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Editoriali

L'Italia va a buone donne

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di Roberto Ragone
 
Tutte le prime pagine dei giornali di venerdì hanno aperto sulla giunta capitolina della sindaca Raggi, per molti arrivata alla frutta. Era prevedibile che l'esca avvelenata fosse stata preparata dal PD renziano, – ricordate la Taverna quando disse che c'era un 'complotto' per far vincere il M5S? – e ogni giorno i Piddini di Renzi tornano alla carica per buttare giù a spallate una sindaca eletta dal popolo di Roma con un risultato plebiscitario, un risultato che ha detto chiaramente che il PD non era più gradito. Di fronte all'alternativa di una sconfitta di misura, il PD ha deciso che se avessero vinto i Cinquestelle, sarebbe stato facile dimostrare l'inefficienza di una politica 'non convenzionale', sconfiggendoli a posteriori, e questo stanno  tentando di fare. Spalleggiati dai ‘soliti noti’, cioè gli organi di informazione che ormai , in alcuni casi mettendo da parte ogni etica professionale, sono solo un servizio a Renzi e alla sua compagine, gli oppositori del M5S si scatenano ogni giorno contro chi alla fine ha voluto prendere in carico la città più difficile in assoluto, Roma, per cercare di scrostare le concrezioni ultratrentennali di clientele, favoritismi, deficit stellari, mazzette, appalti, disservizi, consulenze superpagate, e chi più ne ha più ne metta.
 
Criticati i 'superstipendi' della giunta Raggi, che in complessivo non superano il milione di euro, nessuno cita quelli delle amministrazioni Alemanno e Marino, circa cinque volte tanto.  Bisogna dire che le dimissioni da varie cariche pubbliche danno l’impressione dei sorci che scappano quando la nave affonda. È arrivato il castigamatti, e noi ‘ci diamo’, come si dice a Roma. Anche perché non sappiamo come la pensa, ma sappiamo, per averlo sentito proclamare in lungo e in largo nelle piazze, che non è possibile fare accordi con i Cinquestelle. Perciò, come diceva un personaggio della commedia di De Filippo ‘Miseria e Nobiltà’, se non trovi ciò che ti serve, ‘desisti’.
 
L’unico quotidiano che il 2 settembre, è uscito con un titolo un po’ più obiettivo, è ‘Il Fatto’, che parla di una sindaca dimezzata, un titolo che ricorda un racconto di Italo Calvino e ridà un po’ di decoro a tutti quelli che parlano di catastrofe imminente. Non è così. Sapevamo tutti che l’impegno a Roma non sarebbe stato una passeggiata, soprattutto per Virginia Raggi, definita ‘bambolina imbambolata’ dal governatore De Luca, personaggio molto chiacchierato e voluto a tutti i costi da Renzi in persona, vai a capire tu perché. Il sindaco è un incarico che  dovrebbe essere considerato avulso dai giochi politici. I sindaci sono degli amministratori, e vanno giudicati soltanto per ciò che fanno, bene o male. Se tu sei all’opposizione in Comune, e vuoi bene alla tua città – come Giachetti ha più volte dichiarato prima dell’elezione della Raggi – , dovresti sentire l’obbligo di appoggiare le iniziative volte al suo benessere, alla soluzione di problemi antichi.
 
Purtroppo, il ‘tanto peggio tanto meglio’ è la politica corrente di questa opposizione. Oggi ‘Il Giornale’, riferendosi ai Cinquestelle,  parla di antipolitica, con la quale non si governerebbe: bene, se la politica è quella che conosciamo tutti, fatta di intrallazzi, combine sottobanco, voti di scambio, ripetuti ricorsi alla fiducia in Parlamento – pratica criticatissima quando era al governo Berlusconi, ma consuetudinaria con Renzi, senza il minimo fiato contrario – , riforme costituzionali non sincere, referendum popolari ignorati o pilotati, sprechi di denaro pubblico, eccetera eccetera, meglio un comportamento che se ne discosti. Oppure vogliamo continuare a tener bordone ai corrotti, ai lobbisti, a tutti coloro che della politica italiana e dei suoi introiti hanno fatto una mangiatoia? Intanto a Catania, alla Festa nazionale dell’Unità, il viceministro Faraone – quello che l'altro giorno in TV difendeva il jobs act, noto fallimento del governo Renzi, contro Landini che  rilevava che tra l’altro l'eliminazione dell'art. 18 ha tolto garanzie ai lavoratori – è stato accolto al grido di ‘vergogna’. 'Buonascuola addio', titola sempre ‘Il Fatto’. E pensare che Faraone, pur occupandosi di scuola, non ha mai terminato gli studi. Ma si sa, anche il Ministro della Salute Lorenzin ha ‘soltanto’ la maturità classica, eppure comanda tutto l’apparato sanitario nazionale, senza avere, per esempio, una laurea in medicina. Intanto il quotidiano ‘Libero’ titola con un sondaggio di Mannheimer che da’ ragione al cuore populista degli Italiani: no migranti, soldi agli Italiani invece che a quelli che arrivano con i barconi, fallimento del jobs act, no all’Islam che secondo la maggioranza dei nostri non ha nessuna voglia di integrarsi, ma di far integrare noi ai loro precetti.
 
Dal 'Giornale' apprendiamo ciò che sospettavamo, cioè che verosimilmente le tante donne che arrivano con i barconi – pare violentate dagli scafisti – sono incinte per un disegno preordinato di islamizzazione dell’italia, sfruttando il famigerato disegno della Boldrini, lo ‘Ius Soli’, per cui diventerebbero automaticamente cittadini italiani tutti i neonati partoriti sulla nave o sulla banchina del porto. Intanto il tanto temuto disastro economico del Regno Unito non c’è stato: anzi, dopo la dichiarazione della Brexit, ancora prima che essa sia messa in atto,  il PIL dell’UK è cresciuto dello 0,6%, contro lo 0,3% della media dell'UE e appena lo 0,1% dell’Italia, neanche l’inflazione.
 
Un altro titolo su 'Libero' riporta una dichiarazione dell’UBS, Union Banque Suisse: ‘Un vaffa all’UE e siamo decollati’. Sintomatico. Falso che uscire dall’UE e dall’euro sarebbe impossibile e provocherebbe un disastro, anzi, sembra che sia la panacea per rimediare a tutti i problemi economici e finanziari della nazione e soprattutto dei suoi cittadini, come illustri e non foraggiati economisti si sgolano a dichiarare da anni. Il papa, da parte sua, parla di ecologia, dichiarando che bisogna salvaguardare la natura, e i giornali – carta e TV – danno grande risalto a queste dichiarazioni più che ovvie, che, se fatte da un privato cittadino, non susciterebbero che un’alzata di spalle, soprattutto da parte di quelli che dicono che gli ecologisti sono un pericolo per il progresso della nazione perchè impediscono le grandi opere. Peccato che prima di lui, qualche secolo fa, un altro personaggio l’abbia già detto, un po’ diversamente, ma il linguaggio cambia con il tempo. "Quando avranno inquinato l'ultimo fiume, abbattuto l'ultimo albero, preso l'ultimo bisonte, pescato l'ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche." La frase è di Toro Seduto, il grande capo indiano dei Sioux Hunkpapa, morto a cinquantanove anni nel 1890. Eppure quando si riferiva all'inquinamento e all'ultimo pesce non sapeva delle trivellazioni in Mediterraneo. Quando parlava dell'ultimo albero non conosceva la truffa della Xilella  – è dimostrato dai fatti che si può ovviare ai suoi guasti senza abbattere gli alberi, o almeno non tutti i 500.000 comandati dall'UE – ideata probabilmente per far passare il gasdotto TAP dalla Tunisia, da Kipoi a S.Foca, attraversando l'oasi incontaminata di Melendugno, zona umida e protetta, più tutti gli uliveti ricchi di alberi plurisecolari, per cui non occorrerebbe alcuna autorizzazione all'abbattimento. Nè sapeva dell'importazione dalla Tunisia di milioni di tonnellate di olio vecchio passato per extravergine di oliva, venduto sottocosto nella grande distribuzione (ordinanza europea), con il crollo della nostra produzione, principalmente quella pugliese. Le multinazionali non sopportano i diritti dei piccoli, nè le lungaggini burocratiche che comporterebbero. Loro si rivolgono direttamente al Consiglio Europeo, tramite i loro 15.000 lobbisti che abitano stabilmente a Bruxelles, incaricati di indirizzare le scelte dei parlamentari. Quando parlava di banche, Sitting Bull non conosceva Monti, Prodi, Renzi, il MPS, il decreto 'salvabanche', la JP Morgan, la Bilderberg, Rockfeller e Rotschild. Davvero un grande profeta. Peccato non averlo ascoltato. 

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Codice Rosso: un’arma spuntata contro la violenza? [PRIMA PARTE]

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L’intervista a Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati

La violenza occupa sempre di più le pagine di giornali, televisione, web.
La legge 69/2019, nota come Codice Rosso, ha introdotto una serie di strumenti di materie di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

A Frascati opera ormai dalla fine del 2023 un Centro Antiviolenza, il Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani, ospitato, grazie al parroco di Cocciano don Franz Vicentini, nei locali della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore.

Abbiamo incontrato Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Nella foto don Franz Vicentini, parroco della Parrocchia San Giuseppe Lavoratore di Cocciano e Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati

Innanzitutto grazie per la tua disponibilità e grazie per il servizio che gratuitamente riuscite ad offrire a decine di vittime di violenza che spesso trovano porte chiuse di fronte alle loro problematiche.

Io ho l’abitudine di andare dritto alla questione: cosa succede quando una persona, una vittima di violenza viene da te. Quale è il tuo approccio?
Loro si presentano da me al Centro ma sono molto restie, purtroppo, perché sanno che vanno incontro a tutta una serie di situazione che rischiano di trasformarle da vittime in “carnefici” di sé stesse.

Cioè spiegami meglio
Purtroppo, questo tipo di legislazione di legge che abbiamo porta, diciamo, a questo finale in quanto sono tante le donne che subiscono violenza ma solo 1 su 10 che la subisce poi arriva alla denuncia … le altre no e questo perché hanno paura. Hanno paura in quanto restano sole senza alcun aiuto concreto. Non c’è nessuno, o meglio sono pochissimi gli apparati, diciamo sociali, amministrativi, comunali che riescono a stare al fianco delle donne. La loro paura, che poi diventa realtà, è che alla fine tutto gli si ritorca contro, incominciando dagli altri.


Quindi sole durante la violenza, sole dopo la violenza, quindi il rischio diventa questo.
Si!

Quindi, per capire: io mi rivolgo al centro di violenza antiviolenza perché sono sola, trovo sicuramente te operatrice che mi dai una mano, ma poi chi dovrebbe compiere l’azione di blindare la persona non c’è! Giusto?
Sì! Non c’è perché la legge ti blocca. La legge, la norma li si blocca si ferma, cioè nel senso che poi è il Procuratore che gestisce il cosiddetto Codice rosso. È lui che, in quel momento vede, valuta se la donna deve essere messa in sicurezza o deve essere lasciata lì, così, nella sua quotidianità.

Allora, premesso, io non conosco nel dettaglio la norma relativa al cosiddetto codice rosso a differenza di te che operi in tale ambito . Ma su che parametri dovrebbe decidere? Cioè, mi spiego meglio: io allora io vengo da te e ti dico guarda c’è una persona che mi picchia. A questo punto cosa succede? Quindi tu accerti il caso, allerti gli organi di polizia giudiziaria si arriva davanti al giudice e lui decide. Ma su parametri oggettivi o in base alla sua discrezionalità?
Allora al giudice arriva la denuncia che viene fatta presso gli organi di polizia giudiziaria, caserma dei carabinieri, commissariato di pubblica sicurezza. Deve essere improntata in una certa maniera, cioè bisogna mostrare che esiste un pericolo imminente e quando arriva questa denuncia al procuratore, è poi a sua discrezione decidere se “bloccare” l’aggressore con un braccialetto elettronico o far continuare a far vivere l’aggredito nella sua quotidianità. Il fatto è che purtroppo poi subentrano i servizi sociali nel senso che al momento in cui ad esempio una donna con un figlio, dei figli, si trova ad essere vittima di violenza e, come spesso succede, l’aggressore è il marito che è l’unico che porta reddito in casa, si corre anche il rischio di vedere i figli allontanati da una madre perché questa non è in grado, a loro avviso, di sostenerli economicamente e socialmente. E questo, te lo garantisco, genera davvero ancora più paura nelle donne che si vedono, ancora di più, allontanate dai propri affetti vicini. Ed allora di fronte a queste “concrete possibilità”, questi ostacoli decidono di non denunciare più.

Noi prima di incontrarci ci siamo sentiti al telefono e ci siamo detti una cosa: ho letto di casi di donne che si sono trovate nella situazione che tu mi dicevi – figlio tolto perché non era in grado di sostenerlo economicamente. Queste donne si lamentavano del fatto che nelle case famiglie per la gestione dei bambini lo Stato spende circa 50 euro al giorno. Se faccio i cosiddetti “conti della nonna”: 50 euro al giorno per 30 giorni vengono fuori 1500 euro. Tu sei donna, sei mamma, anche nonna mi hai detto … sappiamo bene che una madre con anche la metà, anche un terzo farebbe di suo figlio davvero un principe, o sbaglio?
Sì! Io vorrei cercare di far arrivare la mia voce, come quella degli altri operatori dei centri antiviolenza, sul tavolo di chi ci governa. È stato tolto il reddito di cittadinanza in quanto troppe lacune nella gestione dei controlli ma di fronte a questi fatti non avrebbe senso di provvedere “immediatamente” ad un reddito che possa tamponare le necessità impellenti di queste donne


Quindi tu saresti d’accordo a che il governo possa generare una sorta di “paracadute economico” per gestire queste situazioni proprio in virtù di quello che ci siamo detti cioè evitare l’isolamento in cui rischiano di finire poi le donne?
Certo che si sarebbe uno degli elementi che metterebbe in sicurezza le persone vittime di violenza, ti dico, tra le altre cose, che ci sono anche molti uomini che vivono la stessa situazione. Cioè permetterebbe loro di vivere in una situazione di maggiore tranquillità. E lo dico perché da prima linea vivo costantemente le paure di queste persone vittime di violenza che si trovano davvero alla mercè, oltre che fisica e psicologica, a dovere dipendere, per sopravvivere, dai loro aggressori dal punto di vista economico.
Quindi, se non ho capito male, quando parli di “prima linea” mi stai confermando il mio pensiero: vengono prima da te che dai carabinieri a denunciare le aggressioni?
Certo che si in quanto la difficoltà maggiore che incontrano queste vittime di violenza è strettamente collegata al fatto di sentirsi sole e di non avere alcun appoggio di fronte a queste situazioni e noi abbiamo il dovere di renderle coscienti anche dei rischi che si troverebbero di fronte ad una eventuale denuncia che rischia di isolarla ancora di più.

In che senso, scusami?
Per quello che ci siamo detti fin ora. Io denuncio resto da sola con mio figlio, il mio aggressore è l’unico che lavora … mi spieghi dove va questa donna a vivere e con quali soldi? E se ci aggiungiamo che in queste situazioni vengono allontanate dal contesto violento e messe in sicurezza senza, molte volte, neanche la possibilità di poter uscire mentre, troppe volte, assistiamo agli aggressori che se la spassano tranquillamente in giro. Quindi una protezione che diventa una sorta di “arresto domiciliare” che non fa altro che generare ulteriore disequilibrio per la persona vittima di aggressione che diventa così isolata, spesso anche senza la possibilità di telefonare a quei pochi amici o amiche. Faccio io una domanda a te: tu riusciresti a vivere cosi?

Di certo no, te lo posso assicurare. Quindi questa in apparenza “blindatura” diventa un vero e proprio isolamento mentre il “mostro”, l’aggressore, se la spassa in giro?
Certo ho assistito ed assisto a numerosi casi di questo genere dove la vittima è isolata e l’aggressore se la spassa in totale tranquillità e se ci sono bambini questi finiscono per la loro “sicurezza” in una casa famiglia spesso separati dal genitore vittima di aggressione.
Io faccio un salto indietro perché mi frulla una cosa in testa: tu all’inizio mi hai parlato di “pericolo imminente” all’interno della denuncia ma poi è il giudice che deve decidere se il “pericolo è imminente o meno”?
No, vuole tutte le fotografie, vuole tutte gli audio che devi mettere da parte a testimonianza delle aggressioni. Per cui se una donna, per esempio, non ce l’ha queste queste cose, o magari ha cambiato telefono bisogna predisporre un altro iter che ovviamente allunga ancora di più i tempi di intervento.

Allora, se ho ben capito, è sempre la soggettività di un giudice che decide.
Sì!

Quindi se lui ravvisa che non c’è rischio se ne assume pure la responsabilità?
Si, dovrebbe essere così

Ragionando per ipotesi: la donna o l’uomo vittima di aggressione vengono uccise dall’aggressore la responsabilità, teoricamente, andrebbe in capo al giudice?
In teoria si, ma non lo è! Ed è questo che non riesco a capire: questa norma che, nella visione, dovrebbe garantire non ha strumenti concreti ed immediati per aiutare le vittime di violenza.

Allora provo a girare la domanda. Se tu domani avessi la possibilità, conoscendo, perché le vivi, le necessità ed i bisogni delle vittime di violenza, quali correzioni porteresti al cosiddetto “Codice Rosso”?
Attuare immediatamente un programma di protezione alla vittima, ma lasciandola libera nella sua casa, magari con i suoi figli, aiutandola magari economicamente ed il carnefice deve essere allontanato. Ti dico che, ad esempio, perché a me piace parlare sul dato concreto, io ho donne che stiamo assistendo e l’unico modo è mandarle in delle strutture in Calabria allontanadole dal loro contesto sociale, famigliare che è invece da sempre qui ai Castelli Romani e la loro colpa è essere vittime di violenza. Quindi oltre il danno la beffa di essere allontanate dai loro spazi di vita.

Anche perché, correggimi se sbaglio, in questo modo gli eventuali figli e anche le condizioni psicologiche di queste persone subirebbero ulteriori danni davvero poi non più quantificabili.
Correttissimo perché, sempre per esperienza, si assiste davvero ad uno sfilacciamento anche del rapporto, ad esempio, tra la mamma, vittima di aggressione, con dei figli. Questi poi si sentono davvero isolati con è un padre violento, con tutte le ripercussioni che questo può generare loro, ed una madre lontana che spesso fatica pure nel mantenere con loro dei rapporti genitoriali completi.

Questa è la prima parte dell’intervista rilasciataci da Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati.

Domani pubblicheremo la seconda parte nella quale verranno evidenziati anche i problemi delle violenze effettuate da minori verso i loro famigliari.

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Oriana Fallaci: Il coraggio della verità

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Scusaci Oriana,
non ti abbiamo proprio capito.

Non solo ci avevi messi in guardia ma avevi lasciato che quello che tu chiamavi “alieno che vive in me” ti divorasse perché ritenevi più importante educarci alla riscossa dell’Occidente che salvare la tua vita.

Dopo quasi 20 anni dalla tua scomparsa– te ne andasti via in silenzio quel 15 settembre 2006 – siamo ancora con quell’estremismo islamico mascherato da buonismo che si insinua nel nostro pianeta con la rapidità di un virus al quale non siamo un grado di porre rimedio o, meglio, non vogliamo porre rimedio.

Le tue parole, i tuoi gesti, anche estremi, il chador buttato a terra – cencio da medioevo -, non hanno fatto presa.

Purtroppo un ecumenismo buonista ci copre gli occhi.

Gli Stati Uniti, un tempo custodi di un ordine mondiale democratico, si inginocchiano per l’ennesima volta di fronte alle guerriglie talebane divenendo, ancora una volta, artefici di confusione e non di libertà.

Le donne afgane tornano ad essere al pari di animali da riproduzione e nessuna voce si scaglia più contro questa ignominia.

Il sangue di giovani soldati occidentali sparso sulla terra non grida solo giustizia ma verità e rispetto per la loro missione di democrazia.

Il sangue di troppe giovani vittime colpevoli solo di vivere “nella parte sbagliata del mondo” muoiono sotto “bombe intelligenti” che dimostrano, sempre di più, la “stupidità del genere umano”.

Senza dimenticare la continua corsa ad un riarmo che in apparenza vuole imporre la pace ma poi diventa solo “fabbrica di morti”.

Scusami se mi rivolgo a te solo oggi.

Ma sento attorno a me il silenzio della rassegnazione di un mondo prono alla violenza.
Sento l’ipocrisia di chi vorrebbe un mondo organizzato dall’alto con scelte di chi, nel mondo, ormai non vive più perché abituato alle mollezze di un cultura che vuole essere solo di morte e non più di vita.

Oggi saresti stata l’emblema vivente di una riscossa necessaria ad un mondo senza più attributi né coraggio.

Saresti quel punto di riferimento di chi, come me e tanti altri, crede ancora nella possibilità che questo martoriato mondo possa tornare ad essere luogo di pace, di rispetto reciproco, luogo in cui le “libertà individuali” possano divenire valore aggiunto.

Ma, purtroppo, non ci sei più e sentiamo terribilmente la tua mancanza.
Ci manchi, mi manchi!

15 settembre 2006 – 15 settembre 2024

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Editoriali

Omosessualità, il caso del Vescovo Reina e le ombre sulla formazione nei seminari

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L’inchiesta sul Vescovo Reina getta luce su presunte problematiche all’interno della Chiesa, alimentando il dibattito sulla formazione dei sacerdoti e il trattamento dell’omosessualità nei seminari cattolici

L’omosessualità, la maturità umana e i requisiti per il sacerdozio sono temi centrali di un dibattito che negli ultimi anni ha assunto una dimensione sempre più rilevante all’interno della Chiesa Cattolica.

Questo approfondimento de L’Osservatore d’Italia intende analizzare il contesto che coinvolge il Vescovo Baldo Reina, ex rettore del seminario di Agrigento, accusato di aver adottato pratiche discutibili nella formazione dei seminaristi, in particolare riguardo ai candidati con tendenze omosessuali.

La vicenda è stata approfondita in una recente inchiesta giornalistica, che solleva interrogativi sulle dinamiche di discernimento, il rispetto dei “fori” interno ed esterno e la condotta morale all’interno dei seminari cattolici.

La formazione nei seminari: un quadro confuso

Un primo elemento critico è la mancanza di un progetto formativo univoco che regoli la formazione dei seminaristi in modo uniforme in tutta la Chiesa cattolica.
I seminari, infatti, seguono orientamenti e approcci diversi, il che complica il processo di valutazione dei candidati al sacerdozio. In questo contesto, emergono problematiche legate alla gestione delle tendenze omosessuali e al modo in cui queste vengono affrontate durante la formazione.

La Chiesa Cattolica ha stabilito una distinzione tra due concetti fondamentali nella gestione della formazione: il foro interno e il foro esterno. Il primo riguarda l’intimità spirituale e personale del candidato, tutelato dal sigillo sacramentale e gestito da padri spirituali e confessori. Il secondo concerne la dimensione pubblica e formativa del seminarista, supervisionata da rettori e insegnanti. Tuttavia, il confine tra questi due “fori” non sempre viene rispettato, come dimostrato nel caso del seminario di Agrigento.

Tanto si potrebbe scrivere sulle origini e sviluppo della coscienza ecclesiale di questi due “fori” ma prendiamo un intervento di Papa Francesco che vale a spiegare bene in cosa consista: «E vorrei aggiungere – fuori testo – una parola sul termine “foro interno”. Questa non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio! Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno. E questo lo dico perché mi sono accorto che in alcuni gruppi nella Chiesa, gli incaricati, i superiori – diciamo così – mescolano le due cose e prendono dal foro interno per le decisioni in quello all’esterno, e viceversa. Per favore, questo è peccato! È un peccato contro la dignità della persona che si fida del sacerdote, manifesta la propria realtà per chiedere il perdono, e poi la si usa per sistemare le cose di un gruppo o di un movimento, forse – non so, invento –, forse persino di una nuova congregazione, non so. Ma foro interno è foro interno. È una cosa sacra. Questo volevo dirlo, perché sono preoccupato di questo». (Papa Francesco – Presentazione della nota sull’importanza del Foro Interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, 29 giugno 2019.)

La nota sull’intervento, ovviamente, ci aiuta a capire dalle stesse parole di Papa Francesco l’importanza e la serietà con cui vengono visti i due “fori”, specialmente quello interno.

Il caso di Agrigento: “Libertà” o pressioni?

Nel seminario di Agrigento, sotto la direzione di Baldo Reina, un giovane seminarista con tendenze omosessuali è stato inviato a seguire un percorso noto come “Verdad y Libertad”, un programma di guarigione dall’omosessualità, ampiamente criticato e condannato sia dalla comunità scientifica che dalla Chiesa stessa.

La decisione di sottoporre il giovane a questo programma, che ha provocato disorientamento e danni psicologici, è stata presa nel foro esterno, sotto la supervisione di Reina quando era rettore del seminario di Agrigento.

Questo solleva questioni etiche e pastorali, poiché la proposta di partecipare a tali programmi dovrebbe avvenire con il consenso del seminarista, che però si è trovato di fronte a pressioni implicite per conformarsi.

L’elemento più inquietante è l’assenza di separazione tra foro interno ed esterno: il seminarista, che si è confidato spiritualmente, è stato poi giudicato e obbligato a seguire un percorso di “cura” che violava i principi di riservatezza e rispetto del foro interno. Questo modus operandi è stato fortemente criticato, poiché ha sovrapposto il giudizio spirituale a quello formativo, con effetti devastanti sulla persona coinvolta.

Le critiche a Reina: Un giudice unico?

Reina ha agito come giudice unico nel caso del seminarista, dimostrando una gestione della formazione caratterizzata da un’autorità indiscutibile e da un’interpretazione rigida delle norme. L’inchiesta pubblicata su “Domani” evidenzia come il percorso imposto al giovane seminarista non solo mancasse di fondamento medico e psicologico, ma fosse anche moralmente discutibile. Le pratiche proposte dal programma “Verdad y Libertad” sono state condannate in vari paesi, compresa la Spagna, e ritenute contrarie agli insegnamenti della Chiesa stessa (QUI L’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO DOMANI).

Un clima di tensione nella Diocesi di Roma

La nomina di Baldo Reina come vescovo ausiliare di Roma ha sollevato preoccupazioni anche per la gestione della Diocesi di Roma, in particolare per quanto riguarda la gestione del patrimonio immobiliare e le dinamiche interne al Vicariato. La presenza di figure discusse, come Don Renato Tarantelli Baccari, ex avvocato diventato sacerdote, e Mons. Michele Di Tolve, ex rettore del seminario lombardo, ha creato un clima di sfiducia e tensione tra i sacerdoti romani. La mancanza di trasparenza e il rischio di favoritismi hanno alimentato il malcontento.

Il caso del Vescovo Reina solleva questioni profonde su come la Chiesa Cattolica gestisce la formazione dei futuri sacerdoti, soprattutto quando si tratta di tematiche delicate come l’omosessualità. L’assenza di un progetto formativo chiaro e la mancata distinzione tra foro interno ed esterno espongono i candidati a pressioni psicologiche e morali che possono compromettere il loro percorso. La Chiesa dovrà riflettere su questi episodi per garantire un ambiente di formazione più rispettoso e trasparente, evitando che si ripetano errori simili.

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