Connect with us

Editoriali

INNOCENZE RUBATE: LE LEGGI NON SCRITTE DI UNO STATO SILENTE

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 2 minuti “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)” scrisse Antoine de Saint-Exupéry

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

di Angelo Barraco
 
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)” scrisse Antoine de Saint-Exupéry. Ci sono bambini che non potranno mai più ricordare un episodio risalente all’infanzia poichè brutalmente uccisi da soggetti senza scrupoli che hanno abusato di loro e hanno messo a tacere l’innocenza delle loro flebili e possibili grida d’aiuto con un pugno duro e sporco di peccato e sangue. L’infanzia  rappresenta per il fanciullo il periodo in cui vi è una costante protezione e sicurezza, dove il genitore crea un velo di maya attorno al proprio figlio, affinché ogni forma di male fisico e psichico viene tenuto fuori da quel vissuto ancora da costruire: L’articolo 30 della Costituzione Italiana stabilisce che “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge prevede a che siano assolti i loro compiti”. Una legge che punta alla tutela e al benessere del fanciullo in tutte le sfaccettature, qualora dovessero venir meno gli elementi sopracitati dall’articolo 30, lo Stato agisce per tutelare e reinserire in un sistema sano e protetto il minore che è stato oggetto di cattive condotte messe in atto da terzi nei suoi riguardi. Ma funziona realmente così? L’applicazione legislativa riesce a tutelare i minori a rischio qualora questi ultimi si dovessero trovare in situazioni in cui si necessita di un’azione preventiva ai fini di salvaguardarli? In alcuni casi si, in altri no. La cronaca ci illustra uno spaccato sociale in cui non esiste un potere morale costituito che impedisce all’uomo di agire contro il minore, ma vi è una propensione di soggetti adulti nell’esercitare azioni coercitive di natura fisica e psichica ai danni di giovanissimi incapaci di intendere e di volere. La cronaca odierna ci ha insegnato che vi sono luoghi fisici  in cui vi siano leggi non scritte, dove l’omertà è il vero potere costituito. In una società dove vige una ferrea costituzione con leggi applicate, vi  è in realtà un potere costituente chiamato omertà non di certo utile ai fini di migliorare le sorti di un paese in rotta di collisione con un continuo degrado sociale e culturale, dove non esiste un’uguaglianza sociale ma esistono enclavi culturali che cercano di far sentire la loro voce anche attraverso un disagio perenne che non troverà mai risposte. Fortuna Loffredo, Antonio Giglio e recentemente la piccola Maria Ungureanu, sono piccole vittime di una società che non ha saputo ascoltare un grido innocente di aiuto, sono vittime di adulti che hanno abbattuto qualsiasi forma di legge morale non scritta, soggetti che hanno squarciato per sempre un delicatissimo velo di maya e  spezzato una sottile una catena chiamata vita. Soggetti che hanno fatto coercizione nei confronti di queste piccole e innocenti vite, che non potranno mai più ricordare, un giorno, come è stata la loro infanzia perché quei colori che tanto avrebbero voluto vedere, quei giochi che per loro rappresentavano una crescita e un continuo progresso, quella luce che brillava negli occhi di chi doveva e voleva scoprire il mondo, in realtà si è tinta di nero, tutto si è spento, assumendo l’oscuro e triste colore della sconfitta morale e sociale. 

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti