Costume e Società
I ragazzi a scuola e in famiglia: come colmare le distanze
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Oggi si parla spesso di intelligenza emotiva, ma poche persone propongono questo tipo di relazione: né a scuola, nel rapporto ragazzi-insegnanti e viceversa, né a casa, nella relazione ragazzi-genitori.
Sovente, gli insegnanti arrivano in classe dando per scontato l’idea di fare una lezione frontale quindi, quando l’attenzione dei ragazzi inizia a calare, è complicato ritornare ad una relazione di ascolto.
La medesima cosa può accadere tra le mura di casa, dove spesso i genitori, impegnati nella loro quotidianità, non riescono ad avviare un dialogo con i propri figli e viceversa.
Instaurare rapporti sani per colmare le distanze emotive-relazionali, sia a scuola che in famiglia, potrebbe essere così proposto:
Insegnante: “Bene ragazzi che ne dite se oggi facciamo una lezione insieme? Un po’
spiegate voi e un po’ io?”
Oppure,
Padre/Madre: “A. vieni qui da papà/mamma che parliamo un po’, dal momento, che
quest’anno ti diplomi. Mi racconti la tua giornata? Mi dici come stai e cosa hai fatto?”
Oppure,
Ragazzo/a: “Prof. oggi facciamo un po’ di conversazione”?
“Papà/Mamma vi posso parlare di un problema sentimentale”?
Tuttavia, dai migliori esperti di psicologia, quali Galimberti, Crepet, Morelli etc … siamo tempestati, soprattutto sui social, di continui interventi sul come educare all’intelligenza emotiva e quindi su come l’insegnante, i genitori e i ragazzi dovrebbero colmare i vuoti emotivi.
Goleman, studioso di gran pregio, anticipò nel 1996 le proprie teorie sull’intelligenza emotiva, scrivendo frasi e libri dedicati proprio a questo argomento.
Oggi, a seguito di questi interventi, mi chiedo: Ma la scuola che ruolo ha? Cosa ci aspettiamo dai docenti, dai genitori e dai ragazzi? Sarà idoneo formare docenti aditi a creare momenti di empatia? Ma l’intelligenza emotiva si insegna, si impara o nessuna delle due?
Personalmente, da pedagogista e docente, non credo che esista un modo per insegnare ad essere emotivi ma sicuramente esistono capacità innate e non, adite a stimolare l’emotività; in alcuni individui, per altro, potrebbe essere necessario incoraggiare la relazione empatica. Ci sarà chi è più propenso a questo “lavoro emotivo” e chi deve “impegnarsi” a “capire come essere emotivi”.
Per colmare questa “non empatia”, sia in famiglia, sia in casa, sia a scuola è utile “ascoltar-ci” e poi “trasmetter-ci gli uni agli altri”.
Sentire noi stessi e gli altri è un compito arduo ma è fondamentale che qualcuno dia inizio a questo “viaggio introspettivo e relazionale”, senza che rimanga una nozione astratta. Perciò la famiglia e la scuola dovrebbero impostare il dialogo, la partecipazione continua, e soprattutto una comunicazione di reciprocità. I bambini molto piccoli, ad esempio, sono i primi a “sentire” le emozioni. Molte volte, bimbi di 3/4 anni, mi hanno rivolto questa domanda: “maestra, come stai? Stai bene o sei triste?”, e qui si coglie la specialità dell’infanzia e di come noi adulti dovremmo imparare da questa fascia d’età.
I bambini piccoli hanno questo dono perché vivono il presente e non, come noi adulti, il passato o il futuro per indagare cosa è stato e cosa sarà senza mai sentir-ci nel qui ed ora.
L’ingenuità dell’essere bambino sta nel percepire il tipo di adulto che si ha di fronte e di fruirne l’emotività che quest’ultimo potrebbe non avere o avere solo in parte.
Il compito delle comunità educative (famiglia e scuola) è di osservare i bambini piccoli, cercando di “imitarli”: un gesto, uno sguardo, un atteggiamento valgono più di mille
parole dette all’interno di corsi di aggiornamento.
L’intelligenza emotiva non si insegna anzi, è spontaneità, è il creare un ambiente armonioso che ci permette di vivere e condividere le nostre emozioni con quelle altrui.
L’infante, crescendo non dovrebbe perdere questo grandissimo dono, perciò noi adulti, sia in casa che a scuola, abbiamo il compito di promuovere la pratica emotiva, diffondendo “perle” di empatia e sensazioni che possono e devono essere condivise.
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Il magico Maestro della Pizza a Fregene: un tributo di Francesco Tagliente a un pizzaiolo straordinario
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15 Luglio 2024![](https://www.osservatoreitalia.eu/wp-content/uploads/2024/07/IMG_5243.jpeg)
Il Prefetto Francesco Tagliente ha recentemente condiviso sulla sua pagina Facebook una commovente testimonianza, raccontando l’incredibile esperienza culinaria vissuta al ristorante Back Flip Da Moisè di Fregene. Questo racconto non è solo un omaggio a una pizza straordinaria, ma anche un tributo a Michelangelo, il pizzaiolo settantaquattrenne la cui dedizione e passione hanno trasformato un semplice piatto in un’opera d’arte.
Seduto al ristorante con sua moglie Maria Teresa, Tagliente ha descritto la pizza come “la migliore che abbia mangiato negli ultimi cinquant’anni”. Tuttavia, ciò che ha reso questa esperienza davvero speciale è stata la scoperta della storia dell’uomo dietro la pizza. Michelangelo, un ex contadino che si sveglia ogni mattina all’alba per curare il suo orto, dedica le prime ore del giorno alla coltivazione delle piante e alla cura della famiglia. Solo dopo queste attività, si prepara per andare al ristorante e mettere tutto se stesso nella preparazione della pizza.
L’Arte di Michelangelo: Tradizione e Passione
Michelangelo non è solo un pizzaiolo, ma un vero e proprio maestro dell’arte culinaria. La sua vita semplice e laboriosa, fatta di dedizione e umiltà, è un esempio di come l’amore per il proprio lavoro possa trasformare un piatto comune in un’esperienza indimenticabile. La sua capacità di fondere la tradizione contadina con la sapienza artigianale nella preparazione della pizza è un’arte rara e preziosa.
Tagliente ha scritto: “La dedizione e l’umiltà di quest’uomo, che dalla vita contadina riesce a creare una delle migliori pizze che abbia mai assaggiato, mi hanno colpito profondamente. Il suo nome rimane anonimo, ma la sua storia di passione e impegno è qualcosa che merita di essere raccontata.”
L’Umanità di Francesco Tagliente
Il racconto del Prefetto Tagliente non solo mette in luce le straordinarie qualità culinarie di Michelangelo, ma riflette anche le qualità umane dello stesso Tagliente. Conosciuto per la sua sensibilità e il suo impegno sociale, Tagliente ha sempre dimostrato un profondo rispetto per le storie di vita quotidiana e per le persone che con il loro lavoro contribuiscono a rendere speciale ogni momento.
La sua capacità di cogliere e apprezzare la bellezza nascosta nei gesti quotidiani e nelle storie semplici rivela un’anima attenta e sensibile, sempre pronta a riconoscere il valore degli altri. Il tributo a Michelangelo è un’ulteriore testimonianza della sua umanità e del suo desiderio di dare voce a chi, con passione e dedizione, arricchisce la vita di chi lo circonda.
Un Esempio di Vita
La storia di Michelangelo, come raccontata da Tagliente, è un potente promemoria di come la passione e l’impegno possano elevare il lavoro quotidiano a forme d’arte. “La sua pizza è un capolavoro che continuerà a risuonare nei miei ricordi, così come la sua storia di dedizione e umiltà,” ha scritto Tagliente, riconoscendo il valore di un uomo che, nonostante l’età e la fatica, continua a regalare momenti di gioia e piacere attraverso la sua cucina.
Questo tributo non è solo un omaggio a un pizzaiolo straordinario, ma anche un invito a riflettere sull’importanza del lavoro fatto con passione e amore. Grazie, Michelangelo, per averci mostrato che dietro ogni grande piatto c’è una grande storia, fatta di lavoro, passione e amore per la semplicità. E grazie, Francesco Tagliente, per aver condiviso con noi questa storia ispiratrice, ricordandoci di apprezzare le piccole grandi cose della vita.
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