Editoriali
ITALIA-USA CI SERVE UN TRUMP
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8 anni faon
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ITALIA-USA, CI SERVE UN TRUMP
DI ROBERTO RAGONE
L’8 novembre del 2016 Donald Trump ha tenuto davanti al Congresso, un discorso molto chiaro, senza peli sulla lingua. In questa occasione denuncia l’establishment che lui ha voluto combattere con la sua discesa in campo, nonostante per la sua posizione non avesse bisogno di mettersi in gioco. È un discorso che ci fa apprezzare ancora di più l’uomo, e quello che sarà il suo programma. Un ultimo sondaggio da’ in salita di 9 punti la sua popolarità, fino al 46%, ma qualcuno dice che se i dati ufficiali parlano del 46, sicuramente sarà più del 50. Trump non gira intorno alle questioni, va dritto allo scopo: a qualcuno dei nostri, abituati a sofismi e diplomazie ipocrite, potrà non piacere. Abbiamo di fronte esempi come il nostro presidente emerito in pensione Giorgio Napolitano, che ama esprimersi in tutt’altro modo, con larghe circonlocuzioni e allusioni poco esplicite, quando deve attaccare qualcuno, per cui a volte è necessario decrittare l’elaborato per far capire al colto e all’inclita cosa mai voglia dire. Senza offesa, è giusto che un uomo di cultura come lui si esprima in una certa maniera. Personalmente amo più chi va dritto per dritto, come si dice a Roma, dritto al bersaglio, senza equivoci e senza tentennamenti. Certamente Donaldo Trump, nonostante le contestazioni pilotate, sarà un presidente formidabile, l’uomo giusto al momento giusto per gli States. Così inizia il suo discorso: “Il nostro movimento è nato per sostituire un fallito e corrotto establishment politico con un nuovo governo controllato da voi, il popolo americano. L’establishment di Washington e i gruppi finanziari esistono per un’unica ragione: proteggere e arricchire se stessi. L’establishment ha trilioni di dollari in gioco con queste elezioni. Coloro che controllano le leve del potere a Washington, e per gli interessi particolari globali, fanno accordi con queste persone, che non hanno il vostro bene in mente. La nostra campagna rappresenta una reale ed esistenziale minaccia, come non hanno mai visto prima. Questa non è semplicemente una fra le tante elezioni: questo è un bivio nella storia della nostra civiltà, dove si deciderà se noi, il popolo, rivendicheremo il controllo sul nostro governo.” Questo l’esordio di Donald Trump di fronte al Congresso. L’intenzione è chiara, lineare, e la denuncia che essa contiene lo è altrettanto. L’establishment a cui fa capo la Clinton è il bersaglio della sua campagna elettorale. Un establishment che anche noi in Italia non facciamo fatica ad individuare in coloro che tengono in mano le leve del potere, palese od occulto, con Matteo Renzi che si presta a questo gioco che si potrà concludere solo con la nostra sconfitta, quella del popolo italiano, se, Dio non voglia, sarà approvata questa infame riforma costituzionale. “L’establishment politico che sta cercando di fermarci, è lo stesso gruppo responsabile dei nostri disastrosi accordi commerciali, massiccia immigrazione illegale e politiche estere che hanno dissanguato il nostro Paese. L’establishment politico ha portato la distruzione delle nostre fabbriche e posti di lavoro, che sono andati in Messico, Cina e in altri paesi in tutto il mondo. È una struttura di potere globale che è responsabile delle decisioni economiche che hanno depredato i nostri lavoratori, ripulito il nostro Paese della sua ricchezza, e messo quel denaro nelle tasche di un manipolo di grandi corporations ed entità politiche. Questa è una lotta per la sopravvivenza della nostra Nazione, e questa sarà la nostra ultima chance per salvarla.” Una condizione che sembra la fotocopia della nostra condizione italiana. Quando si parla di ‘struttura di potere globale’, e di ‘establishment politico’, si intende esattamente quella fantomatica – ma poi mica tanto – società ‘riservata’ che si chiama Bilderberg, che opera nel mondo da decenni e di cui fanno parte, senza essere poi neanche tanto nascosti, personaggi della politica e dell’informazione. Quando si parla di disastrosi accordi commerciali e di massiccia immigrazione illegale, sembra di parlare non degli USA, ma dell’Italia. Uguale impressione si ha quando si sente Trump parlare di delocalizzazione delle industrie. Quante delle nostre aziende, soffocate da imposizioni fiscali da rapina, sono andate a produrre all’estero, moltiplicando la disoccupazione e impoverendo il nostro tessuto produttivo? Salvo poi, in un empito di carità pelosa, detassare irragionevolmente le nuove assunzioni con un Jobs Act assolutamente fallimentare, non solo nei risultati, ma anche per le casse del Paese. Mentre i soliti noti continuano bellamente a riempirsi le tasche, aumentando la povertà e concentrando la ricchezza in mani sempre meno numerose. Bene si esprime Trump quando parla di ‘lotta per la sopravvivenza della nazione’, ciò che in Italia non abbiamo ancora capito, ma quando questo avverrà sarà forse troppo tardi. “In questa elezione si deciderà se saremo un Paese libero o se avremo solo l’illusione della democrazia, ma saremo di fatto controllati da una élite di persone con interessi particolari che manipolano il sistema, e il nostro sistema è manipolato. Questa è la realtà: voi lo sapete, loro lo sanno, io lo so, e credo che tutto il mondo lo sappia.” Parafrasando Trump, possiamo dire la stessa cosa del referendum costituzionale. Basta sostituire le parole ‘In questa elezione’ e sostituirle con ‘In questo referendum’, non cambia nulla. “La macchina dei Clinton è al centro di questo sistema di potere. L’abbiamo visto di prima mano nei documenti di Wikileaks, nei quali Hillary Clinton incontra in segreto personaggi di banche internazionali per complottare sulla distruzione della nostra sovranità al fine di arricchire questi poteri finanziari globali, gli interessi particolari dei suoi amici e dei suoi donatori. Con tutta franchezza, quella dovrebbe finire in galera!” In Italia tanti dovrebbero finire in galera, ma di solito quelli che dovrebbero andarci non ci vanno, e se ci vanno ‘rimbalzano’, ne escono con periodi di detenzione ridicoli – parliamo sempre di politici, quelli che, ad ogni comunicazione giudiziaria, si affrettano a dichiarare ad ogni cronista di buona volontà dotato di telecamera, che ‘sono sereni’, ‘hanno fiducia nella giustizia’, ed altre amenità consimili. Di solito, tranne pochi, sintomo di sicura colpevolezza. Parliamo naturalmente di coloro che s’incontrano di nascosto con ‘personaggi delle banche internazionali’ – da noi anche nazionali (!) – per complottare sulla fine della nostra sovranità: qui non ci troviamo, la nostra ‘sovranità’, come la verginità, l’abbiamo già persa da tempo. “La più potente arma dispiegata dai Clinton sono i media, la stampa. Qui dobbiamo fare chiarezza: i media del nostro Paese non si occupano più di giornalismo. Anche loro sono al servizio di interessi politici, e sono simili ai lobbisti e alle entità finanziarie con un definito programma politico. E quel programma non è per voi: è per loro stessi. Chiunque sfidi il loro controllo è tacciato di razzismo, sessismo, xenofobia. Loro mentono, mentono, mentono e fanno anche peggio: faranno tutto quanto necessario.” Tutto il mondo è paese: anche da noi, per lo più, i media non fanno più giornalismo, ma nella maggior parte sono al servizio di interessi politici, dei lobbisti e delle entità finanziarie di contorno. Pronti a cercare di calunniare e squalificare anche con la menzogna chiunque sfidi il loro controllo e i loro controllori. “Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato: era solo questione di tempo. E sapevo che il popolo americano si sarebbe ribellato, votando per il futuro che merita. L’unica cosa che può fermare questa macchina corrotta. L’unica forza abbastanza forte per salvare il nostro Paese, siamo noi. L’unico popolo abbastanza coraggioso per cacciare questo establishment corrotto, siete voi, il popolo americano. La nostra grande civiltà deve fare i conti con se stessa. “ Ascoltare queste parole apre il cuore alla speranza. Poi ti ricordi che non sei in America. È vero, l’unica cosa che può fermare la macchina corrotta che ci vuole ulteriormente e definitivamente fagocitare siamo noi, il popolo italiano. La parte buona, quella che non si fa incantare da chi vuol degradare il populismo ad un termine negativo; quella che si ribella quando viene chiamata ‘razzista’, mentre invece è costretta a subire le conseguenze di un dissennato ingresso di chiunque nel suo paese, mentre le pratiche per l’identificazione permettono a questi clandestini di rimanere qui per anni, mantenuti dallo Stato a vantaggio delle ONG che se ne occupano a volte in maniera fraudolenta; contro l’espulsione è consentito il ricorso, passa altro tempo. Il decreto definitivo diventa poi un foglietto dimenticato in una tasca dei pantaloni; posto che sia possibile, dopo due o tre anni, rintracciare la persona a cui va consegnato. La parte buona è quella che si rimbocca le maniche senza aspettare le elemosine del governo, piene di promesse non mantenute, quando c’è una catastrofe come quelle che hanno colpito di recente Amatrice e dintorni. Così conclude il tycoon più famoso del mondo: “Non avevo bisogno di scendere in campo, credetemi. Ho costruito una grande azienda e ho avuto una vita straordinaria. Avrei potuto godere dei frutti e dei privilegi di successi imprenditoriali e delle aziende che ho creato per me e per la mia famiglia invece di sottopormi a questo spettacolo orripilante di bugie, inganni, aggressioni indegne, chi l’avrebbe mai immaginato. Lo sto facendo, perché il mio Paese mi ha dato così tanto che mi sento tanto forte per restituire ciò che ho avuto al Paese che amo. Lo sto facendo per i cittadini e per il movimento, e ci riprenderemo questo Paese per voi, e renderemo l’America grande di nuovo!”
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