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ITALIA, IL PAESE DELL'INCULTURA
DI ROBERTO RAGONE
 
Tutto il mondo ci invidia la nostra storia, i nostri monumenti, le nostre vestigia gloriose. Ma di questo, noi Italiani, che ci viviamo dentro, non ci rendiamo conto finchè non andiamo all'estero, dove, per esempio, in America, a Washington, una tavolo fiorentino del '500 in noce massello è esposto al Metropolitan Museum: da noi, lo troviamo in vendita presso qualche buon antiquario. Pare che le stime globali calcolino che circa il 60/80 % delle opere d'arte del mondo sia in Italia. Ormai saturi gli spazi museali, il più di tele, sculture eccetera trova posto nei sotterranei, nelle cantine dei nostri musei. Insomma, di cultura e di arte l'Italiano medio ne ha fin sopra i capelli, a quanto pare. Analogamente a quanto succede per la buona musica. E fin qui sarebbe nulla. Il guaio è che la politica – per non dire 'i politici' – seguono quest'ultima corrente. Sempre prnti a sponsorizzare personaggi da Piazza del Popolo o S. Giovanni, come gli ultimi più celebrati rapper, stanno letteralmente distruggendo la struttura della musica classica, chiudendo le orchestre sinfoniche, o provocandone la chiusura con l'interruzione di erogazione di fondi; chiudendo, o trasformandone la vera natura, i conservatori di musica, oggi affidati in toto ad un esercito di insegnanti precari, riconfermati anno per anno, senza prospettiva di una pensione adeguata, senza scatti di anzianità, senza una sicurezza lavorativa, insomma precari a vita, fino all'età della pensione. Di questa situazione abbiamo già scritto, con il supporto del maestro Carlo Pari, che, da musicista, s'è dovuto trasformare in consulente legale, politico e sindacale della categoria, riuscendo a portare in sede politica le varie questioni che concernono lui e i suoi colleghi. In realtà, la deprecarizzazione sarebbe un diritto già acquisito, se non fosse che nella stanza dei bottoni le istruzioni pare siano diverse, e le cose vengono tirate per le lunghe, invece di trovare una soluzione che doverosamente metta fine a queste situazioni 'all'italiana' decisamente inique, visto che le coperture finanziarie sono già presenti e disponibili. Un'ultima nota polemica: è vergognoso che proprio coloro a cui viene demandata la tutela dei nostri patrimoni culturali – e qui ci mettiamo a buon dovere tutta la tradizione musicale italiana – non siano in grado, non solo, di adempiere al loro compito, ma che li disprezzino, nei fatti se non nelle parole. Un esempio per tutti: oggi un insegnante di Conservatorio, precario, dopo aver conseguito titoli di studio anche di alta specializzazione – al termine dei dieci anni di studio – e dopo essere bene o male entrato in graduatoria, dopo aver conseguito titoli didattici ed artistici (pubblicazioni, concerti e insegnamento), guadagna poco più di un bidello di scuola media.
Dopo la caduta di Renzi, un nuovo Presidente del Consiglio, un nuovo Ministro dell’Università e Ricerca e un nulla di fatto per le molte voci e istanze provenienti dal mondo della scuola dell’università e ricerca e AFAM.
A distanza di qualche mese siamo ad intervistare nuovamente il Prof. Carlo Pari che si occupa in prima persona della questione Conservatori per fare il punto, un bilancio, di questo travagliato biennio 2015-2016 per il mondo della conoscenza.
 
Maestro, un nulla di fatto quindi. Siete stati così tanto vicini ad una risoluzione della vostra condizione lavorativa con la legge di stabilità, poi la crisi del Governo Renzi, un nuovo Ministro, nuovi interlocutori, eccoci punto e a capo insomma. Tanto lavoro per nulla?
 
Tanto lavoro per nulla proprio non direi. Guardi, non credo ci sia mai stata una tale convergenza politica sulla questione del precariato nell’AFAM come quella manifestatasi nella fase pre-referendaria e questo è indubbiamente merito di un importante e costante lavoro da parte degli addetti al settore, primi su tutti, i precari. Tutto il mondo politico si è stretto, con ragione aggiungo, attorno alla questione del precariato storico nell’AFAM, con particolare riferimento alle Graduatorie Nazionali ex lege 128 del 2013, con una attenzione e volontà mai manifestata prima. Certo non bisogna mai abbassare la guardia, ma io credo che la strada per le graduatorie nazionali 128 sia oramai segnata. Si tratta ora di tempo e di trovare lo strumento normativo, ma dopo che la netta decisione politica di trasformare ad esaurimento le stesse, in analogia con quanto precedentemente avvenuto per le simmetriche e gemelle Graduatorie Nazionali ex lege 143 si sia già concretizzata in ben due proposte, governative e ministeriali, nonché nei diversi emendamenti alla legge di stabilità, atti che hanno avuto l’ampio sostegno di tutte le forze politiche, vedo ora molto difficile si possa tornare indietro da questa impostazione.
 
Non ha paura quindi che siano state solo tante promesse da parte del Governo per ricucire quel lacerato rapporto con il mondo della scuola all’unico scopo di portare a casa il si al referendum?
 
Il quadro generale va visto nell’insieme. Il referendum da lei citato, è stato senz’altro un fattore di convergenza influente, ma vi sono altri aspetti non di minore importanza come il possibile impatto economico dovuto ai recenti sviluppi giurisprudenziali sulla annosa questione in materia di contratto a termine per violazione di norme comunitarie.  
 
Ci dica qualcosa in più.
 
Il discorso è tecnico. La recente sentenza Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, del 7 novembre del 2016, n. 22552, ha infatti ricostruito in via interpretativa la disciplina applicabile in caso di reiterazione dei contratti a termine a seguito della declaratoria di illegittimità dell’art. 4, commi 1 e 11 della legge 124 del 1999 ad opera della sentenza della Corte Costituzionale, n. 187 del 2016. In appoggio alla legge della scuola la Suprema corte afferma quindi che, il rinnovo dei contratti a termine, per la copertura di posti vacanti in “organico di diritto”, entro un termine massimo di 36 mesi, va ritenuto giustificato, mentre solo il superamento del suddetto limite costituisce abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato da parte della pubblica amministrazione. “La Buona Scuola” tuttavia, non ha secondo la Suprema Corte eliminato gli illeciti costituiti dalla reiterazione di contratti a termine per il solo fatto di aver previsto procedimenti di stabilizzazione, in quanto, solo la concreta utilizzazione di tali procedimenti da parte del docente è idonea ad evitare l’abuso e a costituire una misura risarcitoria. L’ astratta chance di stabilizzazione infatti, sebbene sia idonea a cancellare l’illecito sul piano comunitario, non costituisce, per il diritto interno, misura idonea a sanzionare l’abuso e a fungere da misura risarcitoria in forma specifica a favore del personale scolastico, in quanto connotata da evidente aleatorietà. In particolare conclude la Corte e qui sta il succo, la misura della stabilizzazione è idonea misura risarcitoria in forma specifica nel seguenti tre casi: 
nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo;
 
nella ipotesi della certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della legge n. 107/15;
nella stabilizzazione assicurata ai docenti attraverso precedenti strumenti concorsuali o selettivi diversi da quelli contenuti nella citata legge 107/2015. 
Solo al di fuori di queste ipotesi il docente ha diritto al solo risarcimento del danno, nel rispetto dei criteri di quantificazione affermati dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza, pronunciata dalle Sezioni Unite, 15 marzo 2016, n. 5072, la quale individua, quale parametro normativo, l’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183. 
 
Quindi lei sta dicendo in sostanza che i precari transitati in ruolo o inclusi nelle GAE non avrebbero diritto a nessun risarcimento del danno per gli anni di precariato subiti?
 
Esattamente. La Cassazione Lavoro, rispondeva proprio a quei precari che erano già transitati in ruolo con “La Buona Scuola” del governo Renzi e chiedevano ora a fronte dei numerosi anni di precariato il risarcimento dei danni, dicendo loro che non avevano diritto a niente poiché essi erano già stati risarciti con la loro stessa assunzione. Si è in sostanza fatto passare l’assunzione, che era una legittima aspettativa, come sanzione anti-abusiva, annullando così di fatto la sanzione stessa. Però vede, i continui tentativi della magistratura di “arginare i danni” in un momento così delicato di recessione del nostro paese fanno si che “preclusione” diventi paradossalmente “soluzione”. Va da se infatti che ora il Ministero abbia tutto l’interesse ad esaurire le graduatorie nazionali, viso che anche in uno stato di pre-ruolo il personale incluso non ha più diritto al risarcimento dei danni. 
 
Però la Legge della scuola ha previsto dei fondi per risarcire la violazione dei 36 mesi, o sbaglio? 
 
No, non sbaglia, è corretto. Ma se i risarcimenti sono troppi, la situazione può diventare incontenibile. Pensi solo che da uno studio che abbiamo commissionato ad un consulente del lavoro, è emerso che risarcire i 1200 precari inclusi in 128 costerebbe, secondo i parametri stabiliti dalla Cassazione a SSUU, più di dieci milioni di euro, mentre stabilizzarli nulla per il primo anno e dal secondo circa 3 milioni per la ricostruzione di carriera.
 
Lei ritiene che si debba puntare solo sul fattore economico quindi come fattore deterrente?
 
No, non solo. Solo sull’art. 19 della legge n. 128 del 2013 sono stati sollevati ben due pregiudizi di legittimità costituzionale in violazione degli artt. 3 e 117 della carta fondamentale. Il primo dei due quesiti, mira proprio a stabilire se l’art. 19 della Legge 128, con cui di fatto si è applicato un diverso trattamento al personale dello stesso settore nella risoluzione asimmetrica delle due graduatorie nazionali 143/128 sia compatibile con all’art. 3 della costituzione. Il secondo quesito invece si interroga sul rapporto dell’art. 19 con il diritto dell’Unione Europea. Vede quando lo Stato emana una legge, tale legge non può sottrarsi ai parametri di diritto comunitario. Posto che l’Italia ha recepito la normativa europea con il numero dei rinnovi possibili (fino a 36 mesi) occorre chiedersi se una legge che prevede che del personale con tre anni accademici di servizio e il superamento di un concorso selettivo venga incluso in apposite graduatorie nazionali utili solo al tempo determinato sia compatibile con il diritto dell’unione e quindi per analogia se compatibile con l’art. 117 della carta fondamentale.  Infatti il personale in oggetto andrebbe assunto, o eventualmente, licenziato e risarcito. Certamente non può essere incluso in apposite graduatorie nazionali per essere utilizzato nuovamente a tempo determinato. 
 
Lei è convinto che il Ministero e la politica siano a conoscenza di questi aspetti più legali che non di merito?
 
Come dicevo, c’è in essere una concomitanza di fattori. Il MIUR è certamente consapevole delle cause collettive ed individuali del precariato. Anche gli atti giudiziari di tutela hanno indubbiamente influito. L’aspetto della asimmetria nella risoluzione delle due graduatorie nazionali è stato inequivocabilmente evidenziato all’atto della presentazione del d.p.r. Poi intendiamoci, alcuni precari da 128 sono andati in pensione, altri ci andranno presto. È anche una questione di buon senso. Ma cosa si deve aspettare? Sono piccoli numeri. Parliamo di poche centinaia di docenti che vengono già utilizzati da anni e che sono necessari. Sono già previsti in partita di spesa. Non parliamo di chissà quale aggravio. Il MIUR e la politica, hanno infatti sempre precisato che risolvere il precariato nell’AFAM non è una questione di spesa o di bilancio visto l’esiguo impegno economico.
 
Sulla questione dei docenti con 36 mesi in servizio nei corsi accademici ma non inclusi in graduatorie nazionali di merito, in opposizione all’ingresso nelle stesse graduatorie di docenti che operavano nei corsi pre-accademici cosa ne pensa?
 
Penso che questo ritardo del MIUR nel risolvere il precariato AFAM se non sanato porterà a paradossi ben più gravi in futuro. Per chiarezza. I docenti che hanno maturato 36 mesi nei corsi accademici sono reclutati seguendo determinate griglie di valutazione. I docenti che operano nei preaccademici, secondo altre. Non entro nel merito su meglio questo, meglio quello, giusto questo sbagliato quello. Possiamo discutere sul fatto che i docenti accademici vengono impiegati anche nei corsi preaccademici e che viceversa un docente preaccademico non può essere impiegato su corsi accademici, sulle procedure di reclutamento, ma la causa scatenate del problema è stato ed è tutt’ora purtroppo, il Ministero. Se il Ministero avesse risolto la 128 nel piano straordinario di immissioni in ruolo della scuola, oggi, non ci sarebbe il problema di altro personale che si trova nella illecita condizione di precariato della 128. Il preaccademico invece, ha sfruttato un bug della Legge. Anche qui però, il responsabile il MIUR. Se il Ministro Giannini non avesse esteso la partecipazione alle graduatorie nazionali anche all’anno in corso, ponendosi in conflitto con la stessa legge e se avesse risolto il problema del precariato AFAM per tempo, non dico che il problema non si sarebbe posto, ma certamente si sarebbe posto in percentuale diversa. Certo il paradosso evidenzia una certa ingiustizia. Tuttavia non esiste in Italia un procedimento perfetto, proprio perché, i procedimenti sono sempre in emergenza. Mi auguro che si possa trovare una forma di tutela per tutto il personale che si trovi in violazione delle norme di impiego. 
 
Lei accennava ad un provvedimento governativo e ad uno ministeriale, di che cosa si tratta?
 
Uno è un disegno di legge. Parliamo del DDL n. 322 in attesa di essere discusso in Senato. Il secondo è il d.p.r previsto dall’art. 2 comma 7 lettera e) della legge n. 508 del 1999 e art. 19 della legge n. 128 del 2013. Entrambe le soluzioni prevedono la trasformazione ad esaurimento delle graduatorie nazionali 128.  Il DDL prevede inoltre una riforma del governo degli Istituti AFAM ed un riordino in politecnici delle arti degli stessi nonché la statizzazione degli Istituti Musicali Pareggiati. Il d.p.r dovrebbe invece contenere unicamente orme che disciplinano le nuove modalità di reclutamento. Dico “dovrebbe” perché è solo stato presentato nell’incontro Ministero-sindacati attraverso delle slides e il testo non è ancora stato reso pubblico.  Il precariato è una vera è propria emergenza che attende una risposta da più di diciassette anni e a cui bisogna trovare una soluzione in tempi rapidi. Vi sono istituti in cui il personale di ruolo è in via di estinzione e i precari prevalgono in grande percentuale, tanto che in alcune discipline non esiste personale a tempo indeterminato. Quanto si potrà andare avanti in questo modo? Non consideri cosa solo dalla parte dei precari, che tanto spesso soffrono il disagio dello spostamento di sede o di non percepire lo stipendio per mesi, come mi è personalmente successo quest’anno. Si sforzi di vederla dalla parte degli studenti che si vedono cambiare il docente, o degli istituti, che ogni anno vedono transitare nuovo personale con il quale è impossibile una programmazione a medio lungo termine.
 
Mi sembra di capire che lei non nutra particolare fiducia nel disegno di legge.
 
Non è una questione di fiducia. Non si capisce perché la politica voglia nuove deleghe, quando la Legge 508 dell’anno 1999 era di fatto una Legge delega a cui sarebbe bastato solo far seguire i decreti attuativi mancanti, ma la cosa che crea più dubbi ed incertezze, dubbi che anche la politica ha più volte manifestato, riguardano le coperture economiche per una riforma complessiva del sistema. Se da un lato sistemare il precariato non ha costi, almeno inizialmente la statizzazione degli istituti pareggiati e la costituzione di politecnici delle arti, rappresenta un costo quantificato nella proposta di legge in circa 40 milioni di euro. Non serve fare fantapolitica. Basta un semplice ragionamento. Se si fatica a trovare qualche milione per il rinnovo dei contratti, si riuscirà a trovarne 40 per la riforma del sistema AFAM? Sui contenuti della riforma possiamo stare a discuterne pure mesi. Il vero problema secondo me sono le coperture finanziarie. Però guardi, se le risorse ci sono veramente, ben vengano e soprattutto un plauso al Governo che investe finalmente nelle professioni artistiche, ma mi permetta di avere qualche dubbio. Non a caso l’emendamento alla legge di stabilità volto a finanziare il disegno di legge è stato bocciato dalla commissione bilancio e in questo modo, legando le sorti del precariato al destino dei pareggiati, non si è posto rimedio né all’uno né all’altro.
 
Lei quindi non è contrario alla statizzazione degli Istituti Pareggiati malgrado imperversi una enorme polemica nel vostro settore?
 
E perché dovrei? Se si aggiungono risorse al sistema ben vengano. Sono contrario alle sovrapposizioni nel sistema in assenza di regola. Il caos genera solo caos e non fa altro che mettere gli uni contro gli altri. Non risolve i problemi e ovviamente genera solo tensione.
 
Cosa intende esattamente?
 
Posso fare degli esempi se vuole. Alcuni istituti pareggiati non mettono a disposizione le cattedre per gli aventi titolo in subordine alle pregresse graduatorie nazionali vigenti e cioè, i docenti inclusi in 128. Tuttavia questi istituti compaiono fra le scelte per i docenti 128 sul sistema CINECA. Ora mi dica lei, cosa potrebbe succedere se, questi istituti nominassero docenti dalla propria graduatoria di istituto e poi altri docenti da 128 scegliessero il medesimo istituto? Ma questo è una delle tante sovrapposizioni del sistema. Alcuni istituti pareggiati, hanno immesso in ruolo personale docente, anche da 128, solo perché lavorava presso l’istituto già da 36 mesi. Ora mi dica lei, il principio dei 36 mesi, non vale per tutti? E perché questi posti non sono stati comunque messi a concorso, aprendo a tutti la possibilità di parteciparvi e di avere le medesime chances? Gli istituti statali spesso non sono da meno, specialmente quelli che contano su leggi speciali che consentono loro più autonomia. Pur facendo parte dello Stato Italiano, emanano bandi per reclutare il personale docente in cui solo chi ha avuto incarichi all’estero può parteciparvi. Vede io sono contrario all’assenza di ordine e di regola e all’assenza della garanzia del mantenimento dell’ordine e della regola. Questa non è autonomia. Questa è anarchia. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il vero problema dei pareggiati. Gli istituti pareggiati volgono in gravissima situazione e la perdita di questi istituti sarebbe certamente un grave danno per il sistema soprattutto in quelle regioni come la Toscana. Mi sento però di dire che il precariato versa nella medesima situazione di emergenza e che le due situazioni non sono in alcun modo complementari. Una sovrapposizione sarebbe certamente un errore. Sono problemi diversi non si vede perché si debba legare gli uni agli altri.
 
Maestro cosa pensa del nuovo Ministro e delle polemiche che imperversano in rete sul fatto che non è laureata?
 
Posso capire che da un punto di vista dell’immagine questo non aiuti, tuttavia sono convinto che il Ministro debba essere giudicato per quello che farà non per quello che deve ancora fare o per il pezzo di carta che non c’è. Il curriculum scolastico non è poi sempre sinonimo di capacità, anzi. Trovo la rete un mezzo di comunicazione straordinario me è spesso troppo superficiale e offensivo. Troppo spesso l’offesa è fine a se stessa. Diffamare una persona per il suo aspetto poi, è ancora un reato in questo paese. Chi associa la figura del Ministro Fedeli con immagini equivoche dovrebbe essene consapevole. Nella società odierna, società di immagine e comunicazione, è più semplice creare una immagine o screditarla, piuttosto che produrre dei contenuti ed entrare nel merito dei contenuti. Quindi auguri al nuovo Ministro, sperando che possa durante il suo mandato dare una risposta alle tante istanze, specialmente a quelle dell’AFAM che attendono da oramai da troppo tempo.
 
Le chiesi nell’altra intervista cosa avrebbe suggerito al Ministro Giannini, cosa suggerirebbe oggi al nuovo Ministro?
 
Il precedente esecutivo ha reciso un rapporto già debole con la scuola e non si è preoccupato più di tanto di reciderlo. Penso sia indispensabile ricucire questo rapporto. L’unico modo per farlo è di ascoltare le voci che arrivano dal mondo della scuola, ma ascoltarle veramente, non perché un ruolo lo impone.  Riguardo all’AFAM, suggerirei a tutta la politica ciò che segue. Dire che l’AFAM si sia fatto da solo, non è qualcosa di sbagliato. In una assenza di più di 17 anni da parte del legislatore è stato necessario cercare e costruire un nuovo sistema da zero, sulle dalle nobili ceneri del precedente. Oggi si è conquistato un fragile equilibrio. La necessità che hanno oggi istituzioni, studenti, operatori del settore, a parte un sensibile investimento visto che le risorse a disposizione si sono progressivamente svuotate negli anni, è di stabilità. Stabilità in un offerta formativa fondata su programmi chiari e conformi, una governance dotata di quel ruolo che possa garantire la corretta amministrazione degli istituti, un personale docente stabile. Nonostante i problemi e la mancanza di risorse, l’AFAM ha garantito un servizio di grande qualità registrando un considerevole aumento di studenti soprattutto stranieri che hanno collocato il nostro paese come meta preferita per gli studi artistici. 
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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