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Editoriali

LA MAFIA IN ITALIA SARÀ INVINCIBILE

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Tempo di lettura 3 minuti Oggi le crminalità organizzate sono addirittura in grado di legiferare perché eleggono i loro esponenti in Parlamento

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di Vincenzo Musacchio – Giurista e docente di diritto penale 

Le metamorfosi del crimine organizzato sono sotto gli occhi di tutti così come la colpevole sottovalutazione del fenomeno da parte delle istituzioni. Una delle evidenti cause dell'attuale virulenza risiede, proprio, nello scarso impegno dello Stato nei confronti di questa multiforme realtà criminale. Oggi, la criminalità organizzata di matrice economica e politica governa la maggior parte delle attività illecite tra le quali spiccano soprattutto il traffico internazionale di stupefacenti, la gestione degli appalti pubblici e delle grandi opere. Potendo contare su enormi quantità di denaro, le sue attività prevalenti non possono non essere la corruzione, la ripulitura e il reimpiego del denaro sporco. Lo stretto legame tra organizzazioni criminali, economia e politica rappresenta un pericolo talmente grave da minacciare la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche. Questo connubio ha una potenza finanziaria tale da poter persino ripianare il deficit del bilancio statale. La domanda da porsi a questo punto è la seguente: come sia potuto accadere che queste organizzazioni criminali anziché avviarsi alla sconfitta hanno aumentato la loro aggressività e la loro pervasività? Siamo passati dalla “mafia imprenditrice” teorizzata dal prof. Pino Arlacchi, alla “mafia politica” che gestisce le principali attività produttive dell’Italia. Mentre lo Stato – negli anni che vanno dalla morte di Falcone e Borsellino ad oggi – è restato immobile, le mafie si sono evolute e modellate con rapidità e flessibilità alle mutevoli esigenze dei tempi. Dalla fase stragista, attribuita a Riina in Sicilia, si è passati alla fase della mimetizzazione sociale, all’uso brutale della forza si è preferito l’uso delicato della corruzione. Oggi le mafie sono addirittura in grado di legiferare perché eleggono i loro esponenti in Parlamento. Hanno forza, consistenza e indipendenza tali da poter dialogare e stringere accordi in posizione di netta supremazia. Per esercitare al meglio questo potere le mafie hanno bisogno di personaggi estranei alle associazioni criminali. Per effetto dell'espansione degli affari soprattutto di tipo economico, hanno creato strutture operative non mafiose, sempre controllate dall’organizzazione criminale. Si tratta di organi molto articolati e complessi con ramificazioni soprattutto all’estero che, funzionano quasi in anonimato, consentono però alle mafie notevoli guadagni. I sistemi di riciclaggio e di reimpiego dei capitali si sono sempre più perfezionati sia a seguito delle maggiori quantità di denaro disponibili che della necessità di eludere indagini patrimoniali. Mentre fino a pochi anni fa il sistema bancario rappresentava il canale privilegiato, oggi, è stato addirittura accertato il coinvolgimento di intere nazioni nelle operazioni di cambio di valuta estera. Non poche attività illecite delle mafie, come, ad esempio, gli appalti e le frodi comunitarie, hanno rappresentato il mezzo per consentire l'afflusso di ingenti quantitativi di denaro già ripulito all'estero. Il declino del crimine organizzato più volte annunciato dai vari governi succedutisi negli ultimi venti anni non si è mai verificato, e non è, purtroppo, nemmeno ipotizzabile. È vero che non pochi "boss" sono detenuti, tuttavia i “veri” vertici del crimine organizzato, alcuni dei quali siedono a Roma, non sono stati messi al tappeto. Le indagini da qualche tempo hanno perso d’intensità e d’incisività a fronte di organizzazioni criminali che hanno complicità nelle alte sfere e sono diventate sempre più inattaccabili. I rapporti tra criminalità organizzata e centri occulti di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti. Fino a quando non sarà fatta luce su moventi e mandanti dei nuovi e dei vecchi "omicidi eccellenti", non si faranno passi concreti avanti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco preoccupante. Non mi sento di avere titoli di legittimazione per censurare qualcuno né tantomeno per suggerire rimedi ma devo sottolineare che oggi la situazione generale, non ci fa essere ottimisti. Nella mia esperienza personale, noto un diffuso clima di rassegnazione e di abbandono oltre che dello Stato anche della società civile. Ritengo, quindi, mio dovere morale evidenziare che continuando a percorrere questa strada, nel prossimo futuro, saremo costretti a contrapporci ad una criminalità organizzata talmente forte da risultare addirittura invincibile.
 

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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