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di Chiara Rai
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”… una premonizione oseremmo dire dantesca con l’auspicio che dall’inferno presto esca fuori tutto lo stivale e non le punte di dita atrofizzate da una politica tessuta di slogan che si spinge oltre, di poltrona in poltrona, con gli ospiti mossi dal desiderio di colmare la propria sete d’ interessi.
E quindi uscire a riveder le stelle, cinque per l’esattezza, sembra l’unica ipotesi che la disperazione come una morsa ineluttabile induce a considerare. Scrutare e avere fiducia nell’uomo di turno che transita per palazzo Chigi è ormai quasi un’utopia.
No, non ci si accontenta più di chiacchiere e distintivo e neppure si guarda con obiettivo giudizio chi, almeno, prova a fare il gesto. La politica ormai è una compostiera domestica che però non tritura bene, non ci restituisce concime per rendere i nostri orticelli fecondi.
E mentre si tagliano le retribuzioni dei dirigenti, le spese dei ministeri e la Difesa, si operano i trasferimenti alle imprese e la soppressione degli enti inutili, si è tutti concentrati ad ascoltare l’unico show che si vuole sentire, quello del “non ne possiamo più”…e come dargli torto!
E’ la nostra inesorabile fuga verso l’”Italia che non c’è”, l’italia che vorremmo e che ci promettono a suon di campagne elettorali roboanti. Quanto strillano tutti? Quanto imprecano e implorano e starnazzano e tengono i pugni sollevati e le braccia tese e lo sguardo fiero.
Questo è il cortiletto dove i pensieri rimbalzano e non possono fuggire oltre, oltre la prima stella che s’incontra aldilà del lastricato di menzogne su cui son sorte gran parte delle peripezie politiche. “E quindi uscimmo a riveder le stelle” e… trovammo tanto, tanto fumo.
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