Caro direttore,
Mi piacerebbe fare qualche considerazione a margine della Fiera del libro di Grottaferrata, al di là dell’evento meteorologico che ne ha sconvolto il regolare svolgimento.
Lunedì 18 marzo sono stato invitato a presentare il libro “Ars culinaria”, scritto dalla filologa Antonietta Dosi e dalla dottoressa Giuseppina Pisani Sartorio. La manifestazione, promossa dal Gruppo archeologico latino “Bruno Martellotta” sobria e gentile si è svolta nell’ex biblioteca a via Giuliano della Rovere.
Il libro in questione, vero capolavoro di storia e cultura è entrato nella cinquina delle opere candidate al premio Bancarella. Una delle autrici, inoltre, è la direttrice dell’unico Bollettino unione storia ed arte che si pubblica in Italia. Questo periodico fu rilevato proprio dal compianto archeologo grottaferratese Bruno Martellotta che assicurò, grazie anche al suo impegno economico, la continuazione delle pubblicazioni.
La prima domanda che, all’atto della presentazione del libro, mi sono fatto è stata <come mai un evento del genere si tenesse al margine del programma della Fiera del libro, tanto da non essere nemmeno citato nel catalogo ufficiale?>.
Ho anche chiesto <se c’era stata l’intenzione del Gruppo archeologico latino di non far entrare nel novero delle iniziative fieristiche la presentazione del libro oppure la scelta fosse da addebitare ad una delle tante stravaganze del sindaco Gabriele Mori che pensa di aver inventato un format culturale solo perché si è assicurato la certificazione di una firma d’autore?>.
Mi sembrava strano, infatti, che nella Fiera del libro ci fosse una sala dedicata a Bruno Martellotta, da cui era stata sfrattata l’associazione che porta il suo nome e una iniziativa che in qualche modo continuava la sua attività decennale. La risposta dei giovani archeologi è stata sobria e gentile e tesa a smontare qualsiasi polemica, ma si è notato tanto disappunto. Nei visi dei partecipanti anche una punta di delusione. Neanche a parlare della qualità del libro che forse gli arguti promotori della Fiera non hanno avuto il tempo di considerare.
Questo ennesimo infortunio ci porta, però, a tirare delle conclusioni che noi operatori culturali dovremmo fare con più continuità e senza peli sulla lingua.
Ma a chi serve una Fiera del libro, gestita in quel modo con quattro bancarelle gettate alla rinfusa e senza nessun collegamento con la realtà culturale del territorio? Perché si cercano fuori dai Castelli Romani enti gestori di un evento che affonda le radici nella cultura popolare locale? Ma il sindaco Mori, riconosciuto per la velocità del passo con cui attraverso le strade cittadine, ha mai buttato uno sguardo all’enorme patrimonio di intelligenze e di professionalità che operano nel territorio? Si è accorto che le società gestori dell’evento hanno dovuto giocoforza rivolgersi ad aziende culturali e ad artisti locali per costruire un programma di eventi? Ci sono episodi gustosi di cui potrei dare diretta testimonianza. A che è servito, inoltre, questo spreco di soldi? La domanda, caro, direttore, non è retorica, circola di bocca in bocca e non deve essere più sottaciuta.
Più che una Fiera del libro mi è sembrata la Fiera delle vanità. Un evento molto provinciale che lascia il tempo che trova. Una grande occasione sprecata.