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Si chiama palmitoiletanolamide (PEA), è una molecola di natura lipidica con un importante ruolo nel controllo dei fenomeni infiammatori che si è dimostrata efficace e sicura per migliorare gli effetti sui sintomi di irritabilità e iperattività nei bambini con autismo.
“La sua efficacia è stata dimostrata grazie allo studio pubblicato su Journal of Psychiatry Research – afferma Luca Steardo, Docente presso il Dipartimento Fisiologia e Farmacologia “Vittorio Erspamer” Università La Sapienza di Roma che in vista della Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo fa il punto sulla ricerca – L’importanza di tali risultati deriva anche dalla osservazione della assoluta mancanza di eventi avversi e effetti collaterali da parte del composto. In uno scenario di assoluta assenza di farmaci capaci di prevenire la comparsa e antagonizzare la progressione della patologia autistica, la possibilità di poter utilizzare la palmitoiletanolamide in forma ultramicronizzata, composto oggi presente anche in una formulazione pediatrica, le cui propietà antineuroinfiammatorie e antineurodegenerative sono dimostrate da robuste e consistenti evidenze sperimentali e cliniche, dischiude nuovi orizzonti per la terapia di una patologia di notevole gravità che richiede interventi sicuri, precoci e mirati”.
Lo studio
I risultati dello studio pubblicato su Journal of Psychiatry Research che ha preso in esame 70 pazienti pediatrici, di età compresa fra i 4 e 12 anni, con diagnosi di Autismo, sono molto incoraggianti; 62 pazienti hanno portato a termine il trattamento (31 per gruppo).
Al termine del trattamento la combinazione di PEA e risperidone ha mostrato un effetto superiore rispetto al regime terapeutico con risperidone e placebo, per quanto riguarda i sintomi di irritabilità e iperattività, in modo statisticamente significativo.L’effetto del trattamento combinato sull’iperattività era già visibile dopo sole 5 settimane di trattamentoUn miglioramento è stato rilevato a fine studio, anche per quanto riguarda linguaggio, a favore del regime terapeutico contenente PEA. Non sono stati osservati eventi avversi seri nei due gruppi.
“Per quanto i disordini dello spettro autistico trovino una sicura origine multifattoriale fino ad oggi non si è stato in grado di delineare con assoluta precisione i meccanismi molecolari e cellulari responsabili di tale patologia. Tuttavia negli ultimi 10 anni evidenze fornite sia dalla ricerca preclinica che da quella clinica hanno identificato nella neuroinfiammazione un fattore coinvolto in maniera importantenella comparsa e nella progressionedella malattia. Da ciò ne deriva che una più completa comprensione del ruolo della neuroinfiammazione nella patogenesi dell’autismo sia di preminente importanza per laidentificazioni della strategia terapeutica per una condizione patologica che ad oggi manca di interventi efficaci”, aggiunge il Professor Steardo.
“Una persistente condizione di neuroinfiammazione – afferma l’esperto – provoca uno scompaginamento dell’architettura e alterazioni funzionali in aree critiche del cervello con sequele molto gravi quando tutto ciò avviene nei periodi dello sviluppo.
In questo contesto è facile comprendere come la ricerca abbia sempre tentato di identificare molecole capaci di antagonizzare la neuroinfiammazione e di restituire allo stesso tempo le cellule gliali alloro compito di supporto omeostatico edi custodi della integrità e della corretta funzionalità sinaptica delle reti funzionali. Questo è il motivo per cui non si utilizzano i classici antinfiammatori, agentiche si sono mostrati privi di tali capacità “.
“Particolare attenzione negli ultimi anni è stata attratta dalla palmitoiletanolamide ultramicronizzata, molecola che ha mostrato di possedere la abilità di modulare l’attività della glia, riducendo la neuroinfiammazione e di favorirne la ripresa funzionale nelle loro molteplici attività fisiologiche. L’utilizzo di tale composto ha dimostrato efficacia terapeutica sia nei modelli animali di malattia sia nei soggetti affettida disturbo dello spettro autistico in studi clinici rigorosi, randomizzati e condotti in condizione di doppia cecità, quale per esempiolo studio pubblicato su Journal of Psychiatry Research”, conclude il Prof Steardo.
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