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Editoriali

IL GOVERNO DI ENRICO LETTA E LA BARZELLETTA DI FINE ANNO

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Tempo di lettura 2 minuti Dulcis in fundo, a completare “l’allegria generale” arriva anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti

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di Emanuel Galea

Fra una manciata di ore si festeggia il nuovo anno. L’allegria è d’uopo. Ogni quattro persone, tre mangeranno il cotechino e ci dicono che si stapperanno 140 milioni di bottiglie di spumante Italiano. Auguri, strette di mano e sorrisi rituali: “….ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor, Ah! Ridi, Pagliaccio…….” Quanti "Canio" canteranno quest’aria tratta da “I Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo la notte del trentuno?

Enrico Letta ha voluto contribuire all’allegria. L’ha detto. L’ha twittato. L’ha ripetuto ai giornali, sul web:"Tasse sulle famiglie nel 2013 sono scese e la tendenza continuerà anche nel 2014. Notizia di oggi importante perché si consolidi il trend fiducia".
Bella notizia, qualcosa si abbassa, l’ha detto il capo del Governo e noi dobbiamo credergli. Quello che Enrico Letta non ha ritenuto di specificare è che per recuperare i soldi per sistemare il bilancio, e così poter promettere l’abbassamento delle tasse, ha dovuto autorizzare una raffica di aumenti a partire del 2014 e per gli anni a venire.

Gli italiani, col nuovo anno, troveranno l’aumento dei carburanti, dei pedaggi autostradali, delle sigarette. Si accorgeranno di un aumento sostanziale nella bolletta elettrica, i contributi previdenziali, i costi sui depositi bancari. L’aumento dell’Iva dal 4% al 10% sui distributori automatici porteranno aumenti al caffè e alle merendine in quei distributori in uffici, ospedali e locali pubblici diversi.
I Comuni potrebbero reperire la Tasi in favore delle famiglie numerose e meno abbienti, aumentando l’aliquota massima dell’imposta dal 2,5 al 3,5 per mille per la prima casa e dal 10,6 all’11,6 per mille per la seconda casa. La patrimoniale si sente ma non si vede!

Dulcis in fundo, a completare “l’allegria generale” arriva anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti annunciando che,  per salvare la Regione dal crac, le prossime buste paga dei romani , e non solo,  saranno più leggere. Il Consiglio Regionale del Lazio, approvando il bilancio, ha aumentato l'aliquota dell'addizionale regionale Irpef dall'attuale 1,73% al 2,33% per i redditi 2014, e al 3,33% nel 2015. Il Governo centrale abbassa le tasse e gli enti periferici, alzano le imposte e le tariffe. Chi abbassa e chi alza!

E a questo punto non posso esimermi dal raccontare una barzelletta su Enrico Letta:
Un distinto signore entra in un negozio di biancheria intima. Sceglie una camicetta griffata ed un paio di mutandine,rosso scarlatto, modello ultimo grido, da indossare la notte del Capodanno. Riceve i complimenti del commesso per l’ottima scelta. “Quanto devo pagare”, chiede il distinto signore. “Merce di prima qualità, dottore, per lei trenta euro per le mutande e facciamo lo stesso prezzo per la camicetta” . “Prezzo esagerato, grazie, risponde il distinto signore.” E mentre il cliente si avvia verso l’uscita, il commesso lo ferma e gli propone: “per lei facciamo un bello sconto. Per le mutande facciamo venticinque ma per la camicetta mi deve dare trentacinque”. Il signore sdegnato e infastidito si rivolge al commesso: “giovanotto, si rende conto di cosa mi sta facendo? Lei mi sta abbassando le mutande ed alzando la camicetta”.

Nel suo piccolo il commesso ha voluto imitare la politica del governo Letta, abbassare e alzare. Ormai sono tanti, su questa piazza, che si affrettano ad alzare le camicette. Allo Stato centrale il compito di abbassare le mutande. C’e’ poco da ridere. Se ti va, fallo pure, fallo  ora,  perché da gennaio 2014 ricomincia il pianto.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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