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Editoriali

La comunità italiana in Venezuela dal 1814

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“Paisà, oggi a te, domani a me”, questa era una delle frasi  che molti venezuelani ascoltavano dagli  italiani appena arrivati, in una comunione di destino e di speranza che univa idealmente due mondi così lontani e pure così vicini

Dal 1814, il Venezuela cominciò a ricevere l’arrivo dei primi italiani che con il desiderio di migliorare, non solo  l’aspetto economico, se non anche di trovare un’ideologia di libertà e giustizia, decidono di stabilirsi nelle terre americane. Come afferma la Professoressa Pierina D’Elia nel suo scritto sopra l’emigrazione italiana nel Venezuela: “questo fenomeno non registra un arrivo massiccio come si manifesterà poi nel 1870”.

Negli anni successivi molte  di queste persone a volte umili contadini,  ma anche artigiani, professionisti e tecnici,  continuarono ad arrivare in Venezuela, lavorando con molto impegno e aiutando lo sviluppo di un paese in terre lontane. Una grande percentuale proveniente dalla Sicilia, dalla Campania,  dall’Abruzzo, dalla Puglia,   ma anche da regioni  del Nord industrializzato, dal Veneto, dall’Emilia-Romagna e dal Friuli-Venezia Giulia.

Persone che si sono radicate in tutte le regioni del Venezuela creando le loro comunità ancora attive tutt’oggi e integrate con la popolazione locale.

Nei vari settori produttivi e industriali, così come nell’agricoltura e nel commercio  sono numerosi gli italiani che hanno dato vita ad imprese e società. Basti pensare che negli anni cinquanta la maggior parte degli edifici di Caracas fu costruito da imprese italiane.

Nel Paese si percepisce vivida la presenza della comunità italiana, nei monumenti, nelle piazze e nelle vie che portano il nome dell’Italia o dei suoi rappresentanti.

Nella stessa  Caracas c’è Piazza Italia e sono presenti varie opere architettoniche realizzate da discendenti di italiani, da Juan Pedro Rosani, Angelo di Sapio, Ricardo Morandi per citarne solo alcuni. Numerosi poi i circoli “Club” di italiani dove si gusta un buon caffè espresso o si beve una birra tra una partita di briscola e l’altra parlando rigorosamente in italiano.

Che dire poi delle tradizioni  gastronomiche, diffuse in tutto il Venezuela e che ancora oggi deliziano i palati di chi, con rispetto e orgoglio, afferma che la cucina italiana è una delle migliori  del mondo. Sono davvero tanti i ristoranti di chef italiani o di figli di italiani presenti nel nostro Paese che propongono i piatti tradizionali della cucina italiana.

E ancora più degno di nota citare  il sostegno che le varie istituzioni  educative, sociali, religiose e culturali italiane offrono  alla nostra popolazione  per migliorare il sistema di istruzione, di lavoro e di vita. Insomma  la presenza della  comunità italiana in Venezuela non ha abbandonato la sua essenza, le sue radici, le sue tradizioni,  ma  le ha integrate con rispetto, amore e passione alla cultura e alle tradizioni venezuelane, contribuendo allo sviluppo di due Popoli e di due Paesi.

“Paisà, oggi a te, domani a me”, questa era una delle frasi  che molti venezuelani ascoltavano dagli  italiani appena arrivati, in una comunione di destino e di speranza che univa idealmente due mondi così lontani e pure così vicini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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