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L’omaggio dell’ANCRI all’Ordine al Merito della Repubblica italiana (OMRI) in occasione del suo 70mo compleanno

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Intervista al socio onorario dell’ANCRI Commendatore Michele D’Andrea

Sono trascorsi 70 anni dalla legge n. 178 del 3 marzo 1851,con la quale è stato istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italisna (OMRI), il primo fra gli Ordini nazionali.

L’OMRI è stato istituito per «ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, dell’economia e nell’impegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari» e comprende 5 diverse classi e gradi onorifici: Cavaliere di Gran Croce decorato  di Gran Cordone; Cavaliere di Gran Croce; Grande Ufficiale; Commendatore; Ufficiale; Cavaliere.
Le concessioni delle onorificenze hanno luogo il 2 giugno, ricorrenza della fondazione della Repubblica Italiana, e il 27 dicembre, ricorrenza della promulgazione della Costituzione italiana.

Alla Legge 3 marzo 1951, n. 178   ha fatto seguito il DPR   13 maggio 1952, n. 458 e il DPR 16 gennaio 2020, relativo alla determinazione numerica delle onorificenze.

Ecco l’intervista esclusiva a Michele D’Andrea


Quando Umberto II lasciò l’Italia, il 13 giugno 1946, cosa accadde dal punto di vista onorifico?

Per sei lunghi anni, dal 1946 al 1951, la Repubblica non conferì onorificenze cavalleresche ai propri cittadini. Esisteva, è vero, l’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana (oggi Ordine della Stella d’Italia), istituito nel gennaio nel 1947 con un decreto del Capo provvisorio dello Stato, ma era riservato agli italiani all’estero e agli stranieri che avessero «specialmente contribuito alla ricostruzione dell’Italia». E sempre nel 1947, fu cambiato il nome all’Ordine Militare di Savoia che divenne Ordine Militare d’Italia, riservato alle Forze Armate. Una platea ridotta ed estranea alla quotidianità di un popolo che doveva reinventarsi il futuro.


Immagino che gli italiani rimasero sconcertati, abituati com’erano agli ordini monarchici: l’Annunziata, i Santi Maurizio e Lazzaro, la Corona d’Italia…

Certo, e avvenne ciò che era facilmente intuibile: si fece di necessità virtù. L’appetito onorifico degli italiani, abituati all’ampio ventaglio di riconoscimenti monarchici che fungevano anche da ascensore sociale, fu allora saziato dai cosiddetti «ordini indipendenti», una vasta e ambigua palude nella quale proliferavano istituti cavallereschi di oscura origine e nessuna legittimazione, veri e propri opifici di patacche vendute a caro prezzo a sprovveduti cacciatori di cavalierati e gran croci. Qualcuno si prese la briga di fare un po’ di calcoli e giunse a contare almeno 173 ordini, fra noti e meno noti, per un totale di circa trecentomila insigniti.

Incredibile. Un mondo onorifico parallelo, insomma.

Esatto, e i nomi erano tra i più fantasiosi. Agli italiani del secondo dopoguerra si offrivano dignità capitolari, militari e ospedaliere che andavano da Betlemme ad Antiochia, dall’Albania alla Normandia, dalla Carinzia all’Estremadura. Cogliendo fior da fiore, citiamo l’Ordine di S. Uberto di Lorena e Bar, l’Ordine della SS. Trinità, l’Ordine Militare e Ospedaliero di Santa Maria di Betlemme, l’Ordine della Concordia, l’Ordine Militare di San Giorgio di Antiochia e della Corona Normanna di Altavilla, i Cavalieri di Betlemme, l’Ordine di San Giorgio di Carinzia, gli Equites Pacis, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri di Colombo, l’Ordine Militare dei Cavalieri del Soccorso, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri della Concordia, l’Ordine dell’Infinito. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. E capitava pure che un certo Franco Segatino, professore in scienze occulte, veggenza e psicoterapia, e un tale Carlo Zimatore, Gran Maestro dell’Ordine della Bianca Croce e della Spada d’Argento, offrissero titoli cavallereschi a prezzi scontati rispetto alla concorrenza, un vero e proprio dumping che rischiava di far saltare il mercato.
Ma è l’Ordine di Gesù in Giappone, che ebbe vita breve ma ben remunerata, a lasciare letteralmente senza parole per la sua assurdità logica, degna di comparire in un episodio di «Totò truffa». Resta il mistero di come si sia potuto convincere centinaia di gonzi a pagare migliaia di lire per fregiarsi di una commenda che sapeva di farlocco lontano un chilometro.

Al di là dei risvolti di colore, però, c’erano anche aspetti sociologici da non sottovalutare.

Quella moltitudine di fonti onorifiche, insieme con l’ampio consenso popolare che le alimentava, era lo specchio di una nazione che non aveva mai smesso di identificare il titolo cavalleresco come una delle più efficaci legittimazioni sociali. Non a caso, infatti, il titolo s’intrecciava indissolubilmente con l’esistenza pubblica della persona, fondendosi con il cognome o addirittura assorbendolo, specie negli apparati ministeriali: il questore era sempre chiamato Commendatore, così come il cumenda designava, negli anni del boom economico, l’imprenditore di successo.

Si trattava, comunque, di una situazione imbarazzante per le stesse istituzioni…

L’assenza di un patrimonio cavalleresco repubblicano alla lunga si fece sentire, a cominciare dalle occasioni in cui la cortesia internazionale prevedeva lo scambio delle onorificenze con i capi di stato in visita in Italia. Fu così che Ranieri III di Monaco, ricevuto il 19 ottobre 1950 al Quirinale dal presidente Einaudi, in mancanza d’altro ebbe una Croce al merito di guerra (aveva combattuto nell’esercito francese come ufficiale d’artiglieria), che tenne sempre in gran conto riservandole un posto di riguardo sull’uniforme di rappresentanza. Fra parentesi, ricordiamo che il principe si sposò indossando il collare dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nella prima versione, quella priva di barrette, conferitogli il 30 maggio 1953.
Questo per dire quanto fosse stata forte, allora, la pressione per ripristinare un sistema premiale statuale fondato sui tradizionali segni onorifici. Il cammino legislativo prese avvio, su iniziativa del Governo, nel 1949 e nel 1951 venne promulgata la legge istituiva dell’OMRI e il riordino dell’intera materia cavalleresca.

Che tipo di ordine cavalleresco era l’OMRI?

Vincolati dalla necessità di escludere qualsiasi richiamo al recente passato, i legislatori modellarono il nuovo ordine sul profilo di quello che appariva, anche in dottrina, il meno compromesso da implicazioni dinastiche, l’Ordine della Corona d’Italia. Istituito nel 1868 per premiare i benemeriti dell’Unità, era diviso in cinque classi; ma, forse, pesò maggiormente il fatto che le proposte di conferimento erano demandate ai singoli ministeri e che il numero delle decorazioni da conferire annualmente fosse stabilito dal Capo del Governo, il quale provvedeva pure alla loro ripartizione fra i vari dicasteri. Al sovrano era riservata la facoltà residuale di avvalersi del motu proprio. Così conformato, l’O.M.R.I. sanciva la fine di quel principio plurisecolare che identificava la massima autorità dello Stato come la sola fonte dispensatrice di pubblici riconoscimenti. Non più Gran Maestro, il Presidente della Repubblica ne è, però, il Capo, essendosi mantenuto quel principio necessario alla dignità e al prestigio di un ordine nazionale, secondo cui tale carica spetta al Capo dello Stato.

Come fu l’iter parlamentare?

Il percorso parlamentare dell’OMRI non fu una passeggiata. Sfoghi veementi, perle di erudizione, battibecchi e ironia punteggiarono il cammino di un disegno di legge meno spedito di quanto si potesse immaginare. L’opposizione di sinistra individuava nel nuovo ordine uno strumento fortissimo di adescamento politico ed elettorale.
La tesi del governo faceva leva, anzitutto, sull’articolo 87 della Costituzione da poco promulgata che, nel disciplinare i poteri del Capo dello Stato, gli attribuiva il conferimento delle «onorificenze della Repubblica». La portata della norma costituzionale, pur non essendo tale da imporre in maniera categorica l’istituzione di onorificenze repubblicane, costituiva indubbiamente la migliore riprova che nessuna incompatibilità esisteva tra la forma dello Stato, il suo indirizzo democratico e la possibilità di ordini cavallereschi nazionali. Anzi, a parere della maggioranza sarebbero stati proprio i principi democratici a essere esaltati dal nuovo istituto perché, nel solco di una tradizione consolidata, il riconoscimento sarebbe più largamente indirizzato alla valorizzazione «di modeste, ma probe esistenze, dedicate, in silenziosa umiltà ma con sentimento di laborioso sacrificio, al servizio del Paese in ogni settore della vita.»

Quanto tempo occorse per la promulgazione della legge?

Ci vollero due anni, dal maggio 1949 al marzo 1951, per giungere all’istituzione dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e alla disciplina in chiave repubblicana della materia cavalleresca.
Fu un percorso che si alternò fra le Commissioni di Camera e Senato con diverse pause e un dibattito sempre interessante, con qualche spunto curioso che vale la pena ricordare. Non sempre i resoconti d’aula sono noiosi, anzi, questo offre una lettura godibilissima anche per comprendere il paesaggio psicologico dell’Italia di quegli anni.

Qualche curiosità?

Sappiamo che la massima dignità dell’OMRI è Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone. Ebbene, là dove la legge definisce il collare «Gran Cordone» si aggiunge un nuovo errore a un vecchio errore. Quando era stato istituito l’Ordine della Corona d’Italia, fu mal tradotto dal francese il regolamento della Legione d’Onore, per cui si tradusse il termine cordon in «cordone», anziché nel più corretto «gran nastro, ossia la fascia». E fin qui passi, perché si utilizzava un termine improprio per definire il medesimo oggetto, ossia un nastro in seta. Ma cosa c’entra il cordone (di tessuto) con il collare (di metallo)? Nulla. Eppure, bastava rimanere in casa per usare il termine «collare», che l’Ordine della SS. Annunziata aveva trasformato in persone in carne e ossa: gli insigniti dell’ordine erano «i collari» e le loro consorti «le collaresse», anch’esse destinatarie di un particolare trattamento protocollare.

Qual è il senso più importante della Legge 3 marzo 1951 n. 178?

Certamente il ripristino, dopo cinque anni di vacanza, dell’esclusiva potestà dello Stato nel conferimento delle distinzioni cavalleresche, salvo il tradizionale riconoscimento di quelle straniere o di ordini riconosciuti dalla Repubblica. Solo lo Stato, infatti, può garantire una equa valutazione e la corretta distribuzione di onori e dignità ai propri cittadini: è dunque impensabile, anche in termini logici, che tale prerogativa possa essere delegata ad associazioni, enti o privati. Il divieto ai privati di conferire onorificenze cavalleresche si configurava, in tal modo, come una «protezione giuridica» non solo nei confronti dei cittadini, ma anche a tutela del prestigio delle distinzioni e della buona fede, così come avviene per i titoli accademici. Purtroppo, anche dopo l’entrata in vigore della legge, alcune discutibili sentenze di tribunali diedero a istituti pseudocavallereschi e a sedicenti gran maestri gli strumenti per esibire patenti di legittimazione che cozzano non solo contro il dato storico, ma anche contro il buon senso e la logica.

Un fenomeno che purtroppo dura ancora oggi…

Il malcostume in materia onorifica non è mai cessato, perché gli ordini fasulli prosperano ancora, soprattutto da quando il numero delle concessioni dell’OMRI è crollato drasticamente dalle circa 14.000 del 1990 siamo passati a circa 3.500 nell’ultima tornata. Basta fare un giro su internet per ammirare spadoni e mantelli, croci e investiture, dame e collari, discendenze e ascendenze. Intendiamoci, ognuno è libero di aderire a un’associazione che s’ispira alla cavalleria, che si riunisce periodicamente e prevede cariche, gradi e ritualità particolari. Tuttavia, è bene sapere che gli insigniti di tali associazioni non sono (e non saranno) autorizzati dallo Stato a indossare pubblicamente le relative decorazioni. In caso di dubbio è opportuno rivolgersi all’Ufficio Onorificenze e Araldica della Presidenza del Consiglio dei Ministri o all’Ufficio del Cerimoniale del Ministero degli Affari Esteri, ricordando che:
– un ordine cavalleresco serio, che opera secondo i principi dell’assistenzialismo, dell’altruismo e della religione, non fa campagna acquisti e non aggrega come se ci si iscrivesse a un club;

  • i Templari non esistono più dal 1312;
  • i Normanni, gli Angioini, gli Svevi, gli Aragonesi, la gran parte dei santi del calendario, i Teutonici, Bisanzio, l’Impero romano d’oriente e i vari sangiaccati sono belle pagine che appartengono a un lontano passato;
  • l’unico Ordine di Malta legittimo ha sede a Roma, in Via dei Condotti 68;
  • un prelato, una chiesa e una messa non sempre fanno un ordine legittimo.

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In Italia primi casi di puntura letale: sono i “parenti” della Dengue

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Un virus d’importazione, “parente” della Dengue e del West Nile, della famiglia delle arbovirosi che è già stato diagnosticato in Italia, intorno alla metà di luglio, nel laboratorio dedicato alle Bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano in due pazienti arrivati dal Brasile e da Cuba, e anche in Veneto, al Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell‘Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), sempre in una paziente con una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica. In tutto, i casi diagnosticati finora in Italia sono stati quattro. L’infezione provoca febbre molto alta, dolori articolari e muscolari e rash cutaneo e si trasmette all’uomo attraverso le punture di moscerini o di zanzare, principale vettore (la zanzara Culicoides paraensis) è attualmente presente solo in Sud e Centro Americhe e non è presente in Europa e ad oggi non esistono prove di trasmissione interumana del virus Oropouche.

Il segretariato di Bahia riferisce che i pazienti deceduti a causa della febbre Oropuche avevano sintomi come febbre, mal di testa, dolore retro-orbitale(nella parte più profonda dell’occhio), mialgia (dolore muscolare), nausea, vomito, diarrea, dolore agli arti inferiori e debolezza. In entrambi i casi, poi, i sintomi si sono evoluti con segni più gravi come macchie rosse e viola sul corpo, sanguinamento, sonnolenza e vomito con ipotensione, gravi emorragie e un brusco calo dell’emoglobina e delle piastrine nel sangue.

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Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Crollo della vela a Scampia, gravi due bambine

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Sono in gravissime condizioni due dei sette bimbi ricoverati all’ospedale Santobono di Napoli dopo il crollo della scorsa notte a Scampia.

Due delle sette piccole pazienti, rispettivamente di 7 e 4 anni, sono in gravissime condizioni per lesioni multiple del cranio e, attualmente, sono ricoverate in rianimazione con prognosi riservata.

Nello specifico, si legge nel bollettino dell’Ospedale Santobono, una bimba è stata sottoposta nella notte ad intervento neurochirurgo per il monitoraggio della pressione intracranica, presenta emorragia subaracnoidea, fratture della teca cranica e versa in condizioni cliniche gravissime, con prognosi riservata. L’altra, ha una frattura infossata cranica e grave edema cerebrale. È stata sottoposta ad intervento di craniectomia decompressa nella notte e impianto di sensore per il monitoraggio della pressione intracranica. Attualmente è emodinamicamente instabile e versa in condizioni cliniche gravissime con prognosi riservata. Altre tre piccole pazienti, rispettivamente di 10, 2 e 9 anni, hanno riportato lesioni ossee importanti e sono attualmente ricoverate in ortopedia. Una per un trauma maxillo facciale con grave frattura infossata della sinfisi mandibolare e con frattura di femore esposta, un’altra con frattura chiusa del terzo distale dell’omero sinistro, l’ultima con frattura dell’omero sinistro scomposta prossimale. Sono state stabilizzate e saranno sottoposte in giornata a intervento chirurgico ortopedico. Le ultime due, rispettivamente di 2 e 4 anni, hanno riportato contusioni multiple con interessamento splenico, trauma cranico non commotivo e contusioni polmonari bilaterali, ricoverate in chirurgia d’urgenza sono state stabilizzate e, al momento, non presentano indicazioni chirurgiche.

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