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Editoriali

Governo Conte bis… che pende che pende e mai non vien giù

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Nella celeberrima piazza del Duomo di Pisa, domina il campanile della cattedrale di Santa Maria Assunta universalmente conosciuta come la Torre di Pisa. Questo famoso monumento, fu costruito nell’arco di due secoli, tra il XII ed il XIV secolo. E già nelle prime fasi della costruzione, a causa di un cedimento del terreno sottostante, si verificò un’inclinazione dell’edificio in misura 3,9° rispetto all’asse verticale. E da lì il detto la Torre di Pisa che pende che pende e mai non vien giù.

Con il trascorrere degli anni l’inclinazione si è allargata tanto che negli ultimi anni del XX secolo ci fu un concreto pericolo di crollo a causa dell’inclinazione, allora valutata in circa 4,5°. Fu subito posto rimedio con lavori di ingegneria avanzata iniziati nel 1990 e finiti nel 2001.
Fu così rispettata la saga della Torre di Pisa alla quale il governo Conte bis sembrerebbe essersi ispirato.

Nello storico palazzo di Montecitorio, che si affaccia su piazza del Parlamento, sede della Camera dei deputati della Repubblica, il 1 giugno 2018 si è insediato il governo Conte 1. Una coalizione rachitica strutturalmente ed asfittica progettualmente, formata dal M5S e dalla Lega. Già dai primi giorni dalla sua nascita dava segni di cedimento, incrinature e sfaldamenti. Coalizione nata per volontà di Palazzo dopo il risultato fallimentare del 4 marzo 2018. Questo primo governo Conte ha resistito in carica per 461 giorni e per un colpo di testa di Salvini, il 5 settembre 2019 ha dovuto buttare giù la spugna.

Invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia

Il presidente Conte non mollava l’osso, non demordeva. Morto un papa se ne fa un altro. A Montecitorio, seduti imbronciati sui banchi dell’opposizione aspettando di vedere passare il cadavere politico dell’avversario c’erano tanti che bussando alla porta del presidente Conte offrivano i loro servizi, mossi animosamente, “sempre e solamente per il bene della Patria” e così è nato il Governo Conte II.

E’ proprio vero che al peggio non c’è mai fine

All’abbuffata si sono iscritti: come capo tavola il M5S, con accanto il Pd e Leu e Renzi si era riservato l’onore di scegliere il menù. Chi si pensava di assistere al “risorgimento” dell’economia, della finanza, l’inversione della disoccupazione, la riscossa dei consumi, la ricostruzione strutturale del paese e non solo, chi ci credeva in tutto questo e magari in una riforma della giustizia, è rimasto più che deluso. L’auto eletto avvocato del popolo si è dato da fare per tagliare un suo spazio a Bruxelles, sapendo inchinarsi, baciare le mani alla Merkel e ad Ursola von der Leyen ma in casa propria si è distinta solamente la sua politica “vade retro Matteo” e così facendo ha generato l’ennesimo “governo in bilico”.

Renzi a Bonafede… che Conte ascolta: “Fermati finché sei in tempo”

Il pomo della discordia, questa volta è il lodo Prescrizione. Dall’assemblea di Italia Viva, a Roma, Renzi ha lanciato il suo ultimatum, logoro e demodé, senza averne uno migliore: “Il 27 parte la campagna sulla giustizia giusta e lanceremo questa battaglia con un impegno molto chiaro che assumo: se qualcuno pensa che in nome del mantenimento dello status quo del governo, noi domani mattina veniamo meno ai principi di civiltà giuridica, si sbaglia clamorosamente”.

Tra liti e malumori il travaglio del lodo Conte

I ministri di Italia Viva disertano il Cdm e Conte se la cava con l’accordo tra Pd e 5s. Non si è fatta aspettare la dichiarazione di Renzi: “Sfiducia per Bonafede”. Conte trema ed il governo è in forse.

Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio

Allo stato attuale delle cose tutto è possibile e non si può escludere nulla. Una cosa è certa però che in previsione ci sono le 431 cariche da nominare, nomine che fanno gola a tutti e ai quali, si può stare certi, nessun Renzi, Pd o M5s saranno pronti a rinunciare. Poi all’orizzonte c’è sempre la nomina del futuro Presidente della Repubblica, che, sempre per il “bene del paese”, tutti vogliono partecipare attivamente. La conclusione non può essere che una, cioè la restaurazione del vecchio e questo sarebbe come cadere dalla padella alla brace perché come c’è scritto in Marco 2:21-28 : “ il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore.”

Ma i signori politici riusciranno a capirlo?

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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