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Editoriali

Grano canadese: c'è chi dice no

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Tempo di lettura 7 minuti Secondo Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.

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di Roberto Ragone
 
Secondo Franco Busalacchi, siciliano, scrittore, blogger, uomo politico, e del micologo pugliese Andrea Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.
 
Tutto nascerebbe dalle multinazionali  canadesi del grano, che con opportune 'spinte' a livello di Unione Europea, sarebbero riuscite a vendere nel nostro paese grano contaminato, secondo alcuni un vero e proprio rifiuto tossico e speciale, realizzando un business di oltre 40 miliardi di euro l’anno. La manovra, oltre che a fare profitto, tende a distruggere la produzione italiana di grano duro. Finora già 600.000 ettari di seminativo nostrano sono stati abbandonati, schiacciati dalla concorrenza sleale.
 
Quindi dopo le arance marocchine – che hanno messo in crisi gli agrumeti siciliani –  e l’olio di bassa qualità tunisino, – importato senza dazio a milioni di litri, destinato ad essere venduto nei discount come ‘olio extravergine di oliva’ – si prende di mira un altro settore importante della nostra economia e tradizione, come quello dei prodotti derivati da grano duro. Con ciò minando anche la salute dei consumatori.  Il 19 di giugno di quest’anno, il quotidiano barese ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, insieme ad altri giornali, racconta in maniera circostanziata dell’arrivo al porto di Bari di una nave proveniente da Vancouver, la ‘'Cmb Partner', da 60.000 tonnellate, attraccata l’8 di giugno, dopo oltre 40 giorni di navigazione, e il cui carico era costituito da 50.000 tonnellate di grano duro canadese, carico sequestrato dai Carabinieri Forestali dopo le prime analisi sul cereale che avrebbe mostrato percentuali di sostanze nocive in quantità superiore a quelle consentite dalla legge. Il sequestro ha riguardato anche il cargo. Carico dissequestrato successivamente, in seguito alle nuove analisi effettuate proprio dai Carabinieri Forestali autori del sequestro. Analisi che avrebbero dimostrato come la presenza di inquinanti nel grano sarebbero nei limiti previsti dalla legge.
 
Limiti che a livello comunitario avrebbero subito una spinta ‘in alto’ per il Canada, che in effetti ha una soglia di sicurezza molto più alta di quella vigente in Italia. In ipotesi, possiamo azzardare che la prima analisi abbia riguardato soglie di sicurezza italiane, e la seconda quelle della provenienza del carico, cioè canadesi. Quindi, grano che in circostanze diverse non sarebbe idoneo neanche all’alimentazione animale, verrebbe regolarmente distribuito sul territorio nazionale, e miscelato, nella migliore delle ipotesi, a grano duro prodotto in Italia. Cosimo De Sortis, presidente della Italmopa, in rappresentanza dell’industria molitoria italiana, ha dichiarato che il sequestro era stato operato a seguito di ‘fake news’ e persecuzione mediatica ordita dalla Coldiretti. Così De Sortis dichiara al ‘Corriere del Mezzogiorno: «Non sarà sfuggito a nessuno — attacca Cosimo De Sortis,  — che i recenti sequestri di frumento duro importato, verificatisi nei mesi di febbraio 2016 e di giugno 2017, sono concomitanti con i “blitz” mediatici organizzati dalla Coldiretti presso il Porto di Bari. La sistematica demonizzazione delle importazioni, da parte sia della Coldiretti, sia di altre “lobbies”, e lo sviluppo di un’irresponsabile politica di comunicazione volta a infondere nei consumatori un sentimento di diffuso sospetto sul frumento di importazione rispondono a esclusivi interessi sindacali e di categoria abilmente camuffati dietro un presunto interesse generale del tutto inesistente», e conclude annunciando azioni legali.
 
La preoccupazione di Coldiretti e produttori italiani è che il Ceta peggiori ulteriormente la situazione. Il Ceta è il Comprehensive economic and trade agreement, accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada. Accordo “contro il quale la Coldiretti si dice pronta a scatenare una mobilitazione per scongiurare il paventato azzeramento strutturale dei dazi“. Il grano canadese, oltre ad essere una forma di concorrenza sleale nei confronti dei nostri produttori per il suo prezzo molto basso, rappresenta uno dei ‘regali’ che l’Unione Europea ci ha fatto, spinta dalle multinazionali.  Diciamo subito chi è Franco Busalacchi. Una persona innamorata della sua patria, la Sicilia, impegnato in politica. Il suo desiderio è, tra l’altro, che la nostra agricoltura e le nostre risorse naturali non siano vanificate dagli attacchi di lobby straniere, tese solo a far profitto, a scapito della salute pubblica. Il suo motto, che lo ha portato in politica, è: “Tu devi, quindi puoi.”
 
A fare da contraltare alle analisi  della Italmopa, i risultati ottenuti dalle analisi di Granosalus, l’organizzazione dei produttori di grano duro del Suditalia, che combaciano perfettamente con quelli del MIT, Massachussets Institute of Technology, e non lasciano dubbi: il glifosato presente nella pasta e nel pane può provocare malattie gravi, come diabete, obesità, asma, morbo di Alzheimer, Autismo, malattie autoimmuni, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), e morbo di Parkinson. E i grani duri provenienti dal Canada contengono alte percentuali di Glifosato, chiamato anche ‘seccatutto’, che viene spruzzato sulle colture nel periodo che precede la raccolta. Infatti, il grano duro andrebbe coltivato soltanto in regioni molto soleggiate e calde – tipo il sud Italia – e non in climi freddi e umidi, che favoriscono la presenza di micotossine e aflatossine, anch’esse nocive per la salute umana perché altamente cancerogene. Alta anche la concentrazione di deossinivalenolo, noto anche come DON, cioè una sostanza chimica prodotta da funghi, una muffa che cresce su cereali come il grano, l’orzo e il granturco. Prodotto dai funghi Fusarium graminearum e Fusarum culmorum, scrivono gli esperti della FAO, il DON:”Può avere un effetto negativo sulla salute umana.” Secondo quanto afferma il micologo pugliese Andrea Di Benedetto, il grano canadese è paragonabile ad “Un rifiuto tossico e speciale, che dovrebbe essere smaltito.
 
Un prodotto che invece finisce sulle tavole dei consumatori europei”. Secondo Di Benedetto, “la presenza della micotossina nei mangimi prodotti e commercializzati in Canada, in una quantità che superi le mille parti per milione, crea seri problemi agli animali monogastrici  [come l’uomo ndr], che non progrediscono nella crescita.” Sempre secondo il micologo pugliese, i limiti fissati per il deossinivalenolo dall’Unione Europea nel 2006 sono troppo elevati. Secondo Di Benedetto, il limite di 1750 μg/Kg è troppo elevato. Sarebbe stato fissato, infatti, “in seguito alle pressioni delle lobby”. Questa legislazione avrebbe portato a un paradosso: “Stranamente nell’Europa Unita tutto il grano duro che in Canada non si potrebbe utilizzare nemmeno per gli animali, si dà all’uomo”. Dello stesso parere Gianni Cantele, presidente della Coldiretti Puglia. Ma, spiega Di Benedetti, un mezzo per difendersi c’è. “Mezzo chilo di pasta non può costare 35-40 centesimi di euro. Se questo avviene, c’è qualche problema.” Secondo Di Benedetti, il DON provocherebbe innanzitutto un aumento della sensibilità al glutine; poi morbo di Crohn, Parkinson, autismo ed altre patologie autoimmuni.  Desta qualche sospetto il fatto che l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, non si sia ancora pronunciata a proposito della pericolosità del deossinivalenolo, pur avendo avviato tre anni fa un processo di ricerca sull’argomento, e pur a fronte di pareri autorevoli come quello del MIT e della FAO, oltre che di Granosalus. Due scienziati del MIT, Anthony Samsel e Stephanie Seneff, ce lo spiegano più chiaramente: “Quando una cellula sta cercando di formare le proteine, può afferrare il glifosato invece della glicina e formare una proteina danneggiata. Dopo di che  è il caos medico. Dove il glifosato sostituisce la glicina, la cellula non può più comportarsi come al solito, provocando conseguenze imprevedibili con molte malattie e disturbi conseguenti”. Come SLA, Alzheimer e autismo. Fino ad ora la ricerca si è concentrata sugli animali, in particolare sui suini. I sintomi più comuni sono nausea, vomito, – il DON è detto anche ‘vomitossina’ – diarrea, dolori addominali, mal di testa, vertigini e febbre, fino alla morte in concentrazioni particolarmente alte. Possibile alterazione delle funzioni cellulari attraverso l’inibizione della sintesi delle proteine. Da notare che i limiti di concentrazione del DON nella pasta sono riferiti ad un consumo annuo medio pro capite di circa 5 kg., mentre in Italia esso si aggira sui 23-25 kg, e, aggiungiamo noi, in particolari casi, molto più alto, con l’ingestione, quindi di quantità pericolose di deossinivalenolo.
 


 Perche’ il grano canadese ha bisogno di glifosato e altri pesticidi? come difenderci? Da anni ci dicono che il grano canadese è il migliore del mondo, e che ha un contenuto di glutine superiore ai grani duri italiani. Tutto vero. Ma dietro a tutto questo c’è l’uso spregiudicato che viene fatto della chimica, con il glifosato che altera il periodo di maturazione del grano. Esiste il retroscena di un inghippo internazionale – orchestrato dalle multinazionali – che anticipa il TTIP e punta a distruggere la nostra produzione di grano duro, pugliese, siciliano e in genere del sud Italia. Ma perché il grano canadese ha bisogno del glifosato? Il grano è una specie vegetale originaria del Medio Oriente. Di regola, si semina in autunno e si raccoglie in estate. In Canada, che è una nazione fredda, si semina in primavera e si raccoglie a fine estate-inizio autunno, per sfruttare il periodo meteorologicamente più favorevole. Una differenza fondamentale riguarda la raccolta: nei paesi caldi avviene a giugno inoltrato; nel Canada e nel nord degli USA, in autunno, spesso quando il freddo è già arrivato, quindi quando il grano ha difficoltà a maturare. All’arrivo delle prime piogge, poi, si sviluppano erbe infestanti che ostacolano la mietitrebbiatura. Ecco allora l’intervento del glifosato, un diserbante conosciuto come ‘seccatutto’, che, utilizzato circa 15 giorni prima della raccolta, ‘secca’ la spiga ancora verde, che contiene in quel momento un’alta concentrazione di sostanze nutritive, glutine compreso. Gli agricoltori canadesi spiegano che con questo procedimento accelerano la maturazione del grano, ma è una menzogna. Semplicemente con il glifosato/diserbante la spiga verde viene fatta seccare, e in questo procedimento non c’è nulla di naturale, ma solo tanti veleni, insieme ad una quantità certamente maggiore di glutine, che fa sì che la pasta ‘tenga’ meglio la cottura, ciò che piace ai produttori. In questo modo, il Chicago Board Trade, punto di riferimento mondiale del commercio agricolo, fa crollare il prezzo del grano duro, inducendo i nostri produttori ad abbandonare le colture – specialmente nel sud Italia – e magari a cedere i loro terreni agli speculatori. Il vantaggio è anche delle industrie chimiche che producono il glifosato, che lavorano in sinergia con le multinazionali che producono le sementi, magari OGM, e che così si appropriano del mercato italiano della pasta. Uno dei pretesti per l’importazione del grano canadese è che non abbiamo abbastanza produzione nazionale. Certo, se la nostra agricoltura deve subire attacchi di questo genere, alla fine non rimarrà più nulla. Se invece 600.000 ettari di seminativo abbandonati potessero continuare a produrre buon grano non avvelenato da pesticidi, e al prezzo giusto, senza concorrenze sleali, la nostra produzione sarebbe magari sufficiente. Certo non dovremmo ricorrere all’estero nella misura in cui facciamo oggi.

 
Diciamo che le aziende produttrici che attingono maggiormente all’importazione sono quelle che hanno un maggior bisogno di disponibilità di prodotto, cioè le grandi aziende pastiere che tutti conosciamo, e che sono già state in un recente passato oggetto di una specifica indagine da parte della rivista Altroconsumo. Non facciamo nomi, naturalmente, ma ognuno di noi può documentarsi, per evitare rischi e difendersi dall’attacco canadese, tenendo presente, come già spiegato, che se un pacco di pasta costa troppo poco, il suo contenuto è sospetto. Scegliere poi le piccole produzioni, quelle che magari dichiarano sulla confezione il tipo di grano utilizzato, ce ne sono tante. Dopo tutto spendere un po’ di più per un pacco di pasta non ci manderà in rovina, ma permetterà ai produttori onesti di andare avanti, commercializzando un prodotto genuino, e si sa che questo non paga mai in termini economici. Possiamo difenderci anche dal pane fatto con farina non ‘genuina’, in modo molto semplice: prendiamo due o tre fettine di pane, e le teniamo qualche giorno in un luogo asciutto. Se dopo tale periodo la fettina si secca, ed è bianca, la farina è buona. Altrimenti le fettine si copriranno di una muffa verdastra, segno della presenza di micotossine. Fate questa prova, e se positiva, avvertite il vostro panettiere. Qualcuno l’ha fatto, il panettiere ha cambiato farina, e ora il pane è buono. Nello stesso momento potremo colpire i consumi legati agli speculatori e agli ‘avvelenatori’, più o meno consapevoli. Oltre ad aiutare la nostra nazione Italia  a non soccombere ulteriormente di fronte ad una globalizzazione di rapina. Un piatto di pasta, un chilo di pane, una pizza fatta come si deve – può essere un bello slogan per una pizzeria che voglia diversificare il prodotto – sono la base della nostra cultura e della nostra alimentazione, la famosa ‘dieta mediterranea’ da tanti esaltata. Diciamo basta alla prepotenza delle multinazionali e di un’Europa che, diciamo la verità, tutti stavamo meglio senza. Tranne gli ‘avvelenatori’.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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