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di Emanuel Galea
La diversità è uno dei valori fondamentali della storia di ogni uomo. La diversità è colore, cultura, ricchezza, scambio, crescita, valori. La diversità è una necessità, è linfa per i popoli. Da non confondere però con “differenze” o peggio ancora da scambiarla con il “diverso” . Più la “diversità” è netta, chiara, trasparente, inequivocabile, più fa ricchezza, colore, cultura, crescita. Ove mancano queste qualità, si deve parlare di ambiguità, disordine, caos.
La globalizzazione sta schiacciando la “diversità”, per utilizzare un’espressione che va tanto di moda, sta catramando le radici delle culture, costumi e valori storici dei popoli è sta portando il mondo a un declino irreversibile.
La “diversità” non è una scoperta dell’uomo. L’ha creata il buon Dio, per chi ci crede e per gli altri è apparsa assieme al Big Bang per puro caso. Tanto nel primo caso al quale m’iscrivo, tanto nel secondo caso, rimane che in un certo istante della creazione oppure per gli altri, dell’atto di formazione, molto lontano, è nata la diversità . La sua bellezza si è manifestata nell’Universo del corpo umano, quello maschile e quello femminile, nel mondo animale, quello vegetale, ittico, aviario e non solo.
Mentre scrivo, scorre davanti alla mia immaginazione una scena molto lontana, dei Mercati Generali in Via Ostiense, Roma. Ricordo una mattina, molto presto, mi trovavo lì con l’Economo di un famoso albergo. Da quei mercati generali ortofrutticoli e ittici lui cercava merce particolare. Io invece rimasi estasiato davanti ai colori, le diversità, i vari profumi,suoni, forme e molteplicità. Un caleidoscopio di mille facce del prodotto della terra. Il mio sguardo incantato ha continuato a ruotare, mentre le figure sulle bancarelle mutavano e cambiavano colore e forma, senza mai ripetersi.
Un universo in miniatura di ciò che s’intende per diversità. Si può, in piccolo modo, descrivere i colori, le forme e le molteplicità. Mai alcuno però riuscirà a fare risaltare la magia dei suoni e i mille soavi profumi.
Con un piccolo sforzo, chiudendo gli occhi, trasferisco questa immagine all’Europa. Emergerà anche in questo caso il bello della diversità.
I paesi bassi hanno un fascino che non si trova in Europa meridionale. Le caratteristiche della penisola iberica godono di colore, ricchezze e cultura che arricchiscono la diversità del vecchio continente. L’eredità storico-culturale dell’Italia offre altri orizzonti che formano la multiforme diversità. La struttura dell’Europa orientale, piena di fascino e mistero, non può mai essere riprodotta nelle città occidentali della stessa Europa.
Se poi allargo la visuale e considero la diversità estesa all’intero pianeta, non si fa altro che confermare quello che, nel piccolo mondo dei “mercati generali”, oppure nel mondo ristretto del vecchio continente, ho cercato di illustrare. Culturalmente parlando l’Alaska non è Parigi. la Nigeria non è Berlino, Pechino non è Milano e Roma non è Baghdad. Ognuno di questi ha qualcosa che all’altro manca, manca nel modo di pensare, nell’attribuire dei valori a cose e persone, nelle radici storiche proprie e via dicendo. Parlare di globalizzazione, vuol dire rottamare “le civiltà” , se mi è permesso , una hashtag abusata Renziana.
Sono tante le domande retoriche che si possono fare. Che si trova d’interessante nel vedere le stesse teste rasate a Nairobi e New York come a Leningrado o a Berlino? Che valore si può attribuire alla monotona vista di ragazze con identiche hot pants e le solite T shirts? Dove sta l’originalità nel vedere la gioventù, pettinata, calzata, vestiti e con comportamenti comuni in Irlanda e Bogotà, in Cefalù come in Zagabria, a New Delhi come a Sidney e a Mumbai come a Porto Rico?
In breve, siamo alla presenza di una generazione orfana di gusti e scelte proprie , segue sempre e comunque, senza interrogarsi del come e del perché. Una generazione che protesta mentre sfugge scelte responsabili.
Il bello della diversità è offrire più ricchezza, più colori, più cultura. La globalizzazione sta uccidendo la “diversità” è sta portando il mondo a un appiattimento,un marasma incolore, insapore e irreversibile, creando dei manichini, un’umanità che segue un trend, una scia. Solo in parole si dichiara ribelle, progressista, a volte futurista. Ai fatti si rivela un gregge che si trascina dove soffia il pensiero unico. Se questo è il “progresso che ci propinano”, ridateci il “medioevo”.
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