Scienza e Tecnologia
IL BIOGAS UN BUSINESS ONEROSO PER LE TASCHE DEI CITTADINI, SALUTE PUBBLICA E AMBIENTALE
Published
11 anni faon
By
cmontagna
Un viaggio attraverso l'inutilità di produrre un'energia che non serve, a discapito della salute, dell'aria che respiriamo, dei terreni che calpestiamo e che inoltre ci costa molto denaro, quasi un terzo di quelli che ogni bimestre versiamo nelle casse dei vari gestori energetici. Andiamo a scoprire dove vanno a finire i nostri soldi, A chi vengono per legge destinati. Non tutte le energie rinnovabili sono realmente “pulite”, alcune di queste celano delle brutte sorprese
di Claudio Auriemma
Negli ultimi anni stiamo assistendo al proliferare di progetti da parte di piccoli o grandi Comuni che puntano alla realizzazione di centrali di produzione elettrica da biogas o da biomassa, ovvero centrali che producono biometano per alimentare i generatori grazie alla digestione anaerobica di residui biologici industriali, civili o agricoli. Sul territorio italiano, siamo passati dai 313 impianti impianti biogas certificati IAFR, ovvero impianti alimentati da fonti rinnovabili in attività nel 2010 (fonte: GSE) ai 994 del 2012 (dati CRPA).
Ma molti altri sono ancora in fase di progetto. Si pensi solamente che Il “Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili dell’Italia” prevede che entro il 2020 nasceranno impianti fino a raggiungere una potenza di 1.200 MW, mentre nel 2010 è di circa 500 MW, meno della metà di quella prevista dal Piano Secondo gli ultimi dati del CRPA. La tendenza alla crescita supera di gran lunga le aspettative e la velocità di proliferazione di questi impianti sembra smentire le previsioni iniziali suggerendo che esse siano addirittura in difetto.
Leggendo questi dati sembra che la crescita continua di richiesta energetica da parte di industria e cittadini, vada in qualche modo affrontata, così, molti Comuni Italiani, Comuni virtuosi gestiti da amministrazioni particolarmente attente all'ambiente, oltre che puntare al risparmio energetico, hanno il desiderio di investire denaro allo scopo di ridurre quella percentuale di energia che il nostro paese produce grazie a risorse fossili come Petrolio, Carbone e Gas a favore di fonti rinnovabili. Ma purtroppo il quadro è completamente diverso.
I nuovi impianti a biogas non prevedono affatto di sostituirsi ad altri più inquinanti, ma si vanno ad aggiungere alla quantità di centrali in produzione in Italia per produrre nuova energia allo scopo di soddisfare un fabbisogno dichiarato in crescita nel nostro territorio. Le centrali a combustibile fossile non si toccano, continuano a produrre energia e ad inquinare. A quelle però si aggiungono le centinaia di altre piccole centrali a biogas che per la maggioranza producono meno di 1MW di potenza ognuna. Diffuse su tutto il territorio nazionale e particolarmente al Nord. Convinti che il paese, anche se nel centro di una crisi economica drammatica, abbia un bisogno maggiore di energia di quella richiesta nei momenti più floridi della nostra economia, andiamo ad analizzare i motivi che ci spingono ad impiantare nuove centrali che possano affiancare quelle già attive.
Leggendo i primi dati pubblicati da TERNA, la società che gestisce la distribuzione elettrica sul territorio, scopriamo facilmente che in realtà il quadro è esattamente inverso.In un documento pubblicato da TERNA a settembre 2008 “Previsioni della domanda elettrica in Italia e del fabbisogno di potenza necessario 2008- 2018” si legge che la previsione di consumo in quel periodo doveva tendenzialmente crescere. Citando testualmente “la previsione per il prossimo decennio dell’evoluzione della domanda elettrica compresa tra +1,0% e il +1,9% medio per anno, in funzione delle ipotesi sull’intensitàelettrica”…”alla copertura del carico massimo nel 2018 si stima adeguato un fabbisogno di generazione di circa 91 GW.”
Previsione questa clamorosamente smentita da un rapporto gemello ma pubblicato nel 2013 sempre dalla stessa società che stima il fabbisogno di generazione nel 2019 molto più basso, parliamo di 77 GW. Infatti prendendo ad esempio il biennio 2011-2012, vediamo che la richiesta di energia in Italia è calata del 2,1% (fonte TERNA). La previsione per il 2023 è poco più ottimistica, si prevede una richiesta massima di 83GW, sempre più bassa di quella del 2018 ma che spera in una seppur leggera ripresa dell'economia.
Tutto questo per dire che, come dimostra il grafico qui a fianco, la tendenza negli anni che vanno dal 2008 al 2013 vede una contrazione nella richiesta energetica causata da ovvi fattori come l'inizio di una drammatica crisi economica che ha causato la chiusura di molte aziende, il decentramento di parte delle grandi aziende produttive italiane, la fine dell'industria dell'acciaio, tra i grandi consumatori di energia e non da ultimo anche dalle abitudini dei cittadini che per contenere i consumi energetici si sono progressivamente rivolti sempre maggiormente all'uso di illuminazione sostenibile e a basso consumo.
Che cosa è allora che suggerisce ai Comuni e agli imprenditori di investire in energia? Molto semplicemente sono i contributi statali elargiti molto generosamente a chi progetta e realizza impianti di produzione elettrica da biogas. Il Governo Italiano, garantisce un contributo a tali impianti così strutturato: Per gli impianti a biomasse e biogas di potenza nominale fino a 1 MW il GSE prevede, ove richiesto, al ritiro dell’energia elettrica immessa in rete una tariffa incentivante onnicomprensiva (To) determinata sommando la tariffa incentivante base a seconda della tipologia d’impianto e del tipo di alimentazione (prodotti, sottoprodotti, rifiuti) agli ulteriori premi garantiti al tipo di impianto. Facciamo l'esempio di un impianto da 1MW, l'incentivo può arrivare fino ai 0.18€ a Kwh ma di solito si ferma a 0.14€ a Kwh. A questo incentivo va sommato l'ammontare totale degli eventuali premi a cui ha diritto. Se alimentato da prodotti di origine biologica ha diritto ad un premio di 40 €/MWh (Articolo 8, comma 4, lettera a) (fonte: GSE – Gestore dei Servizi Energetici)
Per fare chiarezza sui numeri abbiamo scelto dei dati che abbiamo in possesso e che riguardano una realtà locale, ma quei numeri ci possono aiutare a comprendere più facilmente la realtà nazionale.
Da uno studio del Dott. Gabriele Insabato del Politecnico di Milano, Nel 2010 in provincia di Cremona sono stati autorizzati e/o entrati in esercizio circa 51 impianti a biogas, per una potenza di circa 45 MW complessivi. La maggior parte degli impianti in questione ha una potenza nominale inferiore al MW, come quello previsto nella tenuta di Passerano. L'investimento globale iniziale per realizzare quegli impianti è stato di circa 180 milioni di €, ovvero 4 Milioni a MW di potenza, gli stessi impianti ricevono però incentivi annui per circa 100 milioni di € complessivi (280€/Mwh secondo la formula che abbiamo visto in precedenza e per 8000h di funzionamento) a fronte di un costo di gestione annuo di circa 60 Milioni di €, Questo spiega come sia estremamente interessante il regime di incentivi per garantire la vita a centrali come queste che se dovessero basare la propria sopravvivenza solo sulla vendita di energia sarebbero un affare fallimentare. Con questo regime di incentivi bastano solo 4/5 anni per ripagarsi degli investimenti iniziali e accumulare ingenti somme di denaro per i successivi 15 anni, visto che la concessione dura in media 20 anni.
Ma gli incentivi statali, non piovono dal cielo come la manna delle narrazioni bibliche, è necessario che qualcuno se ne faccia carico economicamente. Casualmente, se ne fa carico l'utente finale, ovvero ognuno di noi al momento in cui paga la bolletta energetica bimestrale che gli garantisce di poter continuare ad usufruire del servizio elettrico nazionale.
Quando vediamo l'importo in alto a destra dell'ormai familiare rettangolo cartaceo che ha standardizzato la comunicazione con la quale le principali aziende fornitrici di servizi ci invitano a mettere mano al portafogli, non dobbiamo pensare che paghiamo solo ciò che in realtà abbiamo consumato, ma, l'importo richiesto è formato dalla somma di una serie di componenti, Tasse, ritardo nei pagamenti ed altro, ma la nostra attenzione si soffermerà in particolare sulla componente A3 della bolletta, che è quella che ci interessa in questa storia. In un comunicato del dicembre 2013 emanato della Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, veniamo informati che:” Per l’elettricità, ci sarà un incremento complessivo dello 0,7%. Di fatto, questo aumento (+1,6%) più il leggero ritocco (+0,3%) delle tariffe per i servizi di trasmissione, distribuzione, etc. sono stati controbilanciati da un forte calo dei costi del chilowattora (-1,2%) riferito invece ad un’attività in libera concorrenza. A questo punto, La spesa media annua della famiglia tipo sarà di circa 518 euro così ripartiti: 51,25% del totale della bolletta i costi di approvvigionamento, 14,71% per i servizi a rete, 20,75% per gli oneri generali di sistema, fissati per legge, 13,30% per le imposte che comprendono l’IVA e le accise.
Gli oneri generali di sistema, (termine alquanto trasparente n.d.r.) sono composti per quasi il 90% dalla famosa componente A3 della bolletta energetica che sarebbero gli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate . Ciò significa che circa il 20 % dell'importo della bolletta elettrica che noi paghiamo è destinato a coprire i tanti milioni di € destinati ad incentivare la produzione di energia elettrica che in realtà a nessuno di noi serve realmente, o meglio serve solo a chi in realtà ne percepisce un vantaggio, non di certo al consumatore.
In poche e semplici parole, poco meno di un terzo della nostra bolletta va ad alimentare un business energetico che punta alla produzione di energia inutile, inquinante e che genera un sempre maggiore consumo del suolo. Generato dalla cementificazione necessaria alla realizzazione degli impianti, oltre che dalla necessità di destinare intere colture agricole ad alimentare le centrali, fuori dalla filiera alimentare e quindi con largo uso di tecniche di coltivazione OGM, che impoveriranno sempre di più i terreni e determineranno un graduale inquinamento degli stessi. Addirittura il 6/8% dei terreni agricoli disponibili sarebbe destinato alla produzione di “rifiuto” organico da utilizzare nelle centrali.
Si vuole produrre energia che non serve, inquinando ulteriormente e senza prevedere una riduzione delle centrali a combustibile fossile. Invece di puntare ad una riduzione della quantità di rifiuti e alla necessaria conclusione del ciclo degli stessi, si incentiva a produrre sempre più scarto. Si inquinano e si impoveriscono le zone agricole e si consumano ettari di suolo. Si creano impianti senza rispettare vincoli archeologici o paesaggistici, mentre, per foraggiare questa poco lungimirante operazione i cittadini intanto pagano di tasca propria buona parte della bolletta.
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