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Editoriali

Legalizzazione della cannabis, bandiera bianca delle istituzioni e della DNA

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Tempo di lettura 4 minuti Dal 16 luglio 2015 giace in Parlamento una proposta di legge firmata da 218 parlamentari, un po’ di tutti gli schieramenti politici

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di Roberto Ragone

 

La tragica morte del quindicenne di Lavagna, lanciatosi dal balcone di casa dopo una perquisizione della Guardia di Finanza, durante la quale lui stesso aveva denunziato il possesso di circa 15 grammi di cannabis, ha riportato i riflettori sulla proposta di legge di liberalizzazione delle cosiddette ‘droghe leggere’, equiparate nella loro pericolosità da una legge del 21 febbraio 2006, cosiddetta Fini-Giovanardi, a quelle considerate ‘pesanti’, come oppiacei e derivati e droghe sintetiche. Una legge che Marco Pannella ha caldeggiato per decenni, violando la normativa corrente con il ‘farsi una canna’ in pubblico, e attirando su di sé gli strali della legge. La cannabis – hashish e marijuana – è un prodotto nocivo, che brucia irreversibilmente i recettori cerebrali delle forme naturali di stupefacenti, come l’endorfina, sostituendosi ad esse e creando una dipendenza.

L’azione della cannabis influisce anche sullo sviluppo mnemonico e intellettivo della persona, in special modo se ancora in età evolutiva. I danni della cannabis, come di altre sostanze stupefacenti psicotrope, sono descritti esattamente in un CD che un amico medico ha avuto la bontà di donarmi, sapendo della mia curiosità specifica. Un CD creato non dal farmacista all’angolo, ma dall’Istituto Superiore di Sanità, dal titolo “Sostanze e dipendenze”, che descrive non solo gli effetti della cannabis, ma di tutte le droghe, comprese quelle sintetiche. Almeno quelle presenti sul mercato alla data della redazione del CD, visto che i laboratori clandestini della malavita organizzata lavorano a pieno ritmo, e quasi ogni giorno i loro chimici ne sfornano di nuove.

A proposito della cannabis, dal 16 luglio 2015 giace in Parlamento una proposta di legge firmata da 218 parlamentari, un po’ di tutti gli schieramenti politici. In breve, si introduce il possesso e la detenzione domestica di modiche quantità di cannabis, soltanto per i maggiorenni, per i quali è prevista anche la possibilità di coltivazione di non più di cinque piante di genere femminile. Sono previste anche cooperative di non più di cinquanta persone che coltivino la cannabis. Il tutto regolamentato e controllato da uno Stato che tratterà il prodotto come il tabacco, concedendo licenze di vendita al pubblico come per i tabaccai, in negozi autorizzati.

Viene depenalizzata la cessione gratuita di cannabis anche fra minori, per non sovraccaricare l’impianto giudiziario, ma solo per modiche quantità, destinate, presumibilmente, a consumo personale. Ritorna quindi il concetto di consumo personale, applicato in toto nella legge. Altre prescrizioni, come il divieto di consumo in luoghi aperti al pubblico e l’importazione o esportazione, come pure la coltivazione di cannabis da parte di soggetti non di cittadinanza italiana, ed altre regole varie, fanno da corollario. Perché parliamo di bandiera bianca? 

Dopo tanti anni di proibizionismo, dettato in realtà dall’intenzione più che lodevole di salvaguardare la salute pubblica, in particolare quella dei nostri ragazzi, la DNA, Direzione Nazionale Antimafia, ha alzato le mani di fronte allo strapotere di una criminalità che trae i suoi maggiori profitti dal commercio delle droghe, che siano denominate leggere o pesanti – sappiamo, dall’Istituto Superiore di Sanità che non esistono droghe ‘leggere’, e che le conseguenze dell’una o dell’altra sono egualmente devastanti, anche se non immediatamente percettibili.

La DNA registra un totale fallimento delle azioni repressive nei paesi produttori, con conseguente aumento dell’influenza economica e politica delle organizzazioni criminali che controllano la produzione e lo spaccio, né il consumo nei paesi fruitori è stato arginato. Il risultato è che le criminalità mafiose hanno incrementato i propri introiti e il proprio potere, economico e politico.

Nel contempo, la repressione indifferenziata dell’uso e del commercio di tutte le sostanze ha accresciuto i costi, e quindi messo in crisi l’apparato proibizionista, con il fallimento totale dell’azione repressiva, e l’impossibilità di aumentare gli sforzi per una migliore azione nei confronti dei cannabinoidi. “D’altronde”, continua il rapporto della DNA “dirottare ulteriori risorse su questo fronte ridurrebbe l’efficacia dell’azione repressiva su emergenze criminali virulente, quali la criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di esseri umani e di rifiuti, corruzione, contrasto al traffico di letali droghe pesanti, eccetera.”

È quindi proprio la DNA a proporre  politiche di depenalizzazione, che alleggerirebbero il carico giudiziario, e libererebbero risorse per il contrasto di altri fenomeni criminali. Altrove, come negli Stati Uniti, e segnatamente in quegli Stati che hanno consentito l’uso ricreativo di cannabis, il numero dei consumatori non è aumentato. In più, la libera vendita di hashish e marijuana produrrebbe risorse economiche da destinare al bilancio dello Stato italiano.   Per avere un’idea della dimensione del fenomeno del consumo delle droghe leggere, la DNA riporta alcuni dati: il quantitativo sequestrato è inferiore di 10/20 volte inferiore a quello consumato, ipotizzando ragionevolmente un consumo di che oscilla presuntivamente fra 1,5 e 3 milioni di chili all’anno. Come se ogni Italiano, compresi vecchi e bambini, avesse a disposizione qualcosa come 100/200 dosi all’anno. Incrociando questi dati con quelli della vendita al consumo, nella stima più pessimistica si raggiungerebbero i 30 miliardi all’anno. In sintesi, la vendita della cannabis da parte dello Stato italiano produrrebbe risorse per combatterne  il traffico illecito, togliendo nel contempo alla criminalità mafiosa una parte importante dei loro introiti. Volendo essere maligni, non crediamo che le mafie rinunceranno a una buona parte dei loro guadagni senza fiatare. Il rischio è che riescano ad inserirsi nei nuovi meccanismi, pur con tutti i controlli incrociati previsti per legge. L’altra amara considerazione è che non si riesca ad arginare il consumo di sostanze comunque nocive, e per far questo si debba renderle consentite.

Lo Stato ci ha abituato a questo: la scritta “Il fumo uccide” sui pacchetti di sigarette non ne impedisce la vendita, i cui maggiori proventi vanno proprio alle amministrazioni pubbliche. Le accise sull’alcool non impediscono che se ne faccia uso e a volte abuso, con gravi conseguenze sui giovani frequentatori di discoteche. Le varie lotterie, “Gratta e vinci” e simili sono dello Stato, insieme con le macchinette videopoker, e la ludopatia è un’altra piaga della nostra civiltà moderna. La cannabis è l’ultima sostanza dannosa in ordine di tempo. Ma presto, come d’abitudine, c’è la quasi certezza che si passerà anche ad altre sostanze, più ‘pesanti’. Sempre regolamentate, controllate, i cui proventi saranno ‘sottratti’ alle mafie per impinguare il fisco italiano. Il rischio è proprio quello che lo Stato sostituisca le mafie, o viceversa. Falcone diceva che questo era già successo. Chi vivrà vedrà.

 

 

 

Ambiente

Agenda 2030, sostenibilità ambientale: ecco come impegnarci

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La sostenibilità ambientale è uno dei goals previsti nell’Agenda 2030. Tale documento evidenzia obiettivi molto importanti tra cui, porre fine alla fame nel mondo, dire stop alla violenza sulle donne etc …

Nelle scuole italiane e non solo sono stati avviati progetti per arrivare ai traguardi preposti.
Negli ultimi anni, l’obiettivo della sostenibilità ambientale ha visto una maggiore consapevolezza individuale e collettiva.

All’interno di molte scuole, sono state programmate diverse attività tra cui, insegnare la raccolta differenziata, organizzare gite guidate presso inceneritori e impartire lezioni o laboratori di educazione civica e ambientale da parte dei docenti.

Ogni proposta ha rappresentato la possibilità di rendere i ragazzi e gli adulti maggiormente consapevoli di alcune problematiche legate al nostro pianeta: dalla deforestazione, alle banche di plastica che osteggiano la pulizia dei nostri mari, al riscaldamento globale fino ad arrivare alla totale trasformazione del territorio mondiale.

Molte di queste problematicità, causate principalmente dall’agire umano, vengono studiate non solo dalla scienza, ma anche dalla geografia. Siamo in un mondo globale in cui la questione ambientale e le sue possibili modifiche future preoccupano gli studiosi.
Per tale motivo il concetto di sostenibilità dell’ambiente è un argomento che sta molto a cuore agli esperti e non solo.

Tuttavia, sono nate diverse occasioni per evitare una totale inaccuratezza da parte dell’uomo. Pertanto, per sviluppare una maggiore sensibilità di fronte alla cura costante e attiva del nostro ambiente sono state previste diverse iniziative, partendo proprio dal comportamento dei cittadini stessi:

  • periodicamente si svolgono numerose campagne ambientali per sviluppare una corretta raccolta differenziata da parte dei singoli Comuni, Regioni e Stati;
  • ogni città al suo interno ha organizzato incontri in cui vengono spiegate le diverse fasi di raccolta dei rifiuti;
  • si sono definite regole precise per mantenere pulite le città;
  • di tanto in tanto ogni regione predispone seminari o incontri a tema su come incentivare l’uomo a rendere sempre più vivibile l’ambiente in cui abita;
  • molte scuole hanno sviluppato ricerche e sondaggi, tramite esperti del settore, per sensibilizzare i giovani e gli adulti a far fronte a questa urgenza di “pulizia” all’interno degli ambienti in cui si vive;
  • si organizzano, inoltre, convegni internazionali sulla sostenibilità ambientale e su eventuali nuove tecniche di intervento.

In generale, dalle scuole, alle diverse associazioni e al governo si è trattato l’argomento sulla sostenibilità, ponendo questi obiettivi come primari e improrogabili per “risistemare” il nostro pianeta.

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Editoriali

Aggressione omofoba a Roma: chi ha più prudenza l’adoperi!

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Mercoledì due ragazzi, per un bacio, sono stati aggrediti da un gruppo di egiziani al grido: “Questa è casa nostra e voi froci qua non dovete stare” rischiando davvero grosso.


Per fortuna, invece di reagire, hanno chiesto l’intervento delle forze dell’Ordine che, prontamente, sono intervenute mettendo in salvo i due ragazzi. In queste situazioni “Ci vuole prudenza!”

È un pensiero che la mia generazione ha recepito troppe volte in malo modo e, di contro, le generazioni attuali non sanno neanche da dove provenga.

E se alla mia età arrivo a scrivere di questo è perché il clima che si respira in ogni parte del mondo predica proprio la prudenza. Assistiamo, troppe volte, a situazioni in cui le aggressioni, le violenze, i soprusi colpiscono e fanno piangere proprio perché quella virtù molto predicata e poco praticata, la prudenza appunto, viene accantonata per imporre magari le nostre ragioni di fronte a soggetti che non hanno nulla da perdere pronti a tutto e senza scrupoli.

E non mi si venga a dire “ci rivuole il manganello” perché violenza chiama violenza, aggressione chiama aggressione, sopruso chiama sopruso.

Non so “offrire” una ricetta perché i tanti “Soloni”, esperti in materia, sono decenni che “toppano”, sbagliano, predicando il “dente per dente”.

Occorre “certezza di pena” e “controllo del territorio”. E se a tutto ciò aggiungiamo un “cultura woke” che, a mio avviso, vuole imporre a colpi di “politicamente corretto” scelte sulla vita di ognuno ci ritroveremo davvero a riconsiderare vero ed attuale il pensiero di Thomas Hobbes “Homo hominis lupus”, l’uomo è lupo agli uomini.

Perché l’integrazione non si impone per legge come anche l’inclusione.
Sono processi che passano attraverso l’accettazione di entrambe le parti in modo paritetico e rispettoso ognuno dell’altro.

Quindi, “prudenza” perché, come diceva Henry de Montherlant: Bisogna fare cose folli, ma farle con il massimo di prudenza”.

l’immagine rappresenta l’allegoria della Prudenza

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Editoriali

L’illusione della superiorità e l’incoscienza di chi crede di avere una coscienza superiore: Beata ignoranza!

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Nell’era dell’informazione e dell’autorealizzazione, sempre più individui si convincono di possedere una coscienza superiore, una sorta di illuminazione intellettuale e morale che li pone al di sopra della massa. Questa percezione, spesso priva di una reale base di merito, non solo è pericolosa, ma anche profondamente ingannevole. L’illusione della superiorità può infatti condurre a un’autocelebrazione sterile e alla svalutazione di tutto ciò che non rientra nella propria visione del mondo.

L’autocompiacimento dell’ignoranza

Uno dei fenomeni più diffusi è l’autocompiacimento dell’ignoranza. Alcuni individui, forti di una conoscenza superficiale acquisita attraverso fonti discutibili o parziali, si autoconvincono di avere una comprensione profonda e completa delle cose. Questo atteggiamento li porta a rifiutare qualsiasi opinione contraria, chiudendosi in una bolla di autoconferma. Il paradosso è che più limitata è la loro comprensione, più ferma è la loro convinzione di essere superiori.

La mediocrità travestita da eccellenza

Chi si illude di avere una coscienza superiore spesso ignora la necessità di un’autoanalisi critica e di un continuo miglioramento. Questa mancanza di umiltà e di riconoscimento dei propri limiti porta a una stagnazione intellettuale e morale. La mediocrità, in questo contesto, si traveste da eccellenza, mascherata da un velo di arroganza e presunzione. La vera eccellenza richiede infatti la capacità di riconoscere i propri errori e di apprendere continuamente dall’esperienza e dagli altri.

Il confronto con la realtà

Per smascherare l’illusione di una coscienza superiore, è essenziale confrontarsi con la realtà in modo aperto e onesto. Questo implica ascoltare opinioni diverse, accettare critiche costruttive e riconoscere l’importanza della competenza e dell’esperienza. Solo attraverso questo confronto si può sviluppare una vera comprensione e una consapevolezza autentica.

L’importanza dell’umiltà

L’umiltà è la chiave per evitare la trappola dell’illusione di superiorità. Riconoscere che la propria conoscenza è limitata e che c’è sempre spazio per migliorare è il primo passo verso una crescita autentica. L’umiltà permette di apprendere dagli altri e di riconoscere il valore della diversità di pensiero e di esperienza. Solo con questa attitudine si può sviluppare una coscienza realmente superiore, basata non sulla presunzione, ma sulla consapevolezza e sulla continua ricerca del miglioramento.

L’illusione di una coscienza superiore è un inganno pericoloso che porta all’arroganza e alla stagnazione. La vera superiorità non risiede nella convinzione di essere migliori degli altri, ma nella capacità di riconoscere i propri limiti, di apprendere continuamente e di confrontarsi con la realtà in modo aperto e umile. Solo attraverso questo percorso si può raggiungere una consapevolezza autentica e contribuire in modo significativo al proprio sviluppo e a quello della società.

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