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Redazione Lazio

“IO SONO UN GIORNALISTA ABRUZZESE”

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Tempo di lettura 3 minuti LO SPECIALE SULL'EDIZIONE "VIRTUAL PAPER" DEL 6 APRILE 2013 – WWW.OSSERVATORELAZIALE.COM

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Massimiliano Spiriticchio

Io sono un giornalista abruzzese: quest’affermazione potrebbe sembrare banale ed irrilevante. Eppure se la scrivi il 6 aprile 2013 improvvisamente non è più così: tutti gli anniversari infatti hanno il potere di far riaffiorare i ricordi e quello di oggi non fa eccezione. Perciò considero inevitabile che, quando l’osservatore laziale, testata con cui collaboro da poco e che ringrazio, mi ha chiesto di scrivere quest’articolo, la mia mente sia stata assalita da una serie di ricordi che forse sarebbero venuti fuori comunque, ma che ora assumono l’aspetto particolare di un pezzo giornalistico e quindi sono stati in qualche modo messi in fila.

Me la ricordo, sì, me la ricordo, quella mattina del 6 aprile 2009, così come mi ricordo i terremoti dei giorni precedenti, quelle scosse di cui si è tanto parlato e che avevano creato anche polemiche da parte di chi riteneva che non si dovessero lanciare allarmi. Non mi ricordo la forza del sisma nella notte, ma solo perché il sonno profondo me lo ha impedito. La terra ha tremato anche nella mia Montesilvano, una città di mare attaccata a Pescara, distante circa cento chilometri da L’Aquila. I miei ricordi di quel giorno sono il senso di smarrimento della gente la paura terribile di nuove scosse. Ma soprattutto i volti ed i gesti. I volti del mio 6 aprile sono quelli di due persone che si sono presentate in tarda mattinata alla Curia Arcivescovile di Pescara, dove mi trovavo per lavoro. Hanno chiesto se una loro sorella, suora a Paganica, era viva o no. Ricordo la delicatezza usata da chi ha detto loro che il convento era crollato e che al momento non si avevano notizie delle sue ospiti. Solo dopo si seppe che quella suora era una delle 309 vittime.

I gesti del mio 6 aprile sono quelli delle famiglie e dei giovani. La mattina di quello stesso 6 aprile quando arrivo nella radio in cui lavoro, arriva una chiamata: è quella di una nota emittente toscana, collegata allo stesso circuito cui siamo collegati noi. Chiedono di un giornalista e la chiamata passa a me. Il pomeriggio di quello stesso giorno sono sempre nella mia Montesilvano, in quegli alberghi che all’improvviso si sono riempiti di sfollati. Gente che arriva da tutti i paesi colpiti dal terremoto. Giovani, vecchi, uomini e donne: è un popolo intero che si ritrova all’improvviso con una sola cosa: la voglia di ricominciare. Ma è l’8 aprile che conosco una delle persone che mi rimarranno più impresse: è una ragazza di circa venti – venticinque anni. A L’Aquila faceva la crocerossina. La notte del terremoto come tutti era dovuta partire alla svelta. Si era salvata tra le macerie. Quando l’hanno vista arrivare ed hanno saputo del suo essere una di loro, gli uomini della Croce Rossa le hanno chiesto se voleva dar loro una mano: “Qui non ho null’altro da fare” aveva risposto indossando la sua casacca per poi raccontarmelo tra lacrime a stento trattenute e dicendomi di non chiamarla “eroina”. L’Abruzzo fino ad allora era stato diviso dai soliti campanilismi fra Chieti, Pescara, Teramo e L’Aquila. Ma in quei giorni non c’erano divisioni. C’era una sola, grande famiglia. Una famiglia i cui volti si sono uniti 22 giorni dopo il sisma, il 28 aprile, quando Papa Benedetto venne a visitare L’Aquila. Fu allora che, seguendo il suo viaggio, vidi per la prima volta dopo la notte delle 3:32 la città in cui mio fratello aveva studiato e si era laureato, in cui tante volte ero stato proprio nel cuore di quella famosa zona rossa ancora “off limits”. Vidi la distruzione, le macerie, lì e nei tantissimi paesi della quattro province d’Abruzzo colpiti. Vidi la fede di gente che si affidava al Signore sperando di risorgere. Vidi e piansi, sapendo che L’Aquila e l’Abruzzo non sarebbero più stati quelli di prima. Ma sapevo anche un’altra cosa: che le macerie avevano già avuto l’effetto di far emergere, oltre alla rabbia e qualche volta lo sciacallaggio, la solidarietà vera, profonda, sincera.

Quella delle famiglie numerose, che nonostante i loro almeno quattro figli, contattavano i responsabili locali della loro associazione, per chiedere di “adottare” a distanza qualche altra famiglia ricca di prole e colpita dal sisma. Quella di alcuni ragazzi di una scuola di moda di Pistoia che, portando in mano i soldi raccolti in una sfilata di beneficenza, arrivarono fino a Paganica per dare la somma raccolta nelle mani di una madre e di un padre con sette figli, che, a trenta giorni esatti dal terremoto, vivevano in uno scantinato, anche se avevano fatto ripartire l’azienda di famiglia in modo rudimentale, sotto le tende. Oggi i segni del sisma si vedono ancora, anche perché la ricostruzione va a rilento ed in molti vivono ancora lontani da casa loro. Ma una speranza c’è: non è riposta nella politica, alle prese con lentezze ed intoppi vari, né nell’economia, vista la crisi. Si radica invece proprio in quella rete di legami, molti dei quali nati appunto in quei giorni. Legami che oggi forse tornano per un giorno a farsi più forti. Proprio come quei ricordi, che a volte vorri cancellare, ma che, quando riaffiorano, mi fanno capire tante cose. E rivivere situazioni dalle quali vorrei davvero prendere esempio.

LO SPECIALE SULL'EDIZIONE "VIRTUAL PAPER" DEL 6 APRILE 2013 – WWW.OSSERVATORELAZIALE.COM

Costume e Società

Il magico Maestro della Pizza a Fregene: un tributo di Francesco Tagliente a un pizzaiolo straordinario

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Il Prefetto Francesco Tagliente ha recentemente condiviso sulla sua pagina Facebook una commovente testimonianza, raccontando l’incredibile esperienza culinaria vissuta al ristorante Back Flip Da Moisè di Fregene. Questo racconto non è solo un omaggio a una pizza straordinaria, ma anche un tributo a Michelangelo, il pizzaiolo settantaquattrenne la cui dedizione e passione hanno trasformato un semplice piatto in un’opera d’arte.

Seduto al ristorante con sua moglie Maria Teresa, Tagliente ha descritto la pizza come “la migliore che abbia mangiato negli ultimi cinquant’anni”. Tuttavia, ciò che ha reso questa esperienza davvero speciale è stata la scoperta della storia dell’uomo dietro la pizza. Michelangelo, un ex contadino che si sveglia ogni mattina all’alba per curare il suo orto, dedica le prime ore del giorno alla coltivazione delle piante e alla cura della famiglia. Solo dopo queste attività, si prepara per andare al ristorante e mettere tutto se stesso nella preparazione della pizza.

L’Arte di Michelangelo: Tradizione e Passione

Michelangelo non è solo un pizzaiolo, ma un vero e proprio maestro dell’arte culinaria. La sua vita semplice e laboriosa, fatta di dedizione e umiltà, è un esempio di come l’amore per il proprio lavoro possa trasformare un piatto comune in un’esperienza indimenticabile. La sua capacità di fondere la tradizione contadina con la sapienza artigianale nella preparazione della pizza è un’arte rara e preziosa.

Tagliente ha scritto: “La dedizione e l’umiltà di quest’uomo, che dalla vita contadina riesce a creare una delle migliori pizze che abbia mai assaggiato, mi hanno colpito profondamente. Il suo nome rimane anonimo, ma la sua storia di passione e impegno è qualcosa che merita di essere raccontata.”

L’Umanità di Francesco Tagliente

Il racconto del Prefetto Tagliente non solo mette in luce le straordinarie qualità culinarie di Michelangelo, ma riflette anche le qualità umane dello stesso Tagliente. Conosciuto per la sua sensibilità e il suo impegno sociale, Tagliente ha sempre dimostrato un profondo rispetto per le storie di vita quotidiana e per le persone che con il loro lavoro contribuiscono a rendere speciale ogni momento.

La sua capacità di cogliere e apprezzare la bellezza nascosta nei gesti quotidiani e nelle storie semplici rivela un’anima attenta e sensibile, sempre pronta a riconoscere il valore degli altri. Il tributo a Michelangelo è un’ulteriore testimonianza della sua umanità e del suo desiderio di dare voce a chi, con passione e dedizione, arricchisce la vita di chi lo circonda.

Un Esempio di Vita

La storia di Michelangelo, come raccontata da Tagliente, è un potente promemoria di come la passione e l’impegno possano elevare il lavoro quotidiano a forme d’arte. “La sua pizza è un capolavoro che continuerà a risuonare nei miei ricordi, così come la sua storia di dedizione e umiltà,” ha scritto Tagliente, riconoscendo il valore di un uomo che, nonostante l’età e la fatica, continua a regalare momenti di gioia e piacere attraverso la sua cucina.

Questo tributo non è solo un omaggio a un pizzaiolo straordinario, ma anche un invito a riflettere sull’importanza del lavoro fatto con passione e amore. Grazie, Michelangelo, per averci mostrato che dietro ogni grande piatto c’è una grande storia, fatta di lavoro, passione e amore per la semplicità. E grazie, Francesco Tagliente, per aver condiviso con noi questa storia ispiratrice, ricordandoci di apprezzare le piccole grandi cose della vita.

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Roma

Roma, maxi-rissa metro Barberini. Riccardi (Udc): “Occorrono misure decisive”

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Dopo l’ennesima maxi-rissa tra bande di borseggiatori che ha portato alla chiusura della stazione metro di piazza Barberini provocando, tra l’altro panico e paura tra i cittadini romani ed i tanti turisti presenti in città, la politica della Capitale non tarda a far sentire la sua voce.
“Questa ennesima manifestazione di violenza e illegalità non può più essere tollerata. Richiamo con forza il Governo ad un intervento deciso e definitivo. È inaccettabile che i borseggiatori, anche se catturati, possano tornare ad operare impuniti a causa di leggi troppo permissive, che li rimettono in libertà quasi immediatamente.
L’Italia è diventata lo zimbello del mondo a causa di questa situazione insostenibile.
È necessario adottare misure più severe e immediate per garantire la sicurezza dei cittadini e dei turisti. Proponiamo una revisione delle leggi esistenti per introdurre pene più dure e certe per i borseggiatori, rafforzare la presenza delle forze dell’ordine nei punti critici della città e migliorare la sorveglianza con l’uso di tecnologie avanzate”
.

il commissario romano UdC, Roberto Riccardi

A dichiararlo con decisione è Roberto Riccardi, commissario romano dell’UdC.
Da sempre attento ai problemi sulla sicurezza Riccardi fa notare con estrema chiarezza che tali situazioni non fanno altro che portare un’immagine della capitale sempre meno sicura agli occhi dei molti turisti che sono, per la capitale, una fonte di ricchezza economica oltre che di prestigio.
La fermata della Metro A Barberini a Roma è stata teatro di una maxi-rissa tra bande di borseggiatori sudamericani, che ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e il blocco della stazione per circa 40 minuti. La violenza è scoppiata a seguito di una serie di furti e scippi ai danni dei passeggeri.
Riccardi ha poi concluso: “Non possiamo permettere che episodi come quello avvenuto alla Metro Barberini si ripetano. È ora di passare dalle parole ai fatti, con azioni concrete che ripristinino l’ordine e la sicurezza nelle nostre città. I cittadini hanno il diritto di vivere in un Paese sicuro e il dovere del Governo è garantirlo”.
Molti cittadini ci scrivono ogni giorno preoccupati da questa escalation di violenza e di insicurezza ma soprattutto preoccupati per la poca attenzione che il governo cittadino e quello nazionale stanno avendo nei riguardi di questa situazione ormai alla deriva.

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Cronaca

Roma, metro Barberini: una rissa provoca la chiusura della stazione

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Tragiche le notizie che arrivano in un torrido sabato sera romano.
La stazione metro Barberini viene chiusa per questioni di sicurezza.
All’origine del fatto, avvenuto tra le 19 e le 19,30 una rissa tra nord africani e sudamericani con almeno 15 persone coinvolte. Molti passeggeri spaventati dalla situazione si sono rifugiati nella cabina del conducente fino all’arrivo delle forze di polizia allertate dalla centrale di sicurezza di Atac Metro.
Per ora sono ancora tutti da decifrare i motivi che hanno portato a ciò.

Un’estate romana che sta diventando ogni giorno più bollente.

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