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Editoriali

ITALIA ALLA CANNA DEL GAS: SERVIREBBE MENO BUROCRAZIA E PIÙ INTELLIGENZA

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Tempo di lettura 6 minuti "Finchè gli sprechi porteranno voti, abbiamo forti dubbi che possano essere tagliati"

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di Roberto Ragone
L’Italia è un bel Paese, e a tutti noi che ci siamo nati e cresciuti farebbe piacere rimanerci fino alla fine dei nostri giorni. Qui abbiamo i nostri affetti, i nostri ricordi, i nostri punti di riferimento: in una parola, il nostro cuore. Se dobbiamo dar retta a Susanna Tamaro, dobbiamo andare ‘dove ci porta il cuore’, e il nostro cuore è abituato alla nostra penisola a forma  di stivale, ciò che ci faceva sorridere alle elementari quando studiavamo geografia. L’Italia è un bel Paese, peccato che ci siano gli Italiani a rovinare tutto. Intendiamoci, non tutti gli Italiani ma solo un manipolo trascurabile sotto il profilo numerico, ma che ha in mano tutto il potere. Perché l’Italia, pur essendo nella forma una Repubblica Democratica fondata sul lavoro, nella realtà è molto diversa. Viviamo una deriva che definire autoritaria sarebbe un eufemismo, asserviti ad una Unione Europea che è fatta di banche – grandi banche d’affari, non la Popolare all’angolo sotto casa che ti fa il prestito a tasso agevolato perché ti conosce da sempre, e conosce tutta la tua famiglia – grandi banche d’affari a livello globale, che badano solo alla grande finanza, supportate da grandi capitali che si muovono in alto e in basso per creare profitto. All’infinito.

Ora, il profitto è una cosa buona, quando si realizza, per esempio, in una famiglia per creare benessere, acquistare casa, cambiare l’auto, mandare i figli all’Università e così via. Non è più una cosa buona, anzi decisamente perversa, quando del profitto fine a sé stesso si fa una ragione, uno scopo, un obiettivo. Questo è il nostro caso. Perché il profitto senza fine e senza ragione porta all’accentramento  di tutto il denaro in circolazione nelle mani di pochi, sottraendolo ad una più equa distribuzione che possa consentire il buon funzionamento dell’economia di una nazione. Se mettiamo tutta la benzina in un solo serbatoio, tutte le altre vetture rimarranno a secco, senza potersi mettere in moto; e questo è ciò che sta succedendo nel mondo oggi, e purtroppo anche l’Italia è stata infettata da questo cancro.

Il veicolo di contagio è stato il governo, o meglio, chi del governo aveva la responsabilità, come Prodi, Monti, Napolitano, Renzi, per citare quelli più vicini a noi. Si parla tanto di Bilderberg, di Illuminati, di Trilaterale, di Nuovo Ordine Mondiale: sono etichette dietro le quali si annidano i ‘poteri forti’. Ormai ne abbiamo la nausea, solo a nominarli. Non è fantasia, ormai è palese anche alla signora Maria, quella che non arriva a fine mese con la pensione di fame, ottenuta dopo quarant’anni e più di versamenti all’INPS, un calderone di cui nessuno conosce il fondo; nessuno di noi ‘popolo ignorante’, che non avremmo mai dovuto avere a disposizione uno strumento di democrazia come il referendum, perché certe decisioni è meglio che le prenda chi capisce, magari docente di economia alla Bocconi… Dietro un’etichetta, però, ci sono delle persone, nomi e cognomi, ma quelli sono impossibili da individuare; perché chi fa il male si nasconde, lo fa ‘nelle tenebre’, come dice la Sacra Scrittura. Sembra che a proposito della BCE Draghi sia subordinato ad un ristretto comitato di cinque superpersonaggi, che comandano e danno le direttive; quindi, se questo è vero, neanche Mario Draghi conta nulla. Intanto il popolo di pensionati diventa sempre più povero, le tasse aumentano insieme al prezzo dei prodotti al supermercato, anzi, al discount, quello che ha prezzi più bassi. Poco importa se ciò che è in vendita è nocivo alla salute – oggi le aziende alimentari sono laboratori chimici – purchè la pancia si riempia, e se poi ci si ammala di tumore, visto che ancora ufficialmente non ne è stata trovata la causa, almeno per la maggior parte, questo è il male minore.

Uscire dalle spirali di una vita come questa diventa una liberazione. Razzolare negli scarti al mercato, quando le bancarelle chiudono, verso le due e mezzo, mentre tutti coloro che possono hanno già pranzato, magari a tavola con la famiglia, o in un ristorante con cameriere in giacca bianca; oppure ancora alla buvette di Montecitorio, dove un pasto completo costa meno di un cornetto e cappuccino al bar. Pancia piena non pensa a quella vuota… Anzi, i poveri, sempre più numerosi, sono un fastidio, diventano lamentosi, assillanti, accampano diritti che nessuno ha mai inteso concedere loro… Peccato che chi abbiamo al governo, Renzi in testa, abbia a cuore soltanto le sorti dell’Unione Europea, e non dei cittadini che hanno il diritto sacrosanto di essere ben governati e messi nelle migliori condizioni di vita possibili. Mi pare che a questo proposito ci sia qualcosa perfino in quella Costituzione della Repubblica Italiana che Renzi e Boschi vogliono stravolgere. Ieri su di un social network – ormai l’unico organo d’informazione affidabile – ascoltavo un penoso discorso di Renzi in un inglese maccheronico, tenuto in un consesso internazionale. Non si capiva granchè, ma grazie ai sottotitoli sono riuscivo a cogliere un passaggio che ‘lui’ giudicava fondamentale, cioè un riferimento al fatto che ‘manca l’educazione’. Nessuno mai saprà a quale ‘educazione’ si riferisse il Premier, ma certo non aveva centrato il problema. Quello che manca ad una Italia burocratizzata e nemica del popolo è l’intelligenza. Certo, scardinare dalle loro poltrone e dalla loro mentalità milioni di piccoli Travet – piccoli nell’animo – che tirano, come diceva Manzoni, ‘quattro paghe per il lesso’, è impresa quasi impossibile, dopo decenni di incrostazioni, di clientele, di favoritismi, di pugnalate nel fianco, di arrivismi, di obiettivi da raggiungere per aver diritto all’incentivo, quasi che gli stipendi milionari non bastino più. Ma bisogna farlo. Finchè la burocrazia, e tutto ciò che comporta, sarà il principio unico a cui si ispira l’azione di qualsiasi governo, continueremo ad andare sempre peggio. Un esempio? Il Ministero della Semplificazione: in realtà è soltanto un modo per complicare le cose. Semplificare vuol dire togliere, non aggiungere. E che dire delle leggi contro la corruzione? Non dovrebbe essere, la corruzione, già sanzionata nel nostro Codice Penale? Semplificare, dicevamo, vuol dire togliere, ma togliere vuol dire mandare a casa tanti funzionari inutili che a volte approfittano della loro fettina di potere per il proprio interesse. Come il padre di una signora che ho conosciuto, commesso a Montecitorio, che la domenica e i giorni di festa ‘riceveva’ i postulanti seduto in piazza al bar del suo paese. Naturalmente non gratis. Quando ha lasciato il lavoro, il posto è passato per diritto a sua figlia, ora impiegata alla Presidenza del Consiglio con una paga principesca, attorno ai centomila all’anno, forse più. Intanto il 40% dei pensionati  – dicono le statistiche, ma sono certamente di più – ricevono ogni mese meno di mille euro, e nessuno ormai arriva più al giorno 30. Se poi il mese è di 31, diventa un problema. Si parla tanto di crescita, Renzi si riempie la bocca con i ‘posti di lavoro’ che secondo lui spunterebbero come pomodori nei campi  di Cerignola solo con una mossa azzeccata del suo governo. Non è così. Finchè i milioni di pensionati rimarranno poveri, l’economia – non la finanza – non ripartirà.

Dicevamo all’inizio che ognuno di noi vorrebbe chiudere gli occhi nella stessa nazione in cui li ha aperti, ma molti hanno scelto, piuttosto che tirare a campare in Italia, di andare vivere più serenamente in altre nazioni, e questo è certamente il fallimento più grosso di un governo nazionale. Il trasferimento riguarda pensionati non al minimo, visto che bisogna pagare un affitto, che magari in patria non si pagava; vendere la casa oggi è un suicidio, grazie alla politica criminale di Monti, tesa soltanto a mettere sul lastrico la nazione; eccetera. Ma tanti sono già emigrati in altri lidi, portandosi via centinaia di miliardi di redditi e di mancato pagamento di tasse e imposte, oltre che di consumi. Questo è il risultato di una politica idiota, burocratizzata e asservita ai potenti, dove quando si vuole più disponibilità non si vanno ad eliminare gli sprechi, ma si aumentano le tasse, oppure si operano tagli tanto indiscriminati quanto dissennati. Undici milioni di pensionati hanno rinunziato a curarsi, bel risultato per il primato della nostra Sanità pubblica, tanto vantata una volta. Senza contare i tempi biblici di attesa per un esame qualsiasi: si fa prima a morire. Senza contare il calcolo iniquo della Fornero che ha calibrato il pensionamento sull’aspettativa di vita di ognuno. Tanti sono emigrati, i meno abbienti addirittura in Bulgaria, ma tanti vogliono rimanere qui. Allora, perché non adottare una formuletta semplicissima, che accontenterebbe tutti, creando benessere, crescita e introiti per il fisco, oltre a dare maggior serenità a persone che vivono male la loro vecchiaia? Basterebbe portare le pensioni minime INPS ad almeno milleduecento euro, senza fare cumulo con pensioni di altri Istituti, alzando l’asticella della no-tax area a quella cifra, il che eviterebbe tante inutili dichiarazioni di reddito. Il denaro dato in più ai pensionati eviterebbe lo spettacolo indegno di tanti anziani che vanno a cercare nei rifiuti al mercato; consentirebbe a tanti di pagare l’affitto e di non trovarsi per la strada; aumenterebbe il senso di sicurezza dei cittadini, evitando l’aumento dell’acquisto di farmaci tranquillanti e ipotensivi; consentirebbe ai più un’alimentazione più sana. E poi il pensionato non tiene i soldi in tasca, se ne ha li spende, e così l’economia riprenderebbe a camminare, con vantaggio per tutti: per i negozi, per i supermarket, e anche per il fisco, che incasserebbe dal commercio ciò che ha concesso sulle pensioni.

Ormai siamo alla canna del gas, come nazione. Basterebbe, non un po’ di ‘educazione’, ma di ‘intelligenza’. Ma forse chiedere uno sforzo in questo senso è chiedere troppo ad un governo che ha concesso 80 euro solo a chi già sapeva che glie li avrebbe resi con l’imposizione fiscale. I fondi? Hai voglia!!! Di sprechi ce ne sono tanti, in Italia, basta guardarsi un po’ attorno. Ma finchè quegli sprechi porteranno voti, abbiamo forti dubbi che possano essere tagliati.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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