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LIBERTA': L'ANTIDOTO CONTRO IL MALESSERE

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Tempo di lettura 3 minuti La libertà è un cammino interiore che va vissuto ogni istante, è uno stato dell’essere, e deve diventare uno stato mentale

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Sara Desirèe Galea

Mi rendo conto che oggi, una serie di idee e sensazioni mi hanno praticamente instradata a ‘’desiderare’’ la libertà, una parola che va conquistata giorno dopo giorno. Pensiamo veramente di sapere cosa sia? Pensiamo veramente di essere liberi?  

La libertà è un cammino interiore che va vissuto ogni istante, è uno stato dell’essere, e deve diventare uno stato mentale, perché la ‘’Libertà’’ è il diritto di difendere se stessi  da qualsiasi interferenza esterna a quella che è la nostra volontà di vivere noi stessi, i nostri desideri, azioni e dunque vita.

Libertà è poter dire ” tu hai sbagliato e tu ne paghi le conseguenze’‘.
È non dover dire sempre e solo ”si va bene così” solo per quieto vivere.
È poter decidere chi deve dirti cosa e in autonomia ascoltare o no.
È poter vivere la vita pensando che questa appartiene solo a te e a nessun altri.
È voler vivere un sorriso perché lo senti e non perché lo vogliono gli altri.
È poter dire ciò che senti in sincerità.
È dare una mano ma … anche poterla ritrarre, se questo fa male a te.
Libertà è voler rispettare gli altri onorando anche se stessi.
È poter pensare ”io sono mia/o” e non devo nulla a nessuno oltre che a me stesso/a.
La libertà al dunque è la volontà di agire  e pensare autonomamente nel rispetto dei valori umani, morali, civili, ideologici, di fede … senza sentirsi costretti dalle volontà o necessità del prossimo di gestire la nostra vita per il proprio piacere, o tornaconto personale.

Mi piace, sottoscriverebbero su Facebook.


Ci s’illude di essere liberi, e finché ci si crede va tutto bene… quando non ci si crede più, va tutto come prima ma ci si sente molto peggio…


Si può ledere, o meglio violare la libertà di un essere umano, anche quando gli si porge un aiuto  che in quel momento non è ben accetto…
Quando in maniera silenziosa si addossa agli altri la responsabilità del benessere della propria vita. …
Quando ci si rende conto che pur non essendo graditi  si continua ad imporre la propria presenza, e relative attenzioni non volute…
Nel mio presupposto la libertà è il valore dei valori, è il volo di un gabbiano nel suo librare nell’aria, è il respiro di vita, la carezza di un pensiero, è la dolcezza, la sensazione di vivere se stesso totalmente. L’impossibilità  di vivere la propria  libertà  cancella ogni orizzonte, senso e gioia di vivere. 
Dove non esiste la libertà esiste la morte di ogni sensazione, e dunque esistenza, facendoci vivere nella percezione di una vita che non ci appartiene e che è, invece,  di chiunque per il suo scopo la programmi al posto nostro.
E’ questo il motivo per cui viviamo nel malessere e vorremmo liberarci della vita, a volte, perché non la sentiamo più nostra, e dunque la rifiutiamo.
Libertà è poter  vivere ogni emozione doni a noi stessi il senso di benessere. 

La libertà  è quindi  il valore che rende la vita una magia, il sogno immagine della stessa, è ciò che dona Amore, perché si può amare solo se si è liberi di farlo, solo se si è coscienti di ciò che sentiamo dentro di noi e vogliamo realizzare in autonomia  gustandone l’essenza.
Una volta pensavo, per sentito dire sinceramente,  che dove iniziasse la mia libertà finisse quella degli altri, mentre poi amando la vita e tutto ciò che la caratterizza ho compreso che dove inizia la mia libertà inizia la libertà di chiunque voglia viverla, perché la libertà individuale non potrà mai scontrarsi con quella del prossimo  se ognuno si concentra sul proprio bene, onorando la propria vita anziché cercando la propria realizzazione in quella degli altri. Il senso della libertà è stato delegittimato nel momento in cui  abbiamo stabilito una comunità che vive in base alle opportunità.

Chiunque ha a disposizione della propria vita una  quantità illimitata di libertà, perché  è la virtù che glorifica l’esistenza umana, la virtù che  insegna all’essere umano il rispetto per se stesso e gli altri educando la mente umana all’idea che l’universo è un firmamento di stelle che brillano di luce propria, e non di quella delle altre stelle. 

Libertà è vivere se stessi senza ledere gli altri.
Non danneggiare, quindi,  significa  vivere in funzione di se stessi, di ciò che ci onora e ci realizza, scegliendo come vivere, come pensare, come agire, e tutto ciò che ne consegue, responsabilità incluse.   In ogni ambito di vita, se noi prima di compiere un’azione ci mettessimo a pensare all’eventualità che a qualcuno la nostra azione non piaccia, dovremmo assolutamente renderci conto del fatto che la nostra esistenza diventerebbe una vita da non vivere, perché tra l’infinità di persone che girano intorno alla nostra realtà ce ne sarà sempre qualcuna che troverà sconveniente, o non lecita, la nostra decisione, o azione, o tali ed eventuali, secondo il proprio giudizio.
Per concludere, la vita è di chi la vive, agli altri si conceda un’unica decisione, amarci o allontanarci…. Volendo potrebbero anche criticarci, pur sapendo che saranno parole fini a se stesse, e che non modificheranno assolutamente il nostro modus vivendi.

Arrivederci alla propri settimana, stessa  rubrica, stessa gioia, ma forse… molto più grande, perché saremo tutti molto più liberi…

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Roma, aggressioni e borseggi: intervista all’onorevole Riccardo De Corato

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In seguito all’aggressione avvenuta ieri sera a Simone Cicalone, noto youtuber impegnato a compiere riprese per mostrare i troppi fenomeni di borseggio che avvengono nella metropolitana di Roma abbiamo contattato al telefono l’onorevole Riccardo De Corato, già vicesindaco della città di Milano, assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia ed oggi parlamentare italiano e vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera.

INTERVISTA ESCLUSIVA ALL’ONOREVOLE RICCARDO DE CORATO, VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI DELLA CAMERA

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Riccardo Cucchi presenta i suoi libri

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Ieri sera in una piazza dell’Olmo piena all’inverosimile la “padrona di casa” l’elegantissima, come sempre, Emanuela Bruni ha dato il via alla serata, accompagnato dalla superba professionalità e simpatia di Giampiero Cacciato, facendoci ascoltare la sigla di “Tutto il calcio minuto per minuto” la trasmissione radiofonica per eccellenza che ha accompagnato le storie e le domeniche di tutti noi, donne e uomini, amanti di quello che è definito “il gioco più bello del mondo”: il calcio.
L’ospite è un sorridentissimo Riccardo Cucchi, voce storica di Radio Rai.
Anche stavolta, quasi una combinazione, “sono le 18 e 4 minuti” riprendendo la frase incipit del prologo di Radiogol, uno dei due libri presentato assieme a Un altro calcio – è possibile.
Emanuela, giornalista di razza, lo stimola immediatamente con un quesito: Oggi lo sport ed il calcio, nello specifico, sono importanti dal punto di vista sociale?
La risposta di Riccardo Cucchi diventa il filo che collega tutta la serata.

Giancarlo Ceccarelli, capitano della Lazio campione d’Italia Primavera stagione 1975/76

Ci spiega, con estrema dovizia, che già con le Prime Olimpiadi del 1896 lo sport abbia cercato di “sterilizzare”, usa proprio questo concetto, ogni forma di conflitto simulando un combattimento ma restando legato a valori alti ed etici che, purtroppo, le guerre ovviamente non prendono in considerazione.
“Il calcio è immerso nella vita, ne è parte stessa, è una delle tante attività umane. Immaginarlo isolato dal contesto sociale, politico ed economico è pura illusione” questo è il filo conduttore che lega i due libri.
Il calcio e lo sport nei due libri che ci presenta, spiega con serenità “sono il pretesto per parlare di altro”; calcio e sport, aggiunge, “sono storia dell’umanità, sono storia di rapporti umani, è cultura, è molto altro” racchiudendo poi questo concetto che lascia spazio ne “Un altro calcio – è ancora possibile” dove scrive: “il calcio è una sorta di carta assorbente che si impregna di tutto ciò di cui è impregnata a sua volta la società. Ma ha un obbligo etico, imprescindibile: deve promuovere valori”
Lo smarrimento della sua identità ma soprattutto l’avere perso il principio primo che lo sport eleva, la passione, lo sta riducendo in un qualcosa che ormai è più paragonabile ad un “bancomat” usato per fare business e fino a quando i tifosi non si renderanno conto che queste holding gestiscono “sentimenti”, tramutandole in denaro, resterà un qualcosa di assai lontano da quelle emozioni di un tempo.

Non c’è nostalgia, però nelle sue parole: il suo è un messaggio che vuole portare un cambiamento etico nei valori che il calcio può e deve mostrare perché il rischio è che “non può rinunciarvi senza pagare il prezzo di smarrire la sua stessa identità”.
Focalizza la sua attenzione sugli ultimi mondiali in Qatar dove il calcio è stato usato “per nascondere” le palesi ed evidenti violazioni dei più elementari diritti per un essere umano: “il calcio, dice, non può farsi strumentalizzare”.
8 stadi costruiti di cui oggi solo 2 restano in piedi: cita il quotidiano britannico The Guardian che raccontava in quei giorni di milioni di uomini usati come “schiavi moderni” gli venivano sequestrati i passaporti, dice con sdegno tra lo sguardo allibito dei partecipanti alla serata.
Oltre 6500 morti, la maggior parte di loro caduti da impalcature “i mondiali sono stati giocati in novembre/dicembre con un temperatura mite negli stadi ma loro – si riferisce agli schiavi moderni – hanno lavorato sotto temperature ben superiori ai 30/40 gradi”.
Quello che stasera compare in piazzetta dell’Olmo è un grido di dolore di chi, come lui, nato nella curva della Lazio dove, passati gli anni da radiocronista, è tornato per vivere la passione del calcio, vuole difenderlo dalle commistioni politiche e dai petrodollari ed invita qualunque dirigente sportivo ad assistere ad una partita di calcio direttamente in curva dove potrà riscoprire “il senso vero della passione sportiva” che non può e non deve essere confusa, dice, “né con lo spettacolo, né con l’intrattenimento”.

l’abbraccio fraterno di Riccardo Cucchi all’amico Giampiero Cacciato sotto lo sguardo attento di Emanuela Bruni

Poi Giampiero Cacciato “da Cogoleto” – ci tiene a specificare alla platea – che per anni ha collaborato con Riccardo Cucchi, “ero io a preparargli il microfono”, dice, dopo l’aneddoto dei tamburi camerunensi seguiti durante i mondiali di Francia 98 invece di recarsi allo stadio, affronta un tema assai delicato nello sport: il razzismo.
“Una cosa stupida”, dice tra gli applausi Riccardo Cucchi ed aggiunge che “se c’è qualcosa che mi ha insegnato la mia carriera giornalistica è che non c’è niente di più contraddittorio dello sport con il razzismo” e ricorda il primo caso passato alla cronaca di razzismo in Italia: cita l’acquisto, nel 1989, del giocatore di origine ebraica, Ronny Rosenthal, da parte dell’Udinese. Gli ultrà di questa squadra si sollevarono dimostrando un rigurgito antisemita generando una ingloriosa marcia indietro della socieà che non perfezionò l’acquisto adducendo come scusa banale un problema vertebrale.
Cucchi sottolinea l’atteggiamento costante di molte società che minimizzano tale problema giustificando che lo stadio rispecchia l’atteggiamento razzistico del mondo. Ma questo, dice, non può diventare una scusa e consiglia un’utopia: rovesciare il tema facendo divenire lo stadio il luogo virtuoso senza alcun atteggiamento razzistico isolando tutti coloro che lo manifestassero, sia sugli spalti che, ahimè, anche sui campi stessi.
Una idea rivoluzionaria perché il tifoso razzista è colui che contraddice ed infrange il concetto stesso di sport.
Una lezione morale, la sua, che viene accolta dagli applausi dei tantissimi presenti stasera in piazza dell’Olmo a Frascati.

E poi inizia il momento degli aneddoti: da Mario Giobbe che gli sintetizzò così il lavoro di radiocronista “Più breve sei, più bravo sei”.
All’esame in Rai con un Sergio Zavoli, presidente di commissione, che gli chiese: “Se noi decidessimo di avvalerci della sua collaborazione cosa vorrebbe fare” e la sua risposta “sfacciata”, aggiunge, fu: “il radiocronista!” Sapete come andò a finire? Fu costretto da Zavoli ad inventarsi una partita ed a commentarla: ma Zavoli non sapeva che quello era per Riccardo Cucchi il sogno che coltivava da bambino e fu davvero un’apoteosi, uno Juventus – Milan che fu il lasciapassare per l’ingresso in Rai, Mamma Rai.
All’essere stato, durante la finale dei 100 metri di Seul, il radiocronista che disse il maggior numero di parole: praticamente un record nel record.
Poi la “gavetta” in periferia, Campobasso, laddove ci si preparava alla presenza al microfono ed a presentarsi al microfono (dizione, parlare bene, lessico forbito) con un maestro d’eccezione: il grande attore Arnoldo Foà.
Ma il momento più entusiasmante le trasferte al fianco di Enrico Ameri che gli aveva stilato un regolamento e, una volta allo stadio, aveva come compito quello di segnare i calci d’angolo “ho avuto sempre il terrore di sbagliare i conti”.
E poi il racconto dello scudetto alla Lazio l’emozione incontenibile ed il dovere di essere, fino alla fine della carriera, dentro quella neutralità che contraddistingue il bravo giornalista.

Di certo, per un laziale purosangue come lui il momento più bello, ma che fa il paio con Inter – Empoli del 12 febbraio 2017 dove uno striscione della curva nord interista gli tributa un grazie immenso:
A TE IL NOSTRO APPLAUSO PER AVERCI EMOZIONATO PER DAVVERO IN UN MONDO FINTO – RICCARDO CUCCHI SIMBOLO DEL NOSTRO CALCIO

Lo striscione dedicato a Riccardo Cucchi dai tifosi neroazzurri il 12 febbraio 2017

Riccardo Cucchi ieri sera ci ha fatto scoprire quanto ancora la bellezza di questo gioco amato da milioni di italiani, ai tempi d’oro Tutto il calcio minuto per minuto raggiunge picchi di 25 milioni di ascoltatori, sia collegata alla quella passione che si vuole scippare via a noi che lo amiamo.

Una serata splendida chiusa dalla sua voce che ripete: qui da Frascati e da Riccardo Cucchi è tutto a te la linea studio centrale.

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Esteri

6 giugno 1944, operazione Neptune: il ricordo dopo 80 anni dallo sbarco in Normandia

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Don quella mattina del 6 giugno 1944 era li con tutti i suoi commilitoni.
Non sapeva, di certo, che quel giorno potesse fare la Storia,
Si, la Storia che si legge sui libri e di cui lui è stato uno dei protagonisti.
In questi giorni, dopo ottant’anni, è tornato li.
“Settemila dei miei compagni di marina sono stati uccisi. Ventimila fucilati, feriti, caricati sulle navi, sepolti in mare” ci dice Don Graves, un veterano del corpo dei Marines, con serenità e con un luccichio di lacrime negli occhi.

Nella foto Don Graves insieme al dottor Emilio Scalise

“Voglio, aggiunge, che i più giovani, le nuove generazioni sappiamo quello che noi abbiamo fatto”.
Per molti dei veterani presenti oggi qui il 6 giugno 1944 resta una pagina dolce e nel contempo amara: molti dei loro amici hanno perduto proprio su queste spiagge la loro vita.
E stamattina a Saint Mere Eglise quelli che un giorno erano “l’un contro l’altro armati” si abbracciano nel ricordo di una delle pagine più sanguinose della II Guerra Mondiale: lo sbarco in Normandia.

Cinque teste di ponte, l’operazione Neptune, per consentire agli eserciti alleati di creare quel terzo fronte determinante per la sconfitta del nazismo.
Oggi si ricorda il sacrificio di giovani, un tempo nemici, ed oggi uniti nel loro ricordo.
Una cerimonia solenne ma che diventa importante per l’abbraccio nel nome di una pace che stenta su tutto il pianeta e che vuole ricordare il coraggio e l’abnegazione di molti ragazzi che sapevano di andare a morire.

il mitico campanile di Saint Mere Eglise

Una nota leggera: come ogni anno sul “mitico” campanile di Saint Mere Eglise svetta un paracadute, assieme ad un manichino, che ricorda il fatto realmente accaduto di un soldato americano paracadutista che nel lancio sul paesino rimase impigliato con la vela del suo paracadute, rimanendo illeso ma bloccato in quella posizione.

il paracadute con il manichino svetta sul campanile di Saint Mere Eglise

In questi giorni, come già scritto in un nostro articolo (https://www.osservatoreitalia.eu/d-day-80-anni-dallo-sbarco-in-normandia/), alcune Jeep e di un Dodge Ambulanza di proprietà dei soci dell’Associazione HighWay Six Club ha raggiunto le spiagge francesi ed il dottor Emilio Scalise, uno dei soci, ci ha raccontato in presa diretta l’emozione: “Un giorno che resterà indelebile nella mia memoria”.

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