lo stesso a Pavia, altra amministrazione che aveva ridotto l’attività delle macchinette. E dico grazie a quei sindaci che lottano contro la ludopatia. Come quello di Sori (Genova), che ha proposto di scontare del 10 per cento la tassa sui rifiuti ai gestori che eliminano le slot dai locali. Quello di San Giorgio (Mantova), che ha annunciato di toglierle dai centri sportivi. Grazie anche a tutti quelli che aderiscono alla campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”, al Movimento “No slot” , a Senzaslot.it (i bar senza slot) e a tutte le altre iniziative nate per contrastare il gioco pericoloso.

 

Assodato è che il gioco d’azzardo, prodotto dallo Stato, viene anche curato dallo stesso con campagne sul divieto di gioco per i minori. È lecito, dunque, pensare che ci sia una contraddizione tra la legalizzazione del gioco d’azzardo e la necessità di tutela e cura per chi si ammalasse di ludopatia? Sembra proprio di sì. Da una parte l’amministrazione centrale non sembra disposta a rinunciare agli introiti che derivano dal giro d’affari di lotterie, “macchinette” e giochi on-line. Dall’altro non può neppure abbandonare a se stesse le vittime di questo meccanismo perverso.

 

Il che è un po’ come dire che lo Stato combatte un nemico che si crea da solo. Infatti il fenomeno non è sempre esistito in queste proporzioni. L’allarme sociale per la ludopatia è un fatto recente. Quindi, si tratta di capire cosa è accaduto negli ultimi anni. Perché la pratica dell’“azzardo”, dapprima sopportata e contrastata, a poco a poco è stata assunta tra le attività promosse e controllate dal settore pubblico? Pare ci sia quasi stato una sorta di cambiamento culturale.

 

Fino ai primi anni ‘90, infatti, il monopolio pubblico del gioco d’azzardo in Italia ha sempre cercato di regolare e “contenere” il fenomeno. Poi è qualcosa è cambiato. La metamorfosi è iniziata con il moltiplicarsi delle incarnazioni dei giochi ufficiali, come il Lotto, con l’espandersi delle scommesse sportive e con il diluvio di lotterie istantanee, “Gratta e Vinci”, “Win for life” e così via. Tutte proposte ben accompagnate da pubblicità accattivanti, che invece di scoraggiare al vizio, da anni invitano gli italiani a sprecare i propri soldi nell’illusione di «vincere facile».
Una propaganda che in un ventennio ha segnato in maniera massiccia la cultura popolare italiana. Ad oggi circa la metà della popolazione è composta di giocatori abituali. Basta passare pochi minuti in un bar, in una tabaccheria, in un autogrill, per rendersi conto di quanto sia diffusa l’abitudine al gioco. Evidentemente, lo Stato considera i prelievi sui giochi una sorta di irrinunciabile “bancomat”, cui ricorrere per fare cassa, e i problemi che ne derivano un inevitabile insieme di effetti collaterali.

 

Un discorso che vale anche per altre deplorevoli dipendenze, come ad esempio quella da nicotina. Ma nel caso delle sigarette, lo Stato vieta la pubblicità. Anzi, da qualche anno ha varato norme stringenti per i fumatori e avviato vere e proprie campagne di contrasto del fenomeno. Se il fumo fa male, non si può dire «fuma responsabilmente». Da un po’ di tempo, invece, alla fine degli spot sui giochi c’è proprio un ipocrita invito alla responsabilità. Quasi che lo Stato voglia pulire la propria cattiva coscienza lasciando ogni colpa al singolo giocatore.È come se dicesse: «se dai retta al mio autorevole e attraente invito a farti male, a perdere la tua salute e il tuo denaro, la responsabilità è solo tua». Comodo vero?

Per meglio comprendere la situazione attuale, analizziamo uno dei giochi più frequenti e che attirano sempre più consumatori grazie alle grafiche accattivanti e all’elevato numero di premi “bassi”: I gratta e vinci, da cui ne deriva anche la pubblicità il quale inno è: “Ti piace vincere facile?” , ebbene sarà davvero così facile?

Il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, riporta all’articolo 7 una serie di “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica”. Nello specifico, al comma 4 bis, dispone che “La pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. Qualora la stessa percentuale non sia definibile, e’ indicata la percentuale storica per giochi similari.”
Probabilità media di vincita delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea, cosiddette “Gratta e Vinci”: 1 su 3,53. Il valore complessivo medio della restituzione in vincite può raggiungere il 75% dell’incasso. La probabilità di vincita è riferita al numero di biglietti vincenti uno o più premi, tra quelli individuati con i decreti di indizione delle lotterie, rapportato al numero complessivo di biglietti costituenti i lotti prodotti e immessi sul mercato per la vendita, anch’esso definito nei medesimi decreti di indizione delle lotterie. Il numero dei premi non coincide con il numero di biglietti vincenti: ciascun biglietto vincente può contenere uno o più premi.

Dopo questi cenni noi de L’Osservatore d’Italia abbiamo voluto capirne di più provando a chiedere una percentuale di vincite fatte con i Gratta e Vinci, presso una rivendita di tabacchi del centro storico di Potenza, in Basilicata, prendendo in esame i biglietti le quali vincite sono state riscosse in una settimana. Nel dettaglio, raggruppando i tagliandi principali e più venduti, in base al prezzo di vendita, abbiamo ottenuto questi risultati:
20 euro: 1 vincente ogni 2,9 tagliandi;
10 euro: 1 vincente ogni 3,4 tagliandi;
5 euro: 1 vincente ogni 3,9 tagliandi;
3 euro: 1 vincente ogni 4,2 tagliandi;
2 euro: 1 vincente ogni 4,6 tagliandi;
1 euro: 1 vincente ogni 4,9 tagliandi;

Naturalmente la quantità di tagliandi vincenti non è significativa o comunque utilizzabile per determinare una media delle quote dei premi ridistribuiti con i tagliandi vincenti stessi, in quanto frequentemente si sono presentate vincite multiple su alcuni tagliandi. Dopotutto lo scopo del nostro studio (sia sempre chiaro questo concetto) non è quello di stabilire quanto si vince, ma le reali percentuali di probabilità di vincita che si avrebbero comprando un tagliando al giorno e spiegando perché anche in questo caso “Il gioco non vale la candela”. Qualitativamente parlando, il tipo e la quantità di premi presenti su ogni tagliando vincente, per ogni serie di tagliandi, è prestabilito in base al montepremi predeterminato al tipo ed alla serie del tagliando stesso (montepremi = introiti totali di vendita esclusa la quota da riferire a tutte le voci detrattive, cioè AAMS (Azienda Autonoma Monopoli di Stato), costi di organizzazione, produzione e distribuzione, guadagno rivenditori) , ragion per cui è chiaro il fatto che l’incasso dello Stato non sarà mai uguale o inferiore rispetto all’incasso del singolo giocatore.

E’ conveniente fare questo tipo di gioco? Assolutamente no, perchè questo metodo infatti garantisce la vincita con elevate percentuali di riuscita, ma non l’attivo economico, in quanto comprare 5 gratta e vinci da 20 euro comporta una spesa di ben 100 euro, ma il tagliando vincente potrebbe essere di una somma nettamente inferiore, anche di 20 euro soltanto, ed alla fine vi trovereste ad avere speso 100 euro per ottenere una vincita di soli 20 euro. Lo Stato, infatti, prende sempre di più di quello che da, finendo in uno dei conflitti d’interesse più importante della storia, insieme al fenomeno del tabagismo.

Giulia Ventura