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Editoriali

Il governo della sopravvivenza e l’atroce dilemma quasi amletico…

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Sopravvivere alla pandemia con il sorriso sulle labbra e la schiena china, acconsentire passivamente per poi soccombere, in catalettica attesa della ineluttabile fine causata dagli eterni lockdown improvvidamente imposti da chi speranza predica e che speranza non dà, oppure se sia più umano disobbedire ai dictat del regime per contrastare i morsi della fame ed affrontare a viso aperto la povertà galoppante: questo è l’atroce dilemma, quasi amletico.

Il governo Draghi, per costituzione è nato come un governo di salvezza ma i fatti dimostrano che trattasi più di uno di sopravvivenza. Il professore Draghi, in parte per la sua alta professionalità ed in parte per la sua  figura  prestigiosa  da tutti  riconosciuta sia in casa che all’estero, è stato chiamato dal presidente Mattarella in un momento critico della storia italiana, per mettere  le sue competenze a disposizione  d’un piano per la vaccinazione e a un secondo compito, più gravoso, per gestire il Recovery Plan.

Come presidente del Consiglio Draghi porta un handicap. In parlamento sta il suo tallone d’Achille che renderebbe la sua missione quasi impossibile

E’ stato chiamato a dirigere un governo di “salvezza” composto da una maggioranza bulgara, multi partitica, litigiosa, riottosa, orfana di idee e di progetti. L’unico accordo raggiunto univocamente fra di loro è “non mollare la poltrona, whatever it takes”.  Ecco perché anziché governo di salvezza il presente governo è in effetti un governo di sopravvivenza.

Draghi ha preso in consegna un parlamento reduce di due gestioni “Conte”, caratterizzate di video conferenze, promesse a gogò, elargizione di strenne varie per invigorire i “costruttori” ed i “responsabili”, trascinando l’Italia sull’orlo del precipizio.

Sembra che l’offerta a Draghi è stata condizionata; accettare l’incarico comprensivo dell’accollo di tutto l’apparato di Palazzo Madama e di Montecitorio. Draghi accettò ed oggi il Paese si è ritrovato con il vecchio barattato per nuovo. Niente di nuovo sotto le stelle. Ho letto da qualche parte: “Procrastinare è l’arte di stare al passo con ciò che è successo ieri, per evitare il domani”. Niente di meglio per definire la politica del primo, secondo e l’attuale  “Conte ter”.

Corre il Covid-19 e il governo lo rincorre, chiudendo Comuni e Regioni, abbassando saracinesche e facendo sparire panchine dai giardini pubblici, multando chi osa affacciarsi per strada nelle ore non consentite ed ogni attività produttiva esala l’ultima speranza di poter un giorno risollevarsi. Cresce la disoccupazione e la povertà si accanisce sempre più sui già poveri di ieri aggiungendo  nuovi che i vari lockdown stanno mietendo.

La fame sta travolgendo intere nuclei familiari e la rabbia sta salendo a livelli preoccupanti

Le varie dimostrazioni di disobbedienza che affollano le piazze non sono  che l’emergere delle prime colate di lava che il vulcano paese espelle. Il governo forse farebbe bene a non sottovalutare questo  “punto di fusione”.

I mass media, dall’olimpo delle loro “certezze” e lo stesso si può dire dei vari politici  e pseudo esperti che adornano i salottini dei talk show televisivi ogni sera, ogni giorno feriale e anche festivo, omni presenti come sopra mobili in una vetrina, si affaticano ad esternare  comprensione e commiserazione verso gli stenti e la degradata  indecenza in cui sono scivolate tante famiglie causa gli avventati lockdown. Bontà loro però  tengono a raccomandare a questo popolo, che il Pontefice ben ebbe ad   identificare  nella “cultura dello scarto”, di essere comprensivi, di pensare a tanti morti, tanti in terapia intensiva, ad attendere con fiducia  perché il ministro prevede che ormai stiamo percorrendo l’ultimo miglio.

Quanto sia solidale raccomandare agli altri il digiuno quando si è satolli!

Tanti buontemponi vedono il lume in fondo al tunnel solamente che il tunnel è lungo ormai più di dodici mesi e a chi manca “il pane quotidiano” gli si è appannata la vista ed il lume non lo vede più.

Che fare? Ecco che si presenta l’atroce dilemma. Sopravvivere alla pandemia con il sorriso sulle labbra e la schiena china , acconsentire passivamente per poi soccombere, in catalettica attesa della ineluttabile fine, protetto dagli eterni lockdown finche non accada l’irreparabile o disobbedire  ai dictat del regime per contrastare i morsi della fame ed affrontare a viso aperto la povertà galoppante, rischiando il morso della “variante” ed il tristissimo epilogo.

Quale è più tormentoso, sparire di virus e di lockdown o spegnersi lentamente  di stenti e di fame? Questo è l’atroce dilemma, quasi amletico.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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