Lega Pro (o contro) Lotito

di Silvio Rossi

 

Il mondo del calcio italiano è spaccato da guerre intestine al confronto delle quali le battaglie parlamentari per l’approvazione delle riforme costituzionali sembrano delle scaramucce tra bambini.
L’ultima querelle ha riguardato il Presidente della Lega Pro, terza organizzazione del calcio professionistico nostrano, quella con il maggior numero di squadre presenti, sessanta, organizzate in tre gironi da venti squadre l’uno.
Il presidente della lega, Mario Macalli, è già da mesi al centro di una contestazione, portata avanti da un certo numero di formazioni, con a capo Paolo Toccafondi, patron del Prato, e Pino Iodice, Direttore Generale dell’Ischia. Nell’assemblea del 16 febbraio la “fronda” ha chiesto la sospensione dell’assemblea, respinta con un solo voto di vantaggio (29 a 28), ma col voto favorevole dell’Ascoli, che non è stato ammesso al voto per mancanza del “requisito d’anzianità”, ragione che è apparsa al club marchigiano una scusa per condizionare il risultato, e presenterà ricorso contro la decisione.
La spaccatura nella lega è però insanabile. La scelta del consigliere del direttivo di Lega (Claudio Arpaia, presidente della Vigor Lamezia) se viene vista da Macalli come una vittoria, ha visto ben 27 rappresentanti su 60 abbandonare l’assemblea.
Macalli è legato, nel gioco delle alleanze che si creano in questi contesti, alla cordata che fa riferimento a Claudio Lotito, patron della Lazio e della Salernitana, che proprio in virtù del ruolo rivestito nella squadra campana, ha partecipato attivamente alle votazioni. Il manager romano è sempre al centro delle polemiche, si può affermare che, ogni volta che si assumono le decisioni sulla governance del calcio. Pochi giorni fa il nome di Lotito è balzato agli onori della cronaca per la telefonata registrata da Iodice, che ha fatto indignare i vertici dello sport italiano, da Abete a Malagò, e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Del Rio, con delega allo sport.
Claudio Lotito continua a dividere il calcio italiano. La sua tanto annunciata azione “didascalica e moralizzatrice” come amava annunciare, tanto da essere stata usata come base per le parodie che alcuni comici gli hanno prontamente confezionato, non appare però reale. Lui e i suoi “compagni di cordata”, come Tavecchio e Macalli non rappresentano certo quel rinnovamento di cui il calcio italiano ha bisogno.
Non possiamo relegare lo sport più seguito e praticato, che muove un fatturato di rispetto, a figure che a livello internazionale non possiamo portare ad esempio di chiarezza e rinnovamento. Lotito ha avuto due condanne giudiziarie per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, in appello (nel 2014 l’aggiotaggio si è prescritto mentre la Cassazione ha chiesto di rideterminare le pene per i reati connessi), e una condanna in primo grado per lo scandalo Calciopoli del 2006. Intanto in questi giorni il procuratore federale Palazzi ha aperto altri due fascicoli d’inchiesta che coinvolgono Lotito, per alcune dichiarazioni contro gli arbitri e per la telefonata a Iodice.
Se in prima persona il patron biancazzurro non fornisce un esempio illuminante, gli uomini a lui più vicini non possono essere citati come esempio di rinnovamento, che servirebbe enormemente al nostro calcio. Carlo Tavecchio, 71 anni, è l’uomo voluto da Lotito alla presidenza della FIGC, con un curriculum di tutto rispetto, comprese le cinque condanne penali (per reati finanziari e per violazione alle norme sull’inquinamento), e la sospensione decisa dall’UEFA e dalla FIFA, per sei mesi, a tutti gli incarichi internazionali, per le famose frasi pronunciate dall’allora candidato alla presidenza sui calciatori del nostro campionato provenienti dall’Africa.
Macalli invece di controversie ne ha una, minore, per l’acquisto del Pergocrema, società militante nello stesso campionato di cui è presidente di Lega. Ci si chiede però se, a 78 anni (che compirà tra un mese esatto), non sia stato più opportuno far godere al dirigente sportivo la meritata pensione, invece di vederlo avvinghiato alla poltrona. Anche la Fornero non avrebbe avuto nulla da obiettare.