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Editoriali

LA CAMPAGNA ELETTORALE SUGLI SPALTI DI UNO STADIO

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Tempo di lettura 2 minuti I maggiori leader italiani hanno colto l'occasione dei fatti avvenuti nel calcio per accaparrarsi qualche voto in più.

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di Maurizio Costa

I fattacci avvenuti allo Stadio Olimpico in occasione della finale di Coppa Italia hanno scatenato un putiferio all'interno della politica italiana. Tutti i maggiori leader del Bel Paese, che proprio in questi giorni stanno portando avanti le loro campagne elettorali, hanno colto al volo l'occasione e stanno cercando in tutti i modi di far pendere la bilancia dei favori del popolo italiano dalla loro parte. Genny 'a Carogna, che avrebbe dato il permesso ai capi alti del calcio italiano e della Digos di giocare la partita, Ciro Esposito, che è in condizioni critiche in ospedale e Daniele De Santis che avrebbe sparato allo stesso tifoso napoletano, sono i nomi che i politici in questi giorni stanno pronunciando per cercare di denunciare lo scandalo delle tifoserie violente, come se prima di questi fatti nessuno se ne fosse accorto.

Il primo a cogliere la palla al balzo è stato Matteo Renzi. Il premier era presente allo stadio durante la contestazione e anche quando il pubblico fischiava durante l'Inno d'Italia, ma non ha mosso ciglio. Il bello è venuto dopo: "Facciamo finire la campagna elettorale e il campionato e poi riuniamo tutte le autorità e interveniamo in modo serio – ha detto il Primo Ministro – il calcio non lo lasceremo a quelle persone, non lo lasceremo ai vari Genny 'a Carogna. Lo ridaremo alle famiglie e a chi vuole partecipare con gioia ad un evento sportivo." Parole al miele, che sanno molto di tessere elettorali.

Non è stato da meno neanche Angelino Alfano, leader del Nuovo Centrodestra. L'ex alleato di Berlusconi, infatti, il giorno dopo la partita, ha attaccato e denunciato subito questi comportamenti: "Il pallone è nostro e ce lo riprenderemo. Lo toglieremo ai Genny carogna per ridarlo alle famiglie e ai bambini." Con una consecutio temporum basata sull'anteriorità del futuro, il Ministro dell'Interno non si fa sfuggire un telegiornale per portare avanti la sua campagna elettorale, che, ricordiamo, trae spunto da un ragazzo in fin di vita e da un capo ultrà: "Stiamo lavorando anche su Daspo preventivo e sulla recidiva. Nel senso che chi è già colpito da provvedimento e continua a delinquere, potrà essere allontanato fino a otto-dieci anni dagli stadi." Un vero e proprio comizio quello del Ministro.

Passiamo a Beppe Grillo, l'anti-tutto, che però questa volta prende la scia dei suoi nemici e tocca l'argomento della sicurezza negli stadi: "Io già vedo che Genny la carogna sarà invitato al Nazareno da Renzi il bastardo per fare la legge sugli stadi. Il mondo sta andando in un modo che non è più capibile." Soliti modi gentili del leader del Movimento 5 Stelle. Grillo ha anche spostato la campagna elettorale su un fatto di musica e di Inni: "La povera Alessandra Amoroso ha cantato l’inno e fatto un tributo alla politica ed è stata fischiata. C’erano i politici schierati sull’attenti e poi sono fuggiti con le loro auto blu."

Anche Silvio Berlusconi ha voluto tirare acqua al suo mulino: "L'inasprimento dei Daspo è utile ma va applicato ai tifosi che lo meritano." Una cosa abbastanza scontata. Da Presidente del Milan, il Cavaliere ha poi aggiunto: "Non è utile e possibile che la sicurezza sia affidata alle società di calcio. Tutte presentano bilanci difficili, molti in deficit, non potrebbero permetterselo e mai avrebbero la competenza necessaria." Se lo dice lui.

Forse siamo talmente poveri di idee e iniziative che per dare vita ad una campagna elettorale prendiamo spunto da casi ignobili e disdicevoli, che non fanno altro che infangare la poca dignità che ci rimane nei confronti degli altri Paesi europei.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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