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Editoriali

L’Italia in stallo, la ruota della fortuna e i capriccetti del piccolo rottamatore

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Quella che ieri impropriamente è stata definita conferenza stampa, da parte dello sconfitto don Matteo, ha lasciato perplessi tutti. Ma soprattutto anche i suoi stessi compagni di partito. Scorretta poi la definizione di ‘dimissioni’ a fronte di una sconfitta sonora, ma ancor più annunciata e leggibile da chiunque avesse un po’ più di buonsenso e il polso della Nazione e del suo Popolo. Ma tant’è, quando si naviga tenendo lo sguardo soltanto in alto, e il mento alla Mussolini, vivendo in un mondo parallelo e avulso dalla realtà popolare, non ci si può accorgere di ciò che ti passa sotto i piedi. Scorretto, dicevamo, il comportamento di Matteo Renzi riguardo alle sue presunte dimissioni – oppure è ormai abituato a procrastinare qualsiasi cosa, come ci ha insegnato per i provvedimenti di governo – che gli permetteranno di continuare a comandare su di un partito che lui stesso ha distrutto e ridotto al 18%. Che poi, se vogliamo, il 40% tanto favoleggiato ottenuto alle europee, si è rivelato per quel che è stato: soltanto uno scarso 20%, come abbiamo già scritto in altre occasioni, ottenuto su di una percentuale di votanti inferiore al 50%; per cui i conti si fanno presto. Insomma, Matteo si è offeso, ed ha avuto, a parere di chi scrive, una reazione puerile.

In pratica come se avesse detto: Non mi avete votato, adesso il governo fatelo voi. Della Nazione me ne frego, come me ne sono fregato in questi cinque anni. Dimostrando una volta in più, se ce ne fosse stato bisogno, il carattere di una persona presuntuosa ed egocentrica, e che non ha mai avuto il senso dello Stato – come si dice di chi ha ben lavorato per l’Italia – ma soltanto quello della sua lobby privata, il Giglio Magico – come lo hanno definito – e quello delle sue fondazioni, atte a ricever denaro da donatori il più delle volte anonimi.

Sulla stessa linea uno dei suoi fedelissimi, Emanuele Fiano, stamattina in TV: “Adesso il governo fatelo voi.” ha proferito con uno sguardo da cane bastonato. Come se la colpa di una situazione di stallo fosse di chi non ha votato PD. È evidente che una classe politica come quella definita impropriamente ‘partito di governo’ ha mal governato, in tutti i sensi, e questi sono i risultati. È evidente che ormai anche l’uomo della strada non crede più alle favole di Renzi e dei suoi accoliti. È evidentissimo che, dopo il quarto governo non eletto, gli Italiani ne avessero piene le scatole di doversi ingoiare tutto ciò che diceva la classe dirigente. È evidente che quelli bollati come ‘populisti’, ‘sovranisti’, ‘fascisti’, sono sbottati, preferendo proprio chi del populismo e del sovranismo ha fatto la propria legittima bandiera. Ad onta di chi ha sempre favorito, piuttosto che il nostro stivale, a cui ha causato danni irreparabili, i diktat di una Unione Europea che sta stretta ai cittadini esattamente nella stessa proporzione del voto del 5 marzo. È chiaro ed evidente che ora lo stato maggiore europeo trema e la paura è che anche l’Italia voglia scivolare via dall’Europa, visti anche i programmi per cui la Lega è stata votata. Grazie a Dio, non vedremo più Macron-Merkel-Gentiloni passeggiare sorridendo come i tre porcellini: ma non si può mai dire.

Intanto, tornando a Renzi, il suo comportamento bizzoso e stizzoso dimostra una discutibile maturità politica e che non è – e non è mai stato – adatto alla guida di una Nazione, per la quale servono almeno saggezza, tolleranza, intelligenza.

Tutte cose che lui con tutta probabilità non conosce, e che ormai alla sua età è difficile che possa apprendere. Tutte le sue bugie, le sue promesse non mantenute, le sue furbate da quattro soldi, i suoi magheggi per proteggere gli inquisiti per bancarotta fraudolenta e i loro parenti; tutte le manovre a favore delle banche e a danno dei risparmiatori, i porti italiani a disposizione per lo sbarco dei migranti in cambio dello sforamento che gli consentisse di elargire 80 euro di elemosina a chi c’è cascato – prontamente ripresi in seguito – il Popolo finalmente sovrano gliele ha fatte pagare in un colpo solo. Era da prevedere, quando tu privi la gente del suo diritto primario in democrazia, quello di andare a votare, e fai e disfi senza dar conto a nessuno, imponendo, in più, quattro governi non eletti e non graditi.

Ma stai sereno, Matteo, chi semina vento, dice il proverbio, raccoglie tempesta

Un comportamento responsabile sarebbe stato quello di mettersi a disposizione del Paese, per raggiungere una stabilità di governo. La gente apprezza certe cose, e certamente lo avrebbe premiato in appresso. Fare i capricci perché ti hanno tolto di bocca il lecca lecca, quello no: quello sa tanto di bambino capriccioso e viziato.

Roberto Ragone

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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