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Redazione
Roma – La tempesta (The Tempest) è una commedia in cinque atti scritta da William Shakespeare tra il 1610 e il 1611. Il dramma, ambientato su di un'isola imprecisata del Mediterraneo, racconta la vicenda dell'esiliato Prospero, il vero duca di Milano, che trama per riportare sua figlia Miranda al posto che le spetta, utilizzando illusioni e manipolazioni magiche. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il Re di Napoli Alonso stanno navigando per il mare, in ritorno da Cartagine, il mago invoca una tempesta che rovescia gli incolumi passeggeri sull'isola. Attraverso la magia e con l'aiuto del suo servo Ariel, uno spirito dell'aria, Prospero riesce a tirare fuori la natura bassa di Antonio, a redimere il Re e a far innamorare e sposare sua figlia con il principe di Napoli Ferdinando. La narrazione è tutta incentrata sulla figura di Prospero il quale, con la sua arte, tesse delle trame in cui costringe gli altri personaggi a muoversi. Al Teatro Ghione di Roma dal 20 novembre al 13 dicembre.
Note di regia
L’uomo di oggi è confuso, disorientato, frastornato da persuasori occulti, anaffettivo, comprato da una società che lo ha divorato, digerito, trasformato in cieco consumatore e prodotto di mercato. A capo chino bruchiamo la porzione d’erba a noi assegnata e dai nostri occhi, gli occhi di un popolo antico, non trabocca più la Poesia, la Cultura, la forza del pensiero, la febbre dell’Arte.
La nave affonda.
Shakespeare inizia con quest’immagine la sua “Tempesta”, con l’immagine di una società che cola a picco, un luogo in cui un Re e la sua corte, dalle loro lussuose stanze interne alla nave, tentano invano di dettar legge agli elementi naturali, disposti a tutto pur di salvarsi la vita, offendendo i marinai esposti alla tempesta, ostentando la loro presunta onnipotenza di piccoli uomini politici in balìa delle onde.
Ma la tempesta, almeno in questo caso, è un’illusione, un artificio, una malìa teatrale organizzata da Prospero, il protagonista della pièce, che, come un direttore d’orchestra o un moderno regista, crea la realtà e la manipola a suo piacimento, intervenendo sugli elementi naturali. Tutti i protagonisti, nel nostro spettacolo, sono già morti, ma non lo sanno. La nave è affondata irrimediabilmente, come l’aereo del Mastorna felliniano.
Prospero si muove su una sedia a rotelle, come un moderno Hamm beckettiano, mosso dai suoi spiriti. Proprio dalla sua apparente fragilità fisica si sprigiona la sua imprevedibile Potenza, Potenza di pensiero e abilità esoterica incontrastabile.
Forse il vero ducato di Prospero, alla fine, resterà per sempre quella povera isola sospesa sul filo dell’orizzonte, luogo più reale del reale, non toccato dalla complessità della vita quotidiana, dall’arroganza della politica, dalla protervia degli intellettuali della corte, dalla compravendita delle cariche pubbliche, governato unicamente dal sogno e dall’illusione, un piccolo teatro in chiusura, sospeso nel nulla, sull’abisso.
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