"La mafia uccide solo in estate" – La serie

di Paolino Canzoneri

Ha preso il via in prima serata nella TV di Stato il primo di una lunga serie di episodi di "La mafia uccide solo d'estate" (La serie). Cavalcando l'onda dei consensi della critica e del pubblico per il film dallo stesso titolo del 2015, il regista e attore palermitano Pierfrancesco Di Liberto in arte Pif riprende quanto egregiamente raccontato nel suo film per contestualizzare in una nuova serie televisiva diretta da Luca Ribuoli un suo modo di raccontare la mafia degli anni 80/90 con una miscela di umorismo e di "sfottò" ispirandosi forse alle prese in giro e sberleffi radiofonici di Peppino Impastato che nel 1978 pagò con la vita l'aver deriso un pericoloso boss del paese di Cinisi.

Pif racconta dietro la sua reale personalità di ragazzo perennemente triste, imbrociato e anche un po "imbranato" la sua gioventù a contatto con una città difficile come Palermo piena di contraddizioni che da sempre ha dovuto convivere con la mafia ma che in quel periodo subiva un attacco efferato e sanguinoso da altre famiglie mafiose di Corleone. Il tutto condito con una sorta di ironia che strappa sorrisi amari e che sucita una certa tenerezza specie nel volto e negli occhi del protagonista, lo stesso Pif, che suo malgrado si ritrova costretto a barcamenarsi in cotanta penosa follia per poter andare avanti e per coronare una sua storia d'amore forse l'unico elemento positivo, l'unica via di salvezza quale messaggio positivo e assoluto, unica cura in grado di guarirci da qualsiasi male. La serie prodotta da Mario Gianani e Lorenzo Mieli racconta invece sulla stessa linea, la vita della famiglia Giammaresi partendo proprio dal piccolo Salvatore che crescendo anch'egli vivrà esperienze più o meno piacevoli che lo accompagneranno nel corso della sua vita.

La voce di Pif narra la storia e la serie vanta la presenza di attori di alto calibro come Claudio Gioè, Anna Foglietta, Francesco Scianna, Valentina D'Agostino e Nino Frassica nell'inedito ruolo di un parroco un po fuori da certi schemi tradizionali. Non c'è dubbio che sollevare l'atavico problema della mafia è sempre "buona cosa" ed è altrettanto doveroso farlo utilizzando ogni contesto ma è palesemente vero quanto il sorriso amaro spesso giochi un ruolo forse un po estremo e poco garbato specie se si raffigura in modo "comico" tragedie e spine nel cuore che ogni siciliano non riuscirà mai a levarsi di dosso. Una fiction che vuole essere una speranza per i giovani del futuro.

Fa sempre bene ricordare sempre e conservare la memoria dei tremendi lutti che la mafia ha inflitto negli anni ma spesso ci si chiede quanto sia giusto contestualizzarli in scene dal sapore comico in controtendenza a fatti sanguinari che di comico hanno ben poco o proprio niente. Ci sono forse sacre immagini che non dovrebbero essere violate? Vige forse un rispetto che impone il ricordo profondo e composto scevro forse da qualsiasi altra implicazione o manifestazione? oppure è sempre lecito e giusto raccontare sciagure, eventi, modi di pensare e mentalità anche se teatralizzati in scene comiche per strappare sorrisi amari per una Italia da sempre collusa con la criminalità organizzata? Difficile che si possa trattare di una speculazione su fatti di cronaca e storia serviti in "salsa comica" per raggiungere uno share alto nei dati auditel e sicuramente non sarà cosi ma il sorriso è leggerezza, lieve spessore, il sorriso rischia di alleggerire il problema portando alla lunga ad accettarne l'assuefazione naturale e questo non deve mai accadere.