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Editoriali

Il Bagaglino in Parlamento

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Da dove cominciamo? Dall’inizio, è sempre meglio. Per capire, o cercare di farlo, ciò che sta succedendo sotto i nostri occhi scandalizzati. E chi non si scandalizza vuol dire che tiene per chi ha trasformato l’Italia in un teatrino di cabaret, non avendo la minima esperienza del bon ton che dovrebbe regnare in un parlamento, né curandosi minimamente dell’etica e della morale politica che dovrebbero essere nel bagaglio di ogni buon governante, soprattutto se ricopre – non per suo merito – un ruolo importante come quello di presidente del Consiglio dei ministri.

Giuseppe Conte è arrivato in medias res, convocato, pare, dai 5 stelle, presentandosi con le migliori credenziali, compresa la conoscenza di alcune lingue straniere (cosa non secondaria, visto che il suo predecessore Renzi ne aveva inventata una tutta sua, prendendola dall’inglese di Celentano), e un curriculum lungo un braccio, che pare, a detta di qualcuno, che fosse lievemente ‘ritoccato’.

C’abbiamo creduto. Abbiamo creduto a questo ‘avvocato del popolo’ (che oggi fucila i populisti, in metafora) che dichiarava fuor dai denti che quella sarebbe stata la sua unica e sola esperienza di governo, e che se avesse dovuto vivacchiare, si sarebbe dimesso, tornando, emulo di Cincinnato, alla sua Volturara Appula, provincia di Foggia, a fare l’avvocato. Ci avevamo creduto. Come avevamo creduto, ahinoi, al ‘vaffa’ di Beppe Grillo e ai 5 stelle, con la loro pretesa anticasta.

Siamo un popolo di creduloni, e come tali aspettiamo sempre il principe azzurro che ci venga a liberare dal drago. Ma purtroppo non era un principe, non erano principi, ma draghi… Potrei scriverlo anche maiuscolo, perché all’orizzonte sic stantibus rebus, abbiamo non solo lui, il Draghi della BCE, ma anche il Mortadella, che vien buon ogni tanto, speriamo solo per sparigliare le carte. Ma ormai, come recita il titolo di un programma televisivo fortemente trash, ‘tutto è possibile’.

Insomma, inopinatamente l’ex don Matteo Renzi ha deciso un giorno di minacciare Conte.

Tutti pensavamo che avesse qualche richiesta da soddisfare, e che il premier se la sarebbe cavata con due o tre poltroncine. Invece stavolta Renzi faceva (quasi) sul serio. Quasi, perché non l’abbiamo mai visto cadere se non in piedi, come i gatti. Fatto sta che, fra una cosa e l’altra, Matteo ha costretto Giuseppi alla conta dei superstiti, e i risultati li conosciamo tutti. Che questo premier avesse già manifestato un piglio personalistico – come quando andò a firmare il MES a Bruxelles senza prima consultare la Camera e il Senato, come d’obbligo – ne avevamo già contezza. Ma il suo massimo s’è espresso con i DPCM, che per un anno circa hanno sostituito d’amblè leggi leggine e passaggi parlamentari.

Ma quando gli si parla di ‘uomo solo al comando’ s’incazza. Mah! La pandemia, mal condotta e peggio riparata, trasformando l’Italia in una tavolozza cangiante, ha mostrato, con i discorsi in TV, se non a reti unificate, quasi, il vero carattere di Conte. Ora gli è andata buca la conta dei suoi, anche se in extremis è riuscito a rosicchiare un paio di parlamentari poco fedeli e molto ‘venali’ alla concorrenza. Insomma, il mercato delle vacche – absit iniuria nei confronti delle ministre – si è svolto regolarmente e si è disteso sotto gli occhi di tutti, bellamente annunciato fuor dai denti dallo stesso Giuseppi. Proprio quel mercato tanto condannato da Giggino De Maio, qualche anno fa impiegato allo stadio S. Paolo, (non c’è nulla di male, ma ci chiediamo dove sta l’esperienza) ora ministro degli esteri, in tempi non troppo lontani: ma a proposito di personaggi a lui non graditi. Tutti infatti cercano gli ‘Scilipoti’, ormai transfuga per antonomasia, per rimpolpare il proprio carniere: a costi che conosciamo bene.

Ora, in un paese con persone serie al governo, Giuseppe Conte avrebbe già dato le dimissioni. Al contrario, si è recato, sì, da Mattarella, ma solo per studiare con lui una exit strategy. Cioè, dopo cinquanta minuti di conciliabolo, l’iniziativa di ‘allargare la maggioranza’. Se hai forato una gomma perché usurata, la devi cambiare. Non puoi pretendere di farla camminare ancora con qualche rattoppo: prima o poi ti lascerà per strada. E poi, cosa diranno quelli che ti vedono andare su di un’auto così rappezzata? Dov’è la dignità dell’uomo? O è un ‘uomo senza dignità’, parafrasando il titolo di un romanzo? Evidentemente ci sono uomini (o presunti tali) che a queste cose non ci badano; che non hanno, cioè, alcun rispetto per la propria faccia. In un paese, dicevamo, con persone serie al governo, l’unica via da praticare sarebbe stata quella di indire nuove elezioni: anche con il covid, visto che tutta l’Europa sta votando o voterà, nonostante la pandemia. Si vuole invece ‘allargare la maggioranza’: sappiamo tutti a quale parte del corpo maschile appartiene quella pelle che più la tiri e più s’allunga (o s’allarga). E questa è l’operazione che il buon Giuseppi, cresciuto dai Gesuiti, vuole mettere in atto, e di cui ha discusso con il buon Mattarella, sempre meno utile alla nazione, tranne nel conferire onorificenze qualsivoglia, tagliare nastri, deporre corone, pronunciare discorsi scritti da altri. Sappiamo tutti – e soprattutto lo sanno Conte e Mattarella – che se si va a votare vince il centrodestra, perché ormai i cittadini sono stufi di questi personaggi al governo.

Ma se vince il centrodestra, il governo che ne conseguirebbe dovrebbe scegliere il prossimo presidente della Repubblica italiana. Il quale, ancorchè inutile sotto il profilo operativo, potrebbe rompere le uova nel paniere a parecchi. Comprese, e non ultime, le lobby che governano l’Unione Europea, legate a tutta una serie di personaggi che prendono decisioni planetarie, durante riunioni annuali che si tengono in gran segreto in alberghi sempre in nazioni diverse. A dirla tutta, una Supermassoneria mondiale, che propugna il Nuovo Ordine Mondiale, del quale anche il papa Francesco pare sia – dalle sue asserzioni – un partigiano. Ma non andiamo troppo in là. Cedere il bastone del comando per Giuseppi e Mattarella proprio non se ne parla. A qualsiasi costo, e Renzi queste cose le sa. E conosce anche nei dettagli le ‘segrete cose’. Così, sulla nostra pelle – si può essere di una parte o dell’altra, ma questo è un grave ‘vulnus’, come ad alcuni piace dire, alla nostra democrazia: cioè qualcosa, come l’Unicorno, di cui abbiamo sempre sentito parlare, ma che mai, nei secoli, abbiamo potuto vedere e toccare con mano. Allargare la maggioranza è soltanto un eufemismo, per dire ben altro.

Oggi partono le offerte commerciali che mai vorremmo vedere in un contesto politico, quando si tratta del bene della nazione. È partito un reclutamento a tutti i costi. Salvini, Meloni e Berlusconi, per non dire di Lupi, – tacciati, in mancanza di meglio, di negazionismo e di antieuropeismo, secondo noi più che legittimo – non devono andare al potere. Prima di tutto perché rischierebbero di poter scegliere il prossimo presidente della Repubblica. Poi perché questo non sarebbe gradito all’UE, burattino nelle mani dei grossi capitali mondiali che già hanno preparato tutto un percorso obbligato per l’Italia e gli Italiani. I quali, quando capiranno davvero ciò questa gente vuole fare, gli si addrizzeranno i capelli in testa. Per dirne una: l’UE vuole che, dopo l’operazione Monti, aumentiamo ancora gli estimi catastali dei nostri immobili, e che cancelliamo l’esenzione IMU della prima casa, quella voluta da Berlusconi. In seguito a ciò, i prezzi del mercato immobiliare sono ancor più crollati, e, per esempio, i Cinesi, stanno facendo man bassa delle nostre più belle e prestigiose residenze. Avete capito?

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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