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Editoriali

L'importanza di chiamarsi Matteo

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Tempo di lettura 2 minutiIl risultato del voto emiliano pone Renzi e Salvini alla testa dei due opposti schieramenti

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Di Simonetta D'Onofrio

Nelle consultazioni regionali di Emilia Romagna e Calabria, il dato più evidente è stato l’astensionismo. Nella “regione rossa” per antonomasia, che storicamente ha avuto percentuali di partecipazione più alte della media nazionale, si è perso rispetto a marzo 2010 un milione di elettori, con un calo dal 68% a meno del 38% degli aventi diritto al voto.
Nessuno dei partiti può gioire di quanto emerso dalle urne. Il PD ha visto, pur mantenendo sostanzialmente la percentuale dei voti del suo candidato a Governatore, e aumentando di qualche punto quella della lista, un calo del 38% dei voti. Risultato peggiore per Forza Italia, che ha ridotto il suo elettorato a un quinto di quattro anni fa, anche sommando i voti della lista con quelli del Nuovo Centro Destra (operazione più matematica che politica, data la differenza di posizioni politiche tra i due ex alleati), il calo di schede è del 75%.
Non può gioire neanche il Movimento Cinque Stelle, che sostanzialmente mantiene gli stessi voti, incrementando il risultato percentuale dal 7 al 13% (ma nel 2010 il movimento era in fase incunabolica), ma che è un notevolmente inferiore al 20% delle recenti europee e al 25% delle scorse politiche, confermando una flessione del movimento, aggravata dal risultato calabrese, dove è passato da oltre il 21% di sei mesi fa a meno del cinque.
Gli unici due che possono, quasi a titolo personale, vantarsi di avere vinto le elezioni, hanno lo stesso nome, e sono indicati come i più probabili candidati alla guida dei due schieramenti alle prossime elezioni politiche.
Matteo Renzi può gioire per aver strappato l’ennesima regione al centrodestra, cui restano solo la Campania, e le roccaforti Lombardia e Veneto, dove peraltro la presenza della lega pone in interesse minoritario l’establishment berlusconiano. Il voto delle regionali poteva diventare una bocciatura al progetto di riforma del Primo Ministro, e se non si può certo considerare un’approvazione a pieni voti, ne garantisce almeno una promozione striminzita.
L’altro Matteo, quello in maggiore ascesa nelle ultime settimane, l’unico che riesce a contendere le piazze mediatiche al suo omonimo, passando con disinvoltura dai salotti televisivi alle periferie tumultuose, è riuscito a mettere all’angolo l’alleato scomodo, bloccato dall’inagibilità politica derivata dalla legge Severino.
L’ascesa della lega, però, non può essere rivendicata dalle precedenti gestioni del partito. Salvini ha stravolto le priorità del Carroccio, passando dalla secessione al nazionalismo. Se la lega si fosse presentata con gli slogan solo di un anno fa, il risultato sarebbe stato diametralmente opposto.
Se fino a ieri i candidati leghisti dovevano avere l’approvazione del Cavaliere per presentarsi anche a fare l’amministratore di condominio, oggi nel centrodestra non si possono fare i conti senza il segretario in camicia verde.

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