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Editoriali

La politica “chiagne e fotte” formula vincente dei giorni nostri

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Sarebbe sconveniente e non politicamente corretto fare uso del dialetto nella prosa moderna. Scandalizza, inorridisce taluni e fa arricciare il naso ad alcuni. Ciò nondimeno, nessun’altra espressione idiomatica riesce a spiegare meglio il concetto che spesso si vuole esprimere.

Il detto della tradizione partenopea “Chiagne e fotte” si addice meglio di quant’altro alla politica

La recente storia politica italiana è ricca di lacrime che scendono copiose sui visi dei politici. E quanto siano sinceri, lo lasciamo giudicare ai lettori. Ci sono lacrime di gioia, lacrime di dolore, lacrime di rimpianto, di disperazione, lacrime di coccodrillo. Passa alla storia quel pianto struggente di Elsa Fornero, quando nel dicembre 2011, nel corso della conferenza stampa, con accanto l’allora presidente del Consiglio Mario Monti, presentavano la nuova manovra finanziaria tutta lacrime e sangue. Piangeva la Fornero per quello che stavano progettando e Monti, tutto scandalizzato la guardava sbalordito. Forse pensava fra sé e sé: la signora non ha imparato che in politica vige il principio del suindicato detto della tradizione partenopea. La Fornero, confessò più tardi: “Io sanguinavo, mi colpivano ovunque. E intanto Mario Monti faceva campagna elettorale” Quando poi durante il Consiglio dei ministri Monti e i Grillini avevano detto no allo stanziamento dei fondi per i malati di Sla, la Fornero pianse un’altra volta.

 

Meno conosciuto ma non per questo è meno famoso il pianto di Renzi

Il 4 dicembre per Matteo fu peggio delle Idi di marzo. Per il rottamatore Matteo fu un vero cesaricidio. Colto dallo sconforto lo sfogo con i suoi “Adesso sarà la palude – Pur di disfarsi di me, (il Pd) sono pronti di consegnare l’Italia a Grillo”. Saranno state lacrime di coccodrillo però mai pronostico fu mai così indovinato. Il 14 dicembre passa definitivamente la legge del biotestamento con 180 si, 71 no e 6 astenuti. Il risultato è stato accompagnato da un applauso dai presenti favorevoli. Mentre fuori aula, una larga schiera del paese si dichiarava critica alla legge, nei primi banchi del Senato, seduti una accanto all’altra, sedevano Emma Bonino, Mina Welby, Filomena Gallo e gli altri leader dell’Associazione Luca Coscioni. Non appena il presidente dichiarò il risultato, la compagnia della buona morte si è lasciata andare in una crisi di pianto. Forse piangevano perché non li soddisfaceva il provvedimento. Loro avrebbero voluto l’eutanasia tout court, senza se e senza ma. Piangevano invece per ragioni opposte le coscienze dei medici del Gemelli, le coscienze degli obiettori di coscienza, le persone di buona volontà che senza ideologismi chiedevano una più approfondita riflessione su una materia di tale gravità morale. L’hanno votata perché la sinistra fa bene al biotestamento e il biotestamento fa bene alla sinistra… foriera di voti.

 

Come il digiuno, il pianto è diventato un stratagemma politico. “Chiagne e fotte!” e gli ingenui cadono nella rete

Altre lacrime, altre storie. Incalzata dall’opposizione nell’aula del Consiglio regionale, Debora Serracchiani, allora vicesegretario nazionale Pd, messa alle strette, si lasciò andare a un pianto liberatorio. Le lacrime ebbero il loro effetto. Commossa, l’opposizione dichiarò una tregua. Chiagne e fotte e il risultato è stato raggiunto. Si diceva poco fa che le lacrime sono entrate a far parte dello stratagemma politico al pari del digiuno. A tale proposito, Luigi Manconi ne lancia uno pro Ius Soli, lo ha intitolato seguendo la linea di una vecchia pubblicità di jeans: “Chi mi vuol bene mi segua. Ma anche chi non mi vuole bene, e persino chi mi detesta”. Il richiamo è molto cristiano, per la politica di Manconi fa comodo anche questo. Come un avviso di garanzia, cinque minuti di pianto, meglio se con copiose lacrime, non si negano a nessun politico.

Ha pianto anche il “duro” Bossi

Commiatandosi dalla Lega, vedendo la sua leadership in testa al “Carroccio” giungere a termine, si è commosso e lacrime amare rigavano il suo viso commuovendo tutti i presenti.
Non ci ha risparmiato lacrime e commozioni nemmeno il pragmatico Brunetta. Alla nascita del Pdl pianse senza far capire il perché. Forse perché nel Pdl credeva di aver trovato la sua seconda casa, uno spazio dove agitarsi.

 

Le lacrime di Vendola

Nichi Vendola, il compagno genitore, a sentire il giudice pronunciare la sentenza di assoluzione nel processo per lo scandalo della sanità in Puglia si è sciolto in lacrime, sciolto dalle accuse. Nonostante la sua assoluzione, ancora piange la sanità pubblica pugliese, piangono i pazienti e non si fermano gli appalti.
Lacrime “d’autore” furono quelle di Giorgio Napolitano il 28 luglio 2012 ai funerali di Loris D’Ambrosio. Forse ancora piange in privato per aver costretto il Paese a subire l’imposizione di governi senza alcun consenso elettorale, governi che hanno trascinato l’Italia in una crisi senza fine. Napolitano senza meno piange nel chiuso della sua stanza per le discutibili decisioni assunte durante il suo mandato.

 

Le lacrime di Grasso

Lacrime fresche di giornata, rigavano il viso di Pietro Grasso, sentitosi commosso all’investitura a leader della Sinistra. Grasso ha interrotto il suo discorso, dicendo : “Non posso parlare, ho un groppo in gola”. Il nodo in gola l’aveva fatto venire agli altri ogni volta che il suo arbitraggio in Senato lasciava spazio a molte critiche. Allora piangevano gli altri e lui dondolava.

 

Le lacrime della presidenta

Potevano mancare le lacrime di Lady Montecitorio? Certamente no! Solamente le lacrime della signora erano lacrime con il distinguo. Volendo dichiararsi vicina ai famigliari delle vittime, ai feriti e al popolo francese, in occasione della strage di Nizza, opera del terrorismo islamico, così si è espressa : “Orrore e sgomento per grave atto di terrore a Nizza frutto di feroce fanatismo” e così dicendo pareva di sentire Bobby Solo mormorando “Da una lacrima sul viso/ho capito molte cose….” Perché tutta questa sua bramosia di chiamare le cose con il loro nome : terrorismo islamico, invece preferisce generalizzare con “feroce fanatismo”? Ad opera di chi signora Boldrini?

 

Piangono tutti da Vespa a Occhetto ed ha pianto anche Bersani

Ognuno ha il suo motivo. Rimane il fatto che il pianto più lacerante che si sente levare dalle periferie del Paese e di gente come quella di Celano che tutti abbiamo visto sul web supplicando e chiedendo aiuto: “Non ho un lavoro e vivo in una casa popolare, ma il 28 dovrò lasciarla. Non so dove andare e ho anche dei bollettini di pagamento arretrati che non so come saldare. Se non sarò aiutata da nessuno……….”

Siamo a Natale. Siamo tutti buoni. Che i politici smettano di “chiagnere, piagnucolare”. Che rivoltino lo sguardo verso quelle periferie del Paese, che ascoltino i pianti dei tanti celanesi sparsi per l’isola (e sono decine di migliaia). Pensino alle famiglie senza reddito, senza speranze e senza futuro. Pensino a questi cittadini che per loro “buon anno” è solo un ricordo del passato. Anche loro hanno allestito l’alberello di Natale e sotto hanno messo il loro desiderio di un posto di lavoro, un tetto per ripararsi dal freddo, una medicina per curarsi. Cari onorevoli, basta poco che ce vò, mica chiedono la luna!

Emanuel Galea

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Oriana Fallaci: Il coraggio della verità

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Scusaci Oriana,
non ti abbiamo proprio capito.

Non solo ci avevi messi in guardia ma avevi lasciato che quello che tu chiamavi “alieno che vive in me” ti divorasse perché ritenevi più importante educarci alla riscossa dell’Occidente che salvare la tua vita.

Dopo quasi 20 anni dalla tua scomparsa– te ne andasti via in silenzio quel 15 settembre 2006 – siamo ancora con quell’estremismo islamico mascherato da buonismo che si insinua nel nostro pianeta con la rapidità di un virus al quale non siamo un grado di porre rimedio o, meglio, non vogliamo porre rimedio.

Le tue parole, i tuoi gesti, anche estremi, il chador buttato a terra – cencio da medioevo -, non hanno fatto presa.

Purtroppo un ecumenismo buonista ci copre gli occhi.

Gli Stati Uniti, un tempo custodi di un ordine mondiale democratico, si inginocchiano per l’ennesima volta di fronte alle guerriglie talebane divenendo, ancora una volta, artefici di confusione e non di libertà.

Le donne afgane tornano ad essere al pari di animali da riproduzione e nessuna voce si scaglia più contro questa ignominia.

Il sangue di giovani soldati occidentali sparso sulla terra non grida solo giustizia ma verità e rispetto per la loro missione di democrazia.

Il sangue di troppe giovani vittime colpevoli solo di vivere “nella parte sbagliata del mondo” muoiono sotto “bombe intelligenti” che dimostrano, sempre di più, la “stupidità del genere umano”.

Senza dimenticare la continua corsa ad un riarmo che in apparenza vuole imporre la pace ma poi diventa solo “fabbrica di morti”.

Scusami se mi rivolgo a te solo oggi.

Ma sento attorno a me il silenzio della rassegnazione di un mondo prono alla violenza.
Sento l’ipocrisia di chi vorrebbe un mondo organizzato dall’alto con scelte di chi, nel mondo, ormai non vive più perché abituato alle mollezze di un cultura che vuole essere solo di morte e non più di vita.

Oggi saresti stata l’emblema vivente di una riscossa necessaria ad un mondo senza più attributi né coraggio.

Saresti quel punto di riferimento di chi, come me e tanti altri, crede ancora nella possibilità che questo martoriato mondo possa tornare ad essere luogo di pace, di rispetto reciproco, luogo in cui le “libertà individuali” possano divenire valore aggiunto.

Ma, purtroppo, non ci sei più e sentiamo terribilmente la tua mancanza.
Ci manchi, mi manchi!

15 settembre 2006 – 15 settembre 2024

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Omosessualità, il caso del Vescovo Reina e le ombre sulla formazione nei seminari

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L’inchiesta sul Vescovo Reina getta luce su presunte problematiche all’interno della Chiesa, alimentando il dibattito sulla formazione dei sacerdoti e il trattamento dell’omosessualità nei seminari cattolici

L’omosessualità, la maturità umana e i requisiti per il sacerdozio sono temi centrali di un dibattito che negli ultimi anni ha assunto una dimensione sempre più rilevante all’interno della Chiesa Cattolica.

Questo approfondimento de L’Osservatore d’Italia intende analizzare il contesto che coinvolge il Vescovo Baldo Reina, ex rettore del seminario di Agrigento, accusato di aver adottato pratiche discutibili nella formazione dei seminaristi, in particolare riguardo ai candidati con tendenze omosessuali.

La vicenda è stata approfondita in una recente inchiesta giornalistica, che solleva interrogativi sulle dinamiche di discernimento, il rispetto dei “fori” interno ed esterno e la condotta morale all’interno dei seminari cattolici.

La formazione nei seminari: un quadro confuso

Un primo elemento critico è la mancanza di un progetto formativo univoco che regoli la formazione dei seminaristi in modo uniforme in tutta la Chiesa cattolica.
I seminari, infatti, seguono orientamenti e approcci diversi, il che complica il processo di valutazione dei candidati al sacerdozio. In questo contesto, emergono problematiche legate alla gestione delle tendenze omosessuali e al modo in cui queste vengono affrontate durante la formazione.

La Chiesa Cattolica ha stabilito una distinzione tra due concetti fondamentali nella gestione della formazione: il foro interno e il foro esterno. Il primo riguarda l’intimità spirituale e personale del candidato, tutelato dal sigillo sacramentale e gestito da padri spirituali e confessori. Il secondo concerne la dimensione pubblica e formativa del seminarista, supervisionata da rettori e insegnanti. Tuttavia, il confine tra questi due “fori” non sempre viene rispettato, come dimostrato nel caso del seminario di Agrigento.

Tanto si potrebbe scrivere sulle origini e sviluppo della coscienza ecclesiale di questi due “fori” ma prendiamo un intervento di Papa Francesco che vale a spiegare bene in cosa consista: «E vorrei aggiungere – fuori testo – una parola sul termine “foro interno”. Questa non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio! Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno. E questo lo dico perché mi sono accorto che in alcuni gruppi nella Chiesa, gli incaricati, i superiori – diciamo così – mescolano le due cose e prendono dal foro interno per le decisioni in quello all’esterno, e viceversa. Per favore, questo è peccato! È un peccato contro la dignità della persona che si fida del sacerdote, manifesta la propria realtà per chiedere il perdono, e poi la si usa per sistemare le cose di un gruppo o di un movimento, forse – non so, invento –, forse persino di una nuova congregazione, non so. Ma foro interno è foro interno. È una cosa sacra. Questo volevo dirlo, perché sono preoccupato di questo». (Papa Francesco – Presentazione della nota sull’importanza del Foro Interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, 29 giugno 2019.)

La nota sull’intervento, ovviamente, ci aiuta a capire dalle stesse parole di Papa Francesco l’importanza e la serietà con cui vengono visti i due “fori”, specialmente quello interno.

Il caso di Agrigento: “Libertà” o pressioni?

Nel seminario di Agrigento, sotto la direzione di Baldo Reina, un giovane seminarista con tendenze omosessuali è stato inviato a seguire un percorso noto come “Verdad y Libertad”, un programma di guarigione dall’omosessualità, ampiamente criticato e condannato sia dalla comunità scientifica che dalla Chiesa stessa.

La decisione di sottoporre il giovane a questo programma, che ha provocato disorientamento e danni psicologici, è stata presa nel foro esterno, sotto la supervisione di Reina quando era rettore del seminario di Agrigento.

Questo solleva questioni etiche e pastorali, poiché la proposta di partecipare a tali programmi dovrebbe avvenire con il consenso del seminarista, che però si è trovato di fronte a pressioni implicite per conformarsi.

L’elemento più inquietante è l’assenza di separazione tra foro interno ed esterno: il seminarista, che si è confidato spiritualmente, è stato poi giudicato e obbligato a seguire un percorso di “cura” che violava i principi di riservatezza e rispetto del foro interno. Questo modus operandi è stato fortemente criticato, poiché ha sovrapposto il giudizio spirituale a quello formativo, con effetti devastanti sulla persona coinvolta.

Le critiche a Reina: Un giudice unico?

Reina ha agito come giudice unico nel caso del seminarista, dimostrando una gestione della formazione caratterizzata da un’autorità indiscutibile e da un’interpretazione rigida delle norme. L’inchiesta pubblicata su “Domani” evidenzia come il percorso imposto al giovane seminarista non solo mancasse di fondamento medico e psicologico, ma fosse anche moralmente discutibile. Le pratiche proposte dal programma “Verdad y Libertad” sono state condannate in vari paesi, compresa la Spagna, e ritenute contrarie agli insegnamenti della Chiesa stessa (QUI L’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO DOMANI).

Un clima di tensione nella Diocesi di Roma

La nomina di Baldo Reina come vescovo ausiliare di Roma ha sollevato preoccupazioni anche per la gestione della Diocesi di Roma, in particolare per quanto riguarda la gestione del patrimonio immobiliare e le dinamiche interne al Vicariato. La presenza di figure discusse, come Don Renato Tarantelli Baccari, ex avvocato diventato sacerdote, e Mons. Michele Di Tolve, ex rettore del seminario lombardo, ha creato un clima di sfiducia e tensione tra i sacerdoti romani. La mancanza di trasparenza e il rischio di favoritismi hanno alimentato il malcontento.

Il caso del Vescovo Reina solleva questioni profonde su come la Chiesa Cattolica gestisce la formazione dei futuri sacerdoti, soprattutto quando si tratta di tematiche delicate come l’omosessualità. L’assenza di un progetto formativo chiaro e la mancata distinzione tra foro interno ed esterno espongono i candidati a pressioni psicologiche e morali che possono compromettere il loro percorso. La Chiesa dovrà riflettere su questi episodi per garantire un ambiente di formazione più rispettoso e trasparente, evitando che si ripetano errori simili.

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Mario Draghi e Gianni Letta ospiti di Marina Berlusconi: un incontro che scuote il panorama politico

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L’ex premier Mario Draghi a Milano: tensioni e segnali di distacco dal governo Meloni

La notizia dell’incontro tra Mario Draghi e Marina Berlusconi, tenutasi mercoledì 11 settembre, ha scatenato un forte dibattito politico, soprattutto dopo che l’Ansa l’ha resa pubblica solo tre giorni dopo. L’ex Presidente del Consiglio, visto uscire dall’abitazione della primogenita di Silvio Berlusconi in corso Venezia a Milano, avrebbe partecipato a un incontro definito “di cortesia” e pianificato da tempo, secondo quanto riferito da un portavoce della famiglia Berlusconi.

Tuttavia, la tempistica e il contesto politico rendono difficile non interrogarsi sulle implicazioni di questo incontro. Draghi era appena tornato da Bruxelles, dove aveva presentato un rapporto sulla competitività europea, e poche ore dopo la sua visita milanese è stato visto anche Gianni Letta, figura storica di raccordo tra la famiglia Berlusconi e Forza Italia.

L’incontro arriva in un momento delicato per Forza Italia, che negli ultimi mesi ha manifestato segnali di distacco dagli alleati di governo, in particolare Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. In questioni cruciali come i diritti civili e la giustizia, il partito azzurro ha mostrato una crescente distanza dalle posizioni conservatrici del governo. Sebbene in Parlamento non ci siano stati strappi concreti, le dichiarazioni di Marina Berlusconi e le recenti mosse del gruppo Mediaset rivelano un progressivo smarcamento.

Solo qualche mese fa, Marina Berlusconi aveva dichiarato senza mezzi termini di sentirsi “più in sintonia con la sinistra di buon senso” su temi come l’aborto, il fine vita e i diritti LGBTQ. Questa presa di posizione, già significativa, viene ora amplificata da una nuova iniziativa di Mediaset, guidata da Pier Silvio Berlusconi: a partire dal 15 settembre, tutte le reti del gruppo manderanno in onda una serie di spot che promuovono la diversità e l’inclusione, una scelta che suona come una sfida indiretta alle politiche del governo Meloni.

Questo segnale non arriva solo dal fronte mediatico, ma si estende anche al contesto politico. Forza Italia sembra voler tracciare una linea di distinzione, tentando di riaffermare la propria identità moderata e liberale, distante dalle posizioni più radicali dell’esecutivo attuale.

Con queste mosse, la famiglia Berlusconi sembra voler riposizionarsi nel panorama politico italiano, lasciando intendere che potrebbe non voler più seguire pedissequamente la linea degli alleati di destra.

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